Home| Chi siamo| Cosa facciamo| Perchè siamo nate | Spiritualità| La nostra storia | Libreria| Fondatore|Famiglia Paolina| Preghiere |Archivio | Links | Scrivici | Area Riservata |Webmail | Mappa del sito

 

Parola del Fondatore Parola del Papa Studio Recensioni Articoli

 

PANE DEL CAMMINO

 

Carissime Annunziatine,

ringraziamo sempre Gesù che si è fatto per noi “pane di vita”: ci ha fatto dono di sé nell’Eucaristia per darci la forza, le grazie necessarie nel cammino della nostra esistenza. Per questo dobbiamo riconoscerlo, adorarlo e ricevendolo diventare uno con Gesù per divenire anche noi “pane per l’umanità”. Il cristiano è un “viatore”, anzi ogni uomo, è in cammino verso l’eternità. Non è un caso che l’Eucaristia sia anche detta “pane del cammino”. Non è solo un riferimento alla Manna nel deserto dell’Esodo (cfr. Es 16) che permette al Popolo di Dio di camminare per 40 anni sino alla terra promessa, o al pane di Elia (1Re 19,6), che gli infonde la forza di camminare per 40 dì e 40 notti sino all’Oreb così da poter vedere Dio. L’Eucarestia è veramente il dono che ci dà forza nel cammino della vita, ed insieme ci trasforma in quello di cui ci nutriamo. Questa trasformazione cambia noi in corpo di Cristo cosicché quando ci presenteremo al Padre nella sua misericordia Egli possa riconoscerci come carne e sangue del suo Unigenito.
Il Catechismo ci ricorda che il Sacramento dei moribondi non è l’ “Unzione degli Infermi” (neppure l’ultima), bensì il “Viatico”, cioè l’ultima Comunione sulla terra al Corpo di Cristo. È “viatico” poiché sempre l’Eucaristia è “via al Cielo”. Questo ci svela cosa significa che l’uomo sempre è un “viatore”, cioè deve immedesimarsi con Gesù Via lungo tutto il tempo della nostra esistenza terrena e così per sempre unirsi a Gesù Vita che ci dona la pienezza della sua Vita divina: solo nell’eternità potremo goderne pienamente. Lì dove la Verità rivelata da Gesù non solo sarà da noi pienamente conosciuta con la mente, ma sarà per noi conoscenza amorosa e vitale.
La nostra vita è un cammino dove la Grazia di Cristo, con gli incessanti doni dello Spirito, ci trasforma sempre più ad immagine di figli di Dio. Questo si intreccia con la nostra umanità, che anela ad essere unita a Dio nonostante i limiti e le fragilità. Il nostro impegno è indispensabile. Nella nostra esistenza terrena dobbiamo sforzarci, con l’aiuto della divina Grazia, a progredire lungo i sentieri della vita per portare un frutto abbondante e così diventare veramente discepoli del Maestro divino (cfr. Gv 15,8).

Vivere con gioia e generosa fedeltà

Lo Statuto, al numero 69, ci ricorda come la tensione della nostra fragile esistenza deve essere verso la méta della nostra vita, ma anche ci richiama alla “generosa fedeltà”. Nel viaggiare, come nella vita personale, si possono fare due esagerazioni: o vedere solo la méta dimentichi di tutto il resto, oppure vedere solo i passi, i luoghi, le fatiche del cammino fino a lasciar divenire insignificante la destinazione, lo scopo del viaggio. In Paradiso vedremo i meriti acquisiti in questa vita, la carità che avremo esercitato lungo gli anni della nostra esistenza. Se il nostro cuore deve essere fisso in Dio, nostra gioia e nostro fine ultimo, e la nostra anima attratta da Cristo come da una calamita, il nostro cuore deve pure palpitare con generosa delicatezza verso il prossimo lungo i sentieri di questo mondo. Qui sta la radice e la forza del nostro impegno apostolico. La “generosa fedeltà” ci indica come sovraspenderci per gli altri, senza distaccarsi mai da Dio. Ci è di esempio san Paolo quando dice che per se stesso anela andare in Cielo subito, per essere sempre con Cristo, ma per il premuroso affetto verso i “suoi” cristiani, desidera rimanere per poter essere loro di aiuto, guida e consolazione. Si trova così diviso tra i due affetti che dilatano il suo cuore. Paolo sempre più cresce nel suo amore verso Dio e verso i fratelli.

La prima carità

La nostra vita è un viaggio, ciò che conta è la méta, ma anche lo stesso cammino è importante, poiché è qui che ci facciamo meriti, è qui che esercitiamo le nostre virtù e le testimoniamo, è qui che dobbiamo contribuire con il nostro apostolato. La prima carità, infatti, è desiderare che anche gli altri uomini possano insieme a noi, raggiungere la salvezza eterna promessa da Cristo. Certo insieme con noi, e ciascuno secondo il proprio cammino. Gesù è l’unica Via di salvezza, ma è anche la via unica per ciascun uomo. Fedeli alle accorte indicazioni dello Statuto dobbiamo in tutta semplicità nella nostra vita quotidiana impegnarci perché ogni persona che incontriamo possa conoscere Cristo Gesù, usando quanto oggi è a nostra disposizione. Non contano solo i grandi e potenti mezzi di comunicazione, ma anche i piccoli segni e gesti di ogni giorno. Don Alberione non ha conosciuto internet, né SMS, né email o blog, e neppure la moderna messaggistica come “whatsapp”, etc…. Ma incoraggiava a non rimanere indietro, a usare qualsiasi mezzo vecchio o nuovo che la scienza e la tecnica ci metterà a disposizione. Probabilmente fra qualche tempo gli SMS saranno desueti come i telegrammi. Ma usiamo ogni cosa per testimoniare Cristo e il nostro amore per il Vangelo. Oggi le lettere pazientemente scritte a mano con l’inchiostro (e spesso con molte mac-chie), tanto usate dal Primo Maestro, sono in disuso, mentre è in voga “whatsapp” che esiste solo da pochi anni. Non importa da quanto esistono e per quanto esisteranno, ciò che conta è di usarli bene e per il bene. Non lasciamoli a chi li usa contro Cristo e contro la Chiesa. Sono occasioni di bene che troviamo nella nostra vita e lungo la storia dell’umanità. Un pensiero di bene si può veicolare con ogni strumento. Ma sono e saranno occasioni di grazia solo se il nostro cuore è colmo di Dio, se prima ci saremo raccolti in Lui nella preghiera, e solo dopo comunicare. Il Primo Maestro ammoniva che il segreto dell’efficacia dello scrittore o del comunicatore sta più nelle sue ginocchia che nella sua penna. Ecco allora che possiamo meglio comprendere il dono dell’Eucarestia come pane del cammino. Ci dà la forza di camminare e di giungere alla méta. Ma anche di testimoniare lungo il cammino, così che la nostra vita, ancorché nascosta, diventi silenzioso e gioioso annuncio di Cristo. Se con il cuore siamo già alla méta, intanto i nostri piedi calcano le strade del mondo annunciando con “generosa fedeltà” il Vangelo di Cristo.

Don Gino