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AGNELLINI E PECORE

 

Carissime Annunziatine,

durante il tempo estivo è facile intravvedere, specie in montagna, qualche gregge al pascolo. Ma ormai dalle nostre parti è difficile vedere pastori che guidano il gregge, e se si vedono sono extracomunitari... L’immagine del pastore con il suo gregge nei pascoli, dovrebbe farci pensare a Gesù Buon Pastore. Nella Bibbia si parla di “gregge” e “pastore” in contesti molto differenti, da Abele sino agli ultimi profeti, senza dimenticare la figura di Davide. Frequente è anche l’uso del termine “agnelli”, quasi sempre riferito al sacrificio. Nel Nuovo Testamento è l’Apocalisse che usa il termine “agnello” come immagine di Cristo, riprendendo l’aspetto sacrificale ma ormai vivo e vittorioso.

Le due nature di Cristo nostro salvatore

Nella predicazione cristiana fin dai grandi Padri della Chiesa – per non parlare della iconografia antica – l’immagine più usata per Gesù nostro Salvatore è quella del Buon Pastore che porta sulle spalle la pecorella smarrita. Essa fa riferimento alla parabola del vangelo di Luca (cfr. Lc 15,3-7) ed in particolare il versetto dove si dice: «Quando la trova, se la mette sulle spalle contento».

Questa immagine è talmente comune che diamo per scontato di conoscerla. Ma noi oggi non abbiamo più l’esperienza concreta di vedere un gregge da vicino, toccare gli agnellini appena nati, saper distinguere la morbidezza della loro lana e i loro giochi, neppure abbiamo visto come scorazzano e saltano di gioia gli agnelli più grandi... non conosciamo più la relazione tra pastore e gregge. L’immagine del pastore che reca sulle spalle una pecorella, oltre al riferimento alla parabola di Luca, ci deve ricordare le due nature di Gesù, quella umana e quella divina. La natura divina che è raffigurata nel pastore sorregge e riconduce all’ovile la nostra natura umana, che viene indicata nella pecorella ritrovata e posta sulle sue spalle. Prima di vedere l’immagine agreste e romantica dovremmo cogliere quella teologica e salvifica, che sottolinea la differenza di natura tra Cristo e noi, ma che rappresenta la dimensione spropositata della salvezza offerta all’uomo dalla misericordia divina.

Il gregge segue il pastore

A noi urbanizzati è utile anche comprendere come si comporta un gregge con il suo pastore. Quando mio padre era giovane, sui 16 o 17 anni, pascolava un gregge di pecore sul nostro terreno. Raccontava come sono affettuosi gli agnellini e come amano giocare... Però le pecore puzzano... Così d’estate spesso si divertiva a fare il bagno al gregge. Come faceva a convincere un gregge a lavarsi? Prendeva un agnello sulle spalle e si dirigeva verso il fiume che sta in fondo al podere. Allora l’acqua era limpida e la profondità durante l’estate non superava mai il mezzo metro. Subito la pecora madre seguiva l’agnello, e pian piano le altre pecore, prima una o due e poi l’intero gregge seguiva pastore, agnello e pecora madre. Attraversava l’acqua e giungeva all’altra riva. Dopo aver lasciato il gregge a riposare un po’ e a brucare sull’altra riva, rifaceva il percorso inverso. E di nuovo la pecora seguiva l’agnello sulle spalle e così tutto il gregge ritornava al pascolo consueto.

Gli agnellini sul petto... dolcemente le pecore

Un secondo brano biblico molto importante è quello di Isaia 40,11: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
L’esempio naturale da cui viene questa immagine di Isaia – che peraltro non ha altri citazioni bibliche simili – lo abbiamo già presentato prima. Anche nel testo di Isaia bisogna comprendere il brano in diretta relazione con Cristo. Dove Gesù porta sul petto un piccolo? E dove conduce pian piano le pecore madri?
In realtà sempre fa così. Gesù con dolcezza prende in braccio i bambini, anche quando i discepoli lo rimproverano (cfr. Lc 18,16), perché il regno dei Cieli è per coloro che diventano come bambini (cfr. Mt 18,3). Per ogni nuovo discepolo, per ogni vocazione all’inizio si comporta così, con dolcezza ci appoggia sul suo seno, perché da lì possiamo attingere fiumi d’acqua viva (cfr. Gv 7,38).
Ma quando si diventa grandi, come discepoli e come cristiani, allora ci invita a prendere la nostra croce e a seguirlo: «Poiché il mio giogo è soave e leggero è il mio peso!» (Mt 11,30). Solo in questo modo si generano nuovi cristiani e solo in questo modo si generano nuove vocazioni. Non viene meno la parola di Genesi «con dolore partorirai figli» (Gen 3,16), ma Gesù ci dice anche che bisogna rinascere nello Spirito. È necessaria questa generazione spirituale che costa sacrificio.
Infatti questo è l’atteggiamento di san Paolo verso coloro che non vogliono ascoltare la parola di Gesù: «Ho un grande dolore, un travaglio continuo nel mio cuore» (Rm 9,2). Ma ancora di più rivolgendosi ai Galati che lo fanno penare san Paolo dice: «Figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto, fino a che Cristo non sia formato in voi» (Gal 4,19).
Non a caso don Alberione ha fondato anche l’associazione “Preghiera sofferenza e carità per tutte le vocazioni”. Per generare e far crescere nuove vocazioni bisogna che le pecore madri seguano il Buon Pastore sulla via della Croce.
Infine, quando Gesù nell’Ultima Cena lascia appoggiare Giovanni sul suo petto (cfr. Gv 13,23), non porta forse un agnellino (era il più giovane degli apostoli) sul suo petto, così che inebriato dai palpiti d’amore del suo Maestro divino non si lasci spaventare da nessuna cosa, poiché nulla ci può separare dall’amore di Cristo (cfr. Rm 8,35)
E quando Gesù sotto la croce chiede a sua madre di prendersi cura del “discepolo” dicendo «ecco tuo figlio» (cfr. Gv 19,26-27), invita Colei che ha partorito il Figlio Unigenito senza dolore a generare nella sofferenza noi figli imperfetti e peccatori. Così possiamo seguire il nostro Salvatore oltre la Croce per giungere ai pascoli della vita eterna dopo che, lavati dai nostri peccati ed immersi nel suo sangue salvifico, entreremo con lui nella Gloria. E se abbiamo paura di seguire direttamente l’Unigenito di Dio, allora come il gregge, seguiamo la “pecora madre” che con dolcezza è guidata dal Buon Pastore, affinché tutti i suoi figli raggiungano la meta eterna.

Don Gino