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FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DI GESU'

 

Il Beato Alberione ci ricorda che il pensiero che deve animare tutta la nostra vita è il fine, il Paradiso. Bisogna desiderarlo e incamminarsi verso il Cielo giorno per giorno (Alle Pie Discepole, 1955, pp. 17-24).
Il mese di agosto è utile che venga dedicato al pensiero del paradiso per tre intenzioni: primo, ricordare sempre il nostro fine: il cielo, la beatitudine eterna che ci attende e come questa vita sia soltanto un viaggio nel quale dobbiamo raccogliere i meriti, dobbiamo compiere la volontà di Dio.
Seconda intenzione di questo mese è di desiderare il cielo, desiderarlo così che sia sopra tutti i desideri. Coloro che amano il Signore desiderano il Signore: «cupio dissolvi et esse cum Christo» [il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo] (Fil 1,23); quindi, desidero che si chiuda questa vita e a presentarmi e contemplare Gesù in cielo.
Inoltre, terza intenzione: camminiamo davvero e camminiamo bene verso il cielo? Verso il cielo camminano bene tutti quelli che compiono il volere santo di Dio. Ora, il volere santo di Dio, in generale, ci è noto: i comandamenti, il Vangelo, le Costituzioni. In particolare, poi, dipende da tante cose: e dalle disposizioni e dalle circostanze e dalla vocazione, ecc., dalle grazie particolarissime che ogni anima ha. Alle volte non è così chiaro e abbiamo bisogno di lumi e di consigli per non sbagliare e non illuderci che sia volontà di Dio quello che invece non lo fosse. E va tanto bene, allora, in questo mese, meditare la Trasfigurazione di Gesù sul monte e far bene la novena all’Assunta per celebrarne bene la festa e l’ottava che finisce con la festa del sacro Cuore di Maria. Pensieri di cielo. Qualche volta, stando sopra la terra noi veniamo come assorbiti, preoccupati dai pensieri della vita presente. Ed è giusto, in un certo limite, che ci preoccupiamo di far bene quello che abbiamo da compier sulla terra in ordine al paradiso. Questo, sì. Però non preoccuparci così da dimenticare il cielo: «sufficit diei malitia sua» [A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6,34)]; giorno per giorno il volere santo di Dio. Allora il primo punto della meditazione è questo: perché Gesù si è trasfigurato sopra il monte? E gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni hanno avuto comeuna visione di cielo, un saggio di cielo.

Gesù sapeva che era vicina la sua passione e morte; sapeva quanto erano ancora deboli gli apostoli e si sarebbero come scandalizzati. Se va a patire e morire, come è Dio? come è Messia? come stabilisce il suo regno? Non capivano che il regno di Gesù era un regno di un crocifisso, un regno di amore, un regno di verità, un regno di pace, un regno di giustizia. E allora forse la loro fede avrebbe vacillato; non tanto vacillò la fede degli apostoli durante la passione, quanto più si manifestò, invece, la loro debolezza, la loro paura, perché non avendo avuto il sufficiente sussidio di preghiera non poterono aver la forza di accompagnare il loro Maestro nella passione e assistere alla morte. Gesù, allora, diede un saggio della sua gloria, un saggio della sua divinità, un saggio di cielo, una pregustazione, tanto che Pietro, Giacomo e Giovanni rimasero inondati di grande conforto e Pietro uscì in quella espressione: «È cosa buona starcene qui; se vuoi facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia» (Mt 17,4). Ma Gesù seppe dare la lezione intiera: mentre che era trasfigurato e parlavano con lui Mosè ed Elia, qual era l’argomento di quel discorso?
L’argomento era quello della passione, quindi: sofferenza e gloria. E gli apostoli dovevano ricordare: lavoro e premio, ricompensa. Contraddizioni sulla terra e delusioni anche, ma poi, quello che era sicuro: il premio eterno. Ecco. Sempre ricordare insieme il paradiso e la prova che abbiam da subire per entrarvi. Siamo in prova, sulla terra. In che consiste la prova? La prova consiste in questo: prova di fedeltà: fede; prova di amore: carità verso Dio e verso il prossimo; e prova di opere, cioè: la volontà di Dio, compimento del volere santo di Dio, giorno per giorno. Chi subisce bene la prova è promosso alla gloria. Chi non subisce bene la prova, come si troverà? Già in punto di morte, ecco che si scorge sul volto del morente la gran pace, la grande fiducia nella misericordia di Dio, la gioia quasi, almeno alle volte, del vicino premio, quando si è operato bene. Sorelle che son passate all’eternità con tanta serenità; ci hanno edificato. Ma erano state fedeli, fedeli alla chiamata di Dio; fedeli nel corrispondere ogni giorno alla chiamata di Dio, cioè, vivere ogni giorno santamente, secondo la propria vocazione, secondo i propri uffici.
Prova di fede. Han creduto al cielo, al premio e quindi, per quel premio, hanno dato tutto e hanno amato il Signore, Gesù. Il loro cuore è stato solo, sempre, tutto di Dio. Ci può essere anche stato qualche debolezza, ma alla fine, ma in sostanza, hanno amato Gesù, sono state sollecite di piacere al loro sposo divino, Gesù. Ecco.
Ma noi sempre ricordare: il paradiso è premio. Il premio si dà a chi ha fatto bene; il paradiso è mercede e la paga si dà a chi ha lavorato; il paradiso è un godimento intiero dell’anima e del corpo, e anima e corpo assieme devono meritare. Paradiso. Quindi, la lode più frequentemente ripetuta in questo tempo, questa: «Paradiso» (cfr. Le preghiere della Famiglia Paolina, ed. 1965, p. 327). Si può fare molto bene un mese di meditazioni sopra questo argomento. Secondo pensiero della presente meditazione: Gesù si trasfigura. E cioè il suo volto appare lucente come un sole e il suo vestito bianco e da Gesù parte un’effusione di gioia, di consolazione che inonda i tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.

La festa poi dell’Assunta ci ricorda che Maria è in paradiso in anima e corpo. Lassù è glorificato anche il suo corpo accanto al corpo del suo Figlio divino, Gesù. Perché? Perché sulla terra furono santificati al massimo il corpo del Salvatore divino e il corpo dell’Immacolata nostra madre Maria. Bisogna santificare anima e corpo. Per la santificazione dell’anima molte cose si meditano negli Esercizi. Parliamo un momento della santificazione del corpo. Rileggere quello che è stato scritto nella circolare interna sopra questo punto: «Santificate e portate Iddio nel vostro corpo» [San Paolo, febbraio-marzo 1954. Cfr. 1Cor 6,20: «Glorificate et portate Deum in corpore vestro»; la traduzione italiana corrente omette il secondo verbo della versione latina della Vulgata].
Sono parole di san Paolo. Quanto sono gloriosi i vergini in cielo! Quanto avranno di profondità nella visione di Dio gli occhi di coloro che sulla terra hanno solo guardato il bene! quegli occhi che han guardato il bene e si son chiusi al male; santificato l’udito: le armonie celesti, le cose che si sentiranno; nessuno ha udito quello che ci sia in cielo, come nessuno ha veduto mai, quello che c’è in cielo (cfr. 1Cor 2,9), ecco, solo il Figlio di Dio, il quale discese dal cielo. E come godrà tutto il corpo, quando il corpo e cioè non solo la lingua, ma il tatto, ma l’odorato, ma il cuore e poi tutto il corpo avrà servito a Dio e solo a Dio in una santa verginità! Particolarmente servito a Dio col faticare, col compiere gli apostolati.
Quale gloria avrà il corpo in cielo, quando si raggiungerà lo splendore di Gesù stesso, di Gesù risorto, di Maria assunta, quando si raggiungerà anche la glorificazione di ogni senso, come nell’inferno ogni senso che ha servito al peccato avrà la sua punizione, per opposto. E quando il corpo sarà risuscitato immortale, immortale, quindi partecipe della immortalità dell’anima, quando sarà, cioè, ricostituito l’uomo com’è; quando sarà risuscitato impassibile, impassibile: «neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra» (Ap 21,4). Niente di quello che è sofferenza, niente di quello che è fatica. Gloria, riposo, glorificazione, invece, la leggerezza e tutti gli altri doni che hanno ornato il corpo ammirabile risuscitato di Gesù e il corpo ammirabile risuscitato di Maria.

Oh, sulla terra dobbiamo condannare il nostro corpo a molte mortificazioni: gli occhi, la fantasia, l’udito, il gusto, la lingua, il tatto, l’odorato; il cuore, in modo speciale; ma mentre che noi lo mortifichiamo, questo corpo, noi gli promettiamo altri godimenti, non è che siamo stolti da rinunziare soltanto, ma rinunziamo per guadagnare, per avere qualche cosa di meglio, come un «do ut des», uno che spende del denaro per acquistare una cosa più preziosa. Colui che cercando perle ne trova una preziosissima e dette tutto il suo pur di acquistarla (cfr. Mt 13,45-46).
La mortificazione che importa la povertà; il compiere quello che è il nostro dovere quotidiano; l’osservanza della virtù della temperanza, intendo quella che viene indicata quando si parla delle virtù cardinali: fortezza e temperanza: temperare i desideri, mortificare tanti desideri, qualche volta anche di bene. E la fatica, e i dolori del corpo? Un po’ tutti dobbiam soffrire. Del resto, la vita si conchiude per una sofferenza, per un dolore e i giorni che antecedono la morte sono come una preparazione; i malanni vanno sempre più crescendo finché arriva l’ultimo, il quale ci toglie dalla vita presente, da questa valle di lacrime. E il corpo subirà l’umiliazione del sepolcro, il disfacimento, perché la morte continuerà l’opera sua anche nel sepolcro. E poi le fatiche. Si occupa il tempo.
La osservanza dell’orario richiede tanti sacrifici, tanti, come una ginnastica continua, spirituale, ginnastica morale; ad ogni momento abbiamo da abbracciare la volontà di Dio con letizia: piace al Signore, piace, dunque, anche a me. E allora, con generosità, il volere santo di Dio. Oh! le fatiche dell’apostolato, del servizio sacerdotale, le fatiche del servizio liturgico alla Chiesa, più di tutto la fatica del servizio eucaristico, dell’apostolato eucaristico. Anche la preghiera, se si ha da fare bene, è fatica, e il lavoro interiore importa una continua vigilanza e preghiera: «Vigilate et orate» (Mt 26,41).
Ma sempre dovremo faticare, soffrire? Tristitia vestra verteturin gaudium» (Gv 16,20), la vostra tristezza si muterà in gioia. Contempliamo, dunque, Gesù risorto; contempliamo Maria assunta. Ecco la nostra via. Come Gesù, il Maestro Divino, passare «per multas passiones et tentationes» per arrivare alla gloria. «Nonne oportebat sic Christum pati et ita intrare in gloriam suam?» (Lc 24,26). Non era forse necessario che Gesù patisse e attraverso i

patimenti entrasse nella sua gloria? E diciamolo di ognuno. E la Pia Discepola non dev’essere, non può essere diversa dal suo Maestro. Non vi è discepolo sopra il Maestro (cfr. Mt 10,24). La sorte che è toccata a Gesù toccherà e deve toccare a noi, ma a noi l’abbracciarla col cuore stesso con cui Gesù ha accettato le sue sofferenze e si è offerto vittima e ostia di glorificazione del Padre e di salvezza degli uomini. «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta» (Lc 22,42). Non come voglio io, ma come vuoi tu. E là abbracciò la croce, e iniziò il suo viaggio al calvario. Ecco che alla fine può dire: «Consummatum est» (Gv 19,30). Ho bevuto il calice fino al fondo. «Consummatum est». Come san Paolo, così egli ha voluto esprimersi come il Maestro Divino: «cursum consummavi» (2Tm 4,7).
Ora, significa che abbiamo da essere fedeli a Gesù e far star soggetto il nostro corpo allo spirito finché sarà compiuto il volere di Dio. Viene il momento in cui tutto è finito: «consummatum est». E allora si apre l’orizzonte di luce e di amore eterno: il paradiso. Intendiamo, allora, come conclusione, l’ammonimento del Padre celeste: «Ipsum audite» (Mt 17,5). Ascoltatelo. E cioè: quello che insegna nel Vangelo dobbiamo considerare: «Chi vuol venir dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Chi vuol venir dietro di me in paradiso, alla risurrezione gloriosa. «Ascoltatelo». E noi pieghiamoci davanti al Padre celeste e rispondiamo un bel «sì». E facciamo della nostra vita una catena di «sì», fino all’ultimo, quando il Signore ci inviterà: «intra in gaudium Domini tui» (Mt 25,21.23). Vieni nel gaudio del tuo Signore.

Beato Giacomo Alberione