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IL LIBRO DI BARUC
che riconosce la causa dei mali nella disobbedienza alla voce del Signore (1,17). Essa provocò la collera divina. Per questo scaturirono molti mali: «furono resi schiavi, non padroni» (2,5), ricevettero obbrobrio, maledizione e condanna (3,8), morte prematura (3,11), schiavitù (4,31-35). Gli esuli, consapevoli del loro peccato, si rivolgono a Dio per domandargli la salvezza (2,11–3,8). E confessano «abbiamo abbandonato la fonte della Sapienza» (3,12), affliggendo anche la madre che li ha nutriti, cioè Gerusalemme (4,6-8), la quale sarà punita per i peccati dei suoi figli (4,12-13). Il Signore è l’unico in grado di concedere la salvezza. Se abbandonano il loro peccato, Dio li perdonerà e li farà tornare a Gerusalemme, comunità ospitale e feconda (4,5-5,9). Un originale testo poetico sapienziale Scegliamo di approfondire questa parte (3,9-4,4) perché il Lezionario della Veglia Pasquale tra la lettura del profeta Isaia ed Ezechiele ne propone alcuni versetti (Bar 3,9-15.32-4,4). Come mai? Nella quinta (Is 55,1-11) e nella settima lettura (Ez 36,16-28) spicca l’immagine dell’acqua, nella sesta (Bar 3,9-15.32-4,4) quella della luce. Nella tradizione cristiana le due immagini evocano il battesimo, come menzionato nella eucologia dopo il testo di Baruc e il salmo responsoriale. La luce della sapienza diventa la luce di Cristo Risorto che noi riceviamo per essere a nostra volta luce per il mondo. L’invito iniziale (3,9-14) Il messaggio è sintetizzato in tre verbi: «ascolta, porgi l’orecchio e impara». «Ascolta, Israele» riprende Dt 4,1; 5,1; 6,4 ma anche i testi i sapienziali. L’ascolto e il porgere l’orecchio sono la condizione indispensabile perché l’insegnamento diventi fruttuoso (cfr. Pr 1,8; 4,1.10; 5,7; 8,22-23) «Se ti è caro ascoltare, imparerai; se porgerai l’orecchio, sarai saggio» (Sir 6,33). L’ascolto è diretto ai “comandamenti della vita”, alla “prudenza” che coincide con “la conoscenza” e “la Sapienza” espressa nella legge del Signore, che conduce alla vita (cfr. Dt 30,16). Osservare la Legge equivale a seguire la Sapienza, che porta alla vita; abbandonarla equivale a morire. I versetti 10-13 ricordano che i dispersi d’Israele languiscono perché si sono allontanati dalla Legge. In terra straniera sono invecchiati, si sono contaminati in mezzo ai pagani, sono scesi nella fossa, privi di ogni speranza. Sembrano vivi, in realtà sono dei morti viventi, perché hanno voltato le spalle alla fonte della Sapienza, che sono i comandamenti divini, cioè Dio stesso. In queste parole appare una eco delle parole di Geremia: «Il mio popolo ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne screpolate che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). Raggiungere la fonte della Sapienza non è facile; Israele deve impegnarsi a imparare dove si può trovare la prudenza, la forza, e l’intelligenza. Parte centrale (3,15-4,1) Comincia con una domanda: «Chi ha scoperto la sua dimora, chi è penetrato nei suoi forzieri?» (3,15; cfr. 3,30). Il pronome “chi” indica che il vero problema non è la Sapienza in sé stessa, ma è identificare chi la conosce e sa dove si trova. Nessuno può accedere alla Sapienza e nessuno conosce la via per arrivare fino ad essa; nessuno può seguire le tracce del suo sentiero. Come pure nessuna attività, sforzo o successo umano può conquistare la Sapienza perché essa è inaccessibile agli uomini (cfr. Dt 30,12-13). La via della Sapienza è accessibile soltanto a “Colui che sa tutto”, al Creatore dell’universo (cfr. Gb 28,23-27). La Sapienza è prerogativa esclusiva di Dio, egli la possiede e la conosce e può concederla in dono a chi vuole. I due verbi “apparire” e “convivere”, riferiti alla Sapienza, dovrebbero tradursi al femminile (traduzione accolta dalla CEI), benché la loro forma sia comune ai due generi. La versione latina e quella siriaca hanno preferito il maschile: «Per questo egli è apparso sulla terra e ha vissuto tra gli uomini» (cfr. 3,38). Così leggono Baruc alla luce di Cristo, e interpretano che la Sapienza divina è Gesù, il Figlio di Dio, che come Verbo del Padre è venuto ad abitare in mezzo a noi. Questa lettura cristologica è dei Padri greci e latini (come Ireneo, Origene, Eustazio di Antiochia, Atanasio e Cirillo) che la propongono durante e dopo la controversia ariana del secolo IV d.C. Per Baruc, in sintonia con il Deuteronomio (4,5-14) e Ben Sira (24,23), la Sapienza è Legge, “il libro dei decreti di Dio”. La Sapienza che Dio dona a Israele, identificata con la Legge (Torah) racchiude la rivelazione divina che è per la vita: «Essa è il libro dei decreti di Dio e la legge che sussiste in eterno; tutti coloro che si attengano ad essa avranno la vita, quanti l’abbandonano moriranno» (4,1). Invito finale (4,2-4) La conclusione riprende l’esortazione iniziale ma con una notevole differenza. All’inizio si rivolge a un popolo demoralizzato a causa del peccato; alla fine culmina con un invito alla gioia e alla felicità, grazie all’avvenuta conversione. Infatti ai tre imperativi iniziali: «ascolta, porgi l’orecchio e impara» fanno eco «ritorna, accoglila e cammina» (4,2) che accentuano l’urgenza della conversione: PER LA RIFLESSIONE PERSONALE: La Liturgia della Veglia Pasquale proclama parte dell’inno alla Sapienza di Baruc. Rileggi Baruc 3,9-4,4 e, alla luce del nostro approfondimento, condividi ciò che questo inno suggerisce al tuo cuore. Suor Filippa Castronovo, fsp |