E, ancora, vede e soffre vedendo ai nostri giorni, in tante parti del mondo, esercizi del potere che si nutrono di sopraffazione e violenza, che cercano di aumentare il proprio spazio restringendo quello degli altri, imponendo il proprio dominio e limitando le libertà fondamentali, opprimendo i deboli. Dunque – dice Gesù – esistono conflitti, oppressioni e inimicizie.
Di fronte a tutto ciò la domanda importante da porsi è: che cosa fare quando ci troviamo a vivere situazioni del genere? La proposta di Gesù è sorprendente, ardita, audace. Egli chiede ai suoi il coraggio di rischiare in qualcosa che sembra apparentemente perdente. Chiede di rimanere sempre, fedelmente, nell’amore, nonostante tutto, anche dinanzi al male e al nemico. La semplice reazione umana ci inchioda all’«occhio per occhio, dente per dente», ma ciò significa farsi giustizia con le stesse armi del male ricevuto. Gesù osa proporci qualcosa di nuovo, di diverso, di impensabile, qualcosa di suo: «Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (v. 39). Ecco che cosa ci domanda il Signore: non di sognare irenicamente un mondo animato dalla fraternità, ma di impegnarci a partire da noi stessi, cominciando a vivere concretamente e coraggiosamente la fraternità universale, perseverando nel bene anche quando riceviamo il male, spezzando la spirale della vendetta, disarmando la violenza, smilitarizzando il cuore. Gli fa eco l’Apostolo Paolo, quando scrive: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21).
Dunque, l’invito di Gesù non riguarda anzitutto le grandi questioni dell’umanità, ma le situazioni concrete della nostra vita: i nostri rapporti in famiglia, le relazioni nella comunità cristiana, i legami che coltiviamo nella realtà lavorativa e sociale in cui ci troviamo. Ci saranno frizioni, momenti di tensione, ci saranno conflitti, diversità di vedute, ma chi segue il Principe della pace deve tendere sempre alla pace. E non si può ristabilire la pace se a una parola cattiva si risponde con una parola ancora più cattiva, se a uno schiaffo ne segue un altro: no, serve “disinnescare”, spezzare la catena del male, rompere la spirale della violenza, smettere di covare risentimento, finire di lamentarsi e di piangersi addosso. Serve restare nell’amore, sempre: è la via di Gesù per dare gloria al Dio del cielo e costruire la pace in terra. Amare sempre.
Veniamo ora al secondo aspetto: amare tutti. Possiamo impegnarci nell’amore, ma non basta se lo confiniamo nell’ambito ristretto di coloro da cui riceviamo altrettanto amore, di chi ci è amico, dei nostri simili, familiari. Anche in questo caso, l’invito di Gesù è sorprendente perché dilata le frontiere della legge e del buon senso: già amare il prossimo, amare chi ci è vicino, seppur ragionevole, è faticoso. In generale, è ciò che una comunità o un popolo cercano di fare per conservare la pace al proprio interno: se si appartiene alla stessa famiglia o alla stessa nazione, se si hanno le stesse idee o gli stessi gusti, se si professa lo stesso credo, è normale cercare di aiutarsi e di volersi bene. Ma che cosa succede se chi è lontano si avvicina a noi, se chi è straniero, diverso o di altro credo diventa nostro vicino di casa? Proprio questa terra è un’immagine viva di convivialità delle diversità, del nostro mondo sempre più segnato dalla permanente migrazione dei popoli e dal pluralismo di idee, usi e tradizioni. È importante, allora, accogliere questa provocazione di Gesù: «se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). La vera sfida, per essere figli del Padre e costruire un mondo di fratelli, è imparare ad amare tutti, anche il nemico: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (vv. 43-44). Ciò, in realtà, significa scegliere di non avere nemici, di non vedere nell’altro un ostacolo da superare, ma un fratello e una sorella da amare. Amare il nemico è portare in terra il riflesso del Cielo, è far discendere sul mondo lo sguardo e il cuore del Padre, che non fa distinzioni, non discrimina, ma «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti»
(v. 45). Fratelli, sorelle, il potere di Gesù è l’amore e Gesù ci dà il potere di amare così, in un modo che a noi pare sovraumano. Ma una simile capacità non può essere solo frutto dei nostri sforzi, è anzitutto una grazia. Una grazia che va chiesta con insistenza: “Gesù, tu che mi ami, insegnami ad amare come te. Gesù, tu che mi perdoni, insegnami a perdonare come te. Manda su di me il tuo Spirito, lo Spirito dell’amore”. Chiediamo questo. Perché tante volte portiamo all’attenzione del Signore molte richieste, ma questo è l’essenziale per il cristiano, saper amare come Cristo. Amare è il dono più grande, e lo riceviamo quando facciamo spazio al Signore nella preghiera, quando accogliamo la sua Presenza nella sua Parola che ci trasforma e nella rivoluzionaria umiltà del suo Pane spezzato. Così, lentamente, cadono le mura che ci irrigidiscono il cuore e troviamo la gioia di compiere opere di misericordia verso tutti. Allora capiamo che una vita beata passa attraverso le beatitudini, e consiste nel diventare operatori di pace (cfr. Mt 5,9).
Carissimi, io oggi vorrei ringraziarvi per la vostra testimonianza mite e gioiosa di fraternità, per essere in questa terra semi dell’amore e della pace. È la sfida che il Vangelo consegna ogni giorno alle nostre comunità cristiane, a ciascuno di noi. E a voi, a tutti voi che siete venuti a questa Celebrazione dai quattro Paesi del Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord – Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita –, nonché da altri Paesi del Golfo, come pure da altri territori, oggi porto l’affetto e la vicinanza della Chiesa universale, che vi guarda e vi abbraccia, vi vuole bene e vi incoraggia. La Vergine Santa, Nostra Signora di Arabia, vi accompagni nel cammino e vi custodisca sempre nell’amore verso tutti.
Papa Francesco |