Home| Chi siamo| Cosa facciamo| Perchè siamo nate | Spiritualità| La nostra storia | Libreria| Fondatore|Famiglia Paolina| Preghiere |Archivio | Links | Scrivici | Area Riservata |Webmail | Mappa del sito

 

IL LIBRO DI GIOBBE
(1)

 


Iniziamo lo studio del libro di Giobbe che ci impegnerà per diverso tempo. Il libro, infatti, oltre che lungo (42 capitoli) è pure complesso per il tema che tratta: la sofferenza del giusto, per come l’affronta e per la forma sapienziale/poetica che lo denota. Insigni studiosi della tradizione ebraica e di quella cristiana affermano che il libro di Giobbe più si studia più appassiona.
Il Talmud – testo che raccoglie l’insegnamento e le discussioni dei rabbini – narra che alcuni rabbini intenti a studiare il tempo in cui Giobbe visse, non trovarono un accordo comune. Alcuni proposero l’epoca di Mosè, altri quella di Giosuè, dei Giudici, del ritorno dall’esilio. Un maestro concluse: “Giobbe non è mai esistito.
È una parabola”. L’aneddoto mentre afferma la ricchezza del libro, avvete circa l’impegno che occorre per comprenderlo. San Girolamo nel Prologo a Giobbe della Vulgata scrive che interpretare Giobbe «è come tentare di tenere tra le mani un’anguilla o una piccola murena: più la stringi forte, più presto essa sfugge». Il teologo e filosofo Kierkegaard (Copenaghen, 1813-1855) scrisse: “Se non avessi Giobbe!... Ma avete letto Giobbe? Leggetelo, leggetelo e rileggetelo!... Pur avendolo letto e riletto, ogni parola mi risulta nuova”.

Giobbe, libro sapienziale o profetico?

Il canone biblico pone il libro di Giobbe tra i libri poetici/sapienziali. A differenza di questi, Giobbe non insegna con massime e/o proverbi ma attraverso la storia di un giusto che soffre fino allo spasimo, rimanendo fedele a Dio. La storia del protagonista non ha contatti con le vicende di Israele, da poterlo annoverare tra i “profeti anteriori” secondo il canone ebraico [il canone ebraico considera “profeti anteriori” i libri che il canone cristiano considera storici: Giosuè, Giudici, i libri di Samuele e quelli dei Re], né presenta le caratteristiche di un testo profetico classico. Noi consideriamo Giobbe tra i libri profetici perché seguiamo l’ottica dei padri della Chiesa i quali, tra i molti personaggi dell’AT, attribuiscono a Giobbe un posto esemplare soprattutto in chiave cristologica. Per i padri della Chiesa, Giobbe è profezia del giusto sofferente al punto da definirlo ‘profeta’ e ‘martire’. San Gregorio Magno, nel suo commento a Giobbe, scritto nell’arco di trenta anni, nell’innocente provato, pur non avendo alcuna colpa, vede una prefigurazione di Cristo, l’innocente che soffre ingiustamente. Il dramma di Giobbe anticipa il venerdì di Passione. Gregorio elabora anche una lettura ecclesiologica e, ad esempio, nella moglie che lo deride per la sua fede solida nella disgrazia, riconosce coloro che nella Chiesa conducono una vita indegna. Giobbe è ritenuto esemplare non perché ha sofferto ma per il suo modo di soffrire, non perché fu tentato dal demonio ma per come affrontò la tentazione, senza scendere a patti con il male ma discutendo e interrogando solo Dio.

Data di composizione e tema peculiare

Alcuni studiosi ritengono che la data di composizione corrisponda al ritorno dall’esilio babilonese (prima metà del V sec a.C.) quando il popolo d’Israele cominciò a interrogarsi sulla catastrofe che l’aveva colpito. L’esperienza di Giobbe narrata in questo libro non offre riferimenti storici da poterla collocare in un tempo e in una data precisa. Giobbe è noto già prima dell’esilio, sebbene come personaggio leggendario. Il profeta Ezechiele, per sottolineare la responsabilità personale, lo cita insieme a Noè e Daniele, (Ez 14,14.20).
Dalla presentazione biblica, si evince che Giobbe è uno “straniero” che viveva nella terra di Uz, paese di non facile collocazione geografica. Forse si riferisce agli edomiti (Gen 36,28) il popolo che gli ebrei non amavano (cfr. Is 34,5-6). La storia è narrata sullo stile di una favola, non racconta, infatti, una realtà documentata, ma presenta un testo letterario a carattere universale dove qualsiasi sofferente può identificarsi nel personaggio. Papa Francesco ci ricorda che «l’uomo non ha bisogno solo di abiti per coprire la propria vulnerabilità ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di ‘rivestirsi’ di storie per custodire la propria vita… La Sacra Scrittura è una Storia di storie» (Messaggio per la 54a giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 maggio 2020). Il libro di Giobbe affronta lo scandalo della sofferenza umana rivestendolo di una cornice storica. Il nome “Giobbe” si trova anche presso altri popoli del Medio Oriente e può significare “Dov’è il tuo Dio”, oppure “colui che lotta con Dio” o la persona “attaccata a Dio”. Come spesso accade, nella Bibbia il nome simboleggia la storia che tratta. Il biblista Roberto Vignolo interpreta il nome Giobbe come sintesi delle domande del libro: «Sei tu, Dio, per me Padre o nemico? Oppure sarò io nemico per te? Perché, Dio, mi tratti come un nemico?» (cfr. 13,24; 19,11; 33,10).

La trama del libro è lineare: Giobbe simile a un patriarca possiede beni e ogni sorta di ricchezze: «Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e una servitù molto numerosa. Quest’uomo era il più grande fra tutti i figli d’oriente» (Gb 1,2-3). Senza avere commesso alcuna colpa, perde figli, ricchezze, stima, rispetto, importanza, amici, salute, fino a ridursi a una larva umana: «Ricoperta di vermi e di croste polverose è la mia carne» (Gb 7,5). Ridotto a larva che si gratta le piaghe non si abbatte e contrastato dalla moglie e dagli amici, discute e interroga Dio il quale, dopo una lunga battaglia e un lungo silenzio, gli si rivelerà in modo nuovo.

Satana all’origine del male

All’epoca in cui il libro fu redatto, si riteneva che Dio avesse una corte celeste con dei funzionari, tra cui Satana. Questo personaggio in questo libro non corrisponde al diavolo come lo intendiamo noi. È, comunque, un essere ambiguo che controlla le persone e non si capisce se desideri il loro bene o il loro male. Satana si presenta al Signore, dicendo: «“Forse che Giobbe teme Dio per nulla?... Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!”. Il Signore disse a Satana: “Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui”. Satana si ritirò dalla presenza del Signore» (Gb 1,9-12). I primi due capitoli, che sono introduttivi, narrano la prova indicibile che si abbatte su Giobbe ed egli provato, come oro nel crogiolo, resta saldo nella sua fede.
Il libro di Giobbe affronta questi “perché”: è facile nel benessere vivere la fedeltà a Dio, ma il giusto se è provato dalla sofferenza persevera? Come conciliare la presenza del male con Dio che è buono? E perché non interviene a favore del giusto sofferente? Chi è il Dio a cui ci si affida? Di quale giustizia è garante? Chi è l’uomo dinanzi a Dio? Giobbe non lo sa – ma lo sa il lettore – che la sua disgrazia proviene da Satana e soffrendo continua a credere nella bontà di Dio. Alla moglie che gli dice: «“Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!” risponde: “Tu parli come parlerebbe una stolta! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?”. In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra» (cfr. Gb 2,9). Allo scherno della moglie, si aggiungono i ragionamenti dei tre amici che cercano di convincerlo ad ammettere che la sua sofferenza è dovuta a una colpa.

Giobbe, una diversa sapienza

La sofferenza da sempre ha suscitato scandalo e ha interrogato l’umanità. I sapienti antichi babilonesi ed egiziani hanno proposto varie soluzioni. Convinti che la devozione placa l’ostilità della divinità, propongono di superare il male con la rassegnazione. Giobbe, invece, non si rassegna, anzi discute, pone domande ed esige da Dio una risposta. Altre volte i sapienti pagani verso la divinità, che ritengono capricciosa, assumono atteggiamenti polemici. Giobbe, invece, convinto che Dio è buono, non osa ritenerlo colpevole del male ma s’interroga fino allo spasimo per capirne le ragioni. Un’altra soluzione pagana è la fuga dalla sofferenza anche con il suicidio. Giobbe non accetta vie di fuga e non pensa al suicidio. Nella sofferenza ingiusta, si confronta con il Dio buono, nel quale crede.
Il libro di Giobbe mette in crisi la teoria classica della retribuzione e della prova secondo la quale il giusto è benedetto e l’empio maledetto (cfr. Sal 1). La sua esperienza mostra che il giusto non sempre è premiato. Se fosse vero lui non dovrebbe soffrire. Giobbe contesta pure la teoria della prova perché, in quanto tale, deve cessare, lui è, invece, provato fino ad avviarsi alla morte. Giobbe insegna che il credente vive il dolore senza vie di fuga o ragionamenti astratti. Il credente parla a Dio, gli si rivolge con il “tu” come tra amici, soprattutto nel buio, quando la parola diventa grido. «La fede è grido a Dio, la non-fede è soffocare quel grido… La fede è protesta contro una condizione penosa di cui non capiamo il motivo; la non-fede è limitarsi a subire una situazione a cui ci siamo adattati» (Francesco, Udienza generale, 6 maggio 2020).

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) “La Sacra Scrittura è Storia di storie”: che tipo di storia è quella di Giobbe? Perché ci riguarda?

2) Leggi i primi due capitoli del libro di Giobbe e i Salmi 1; 32; 38; 88 e domandati: anche io sono convinta che il giusto è sempre premiato e il cattivo castigato?

Suor Filippa Castronovo, fsp