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LA PACE DEL GIUSTO

 

Nella seguente meditazione il Beato Giacomo Alberione ricorda: «Quanto più un’anima è santa e unita a Dio, tanto maggiore è la consolazione e la pace interiore che gode» (Per un rinnovamento spirituale, pp. 214-217).

Il Signore, nella sua immensa bontà, vuole che noi anche sulla terra abbiamo una pregustazione delle delizie del cielo. E cioè: che noi abbiamo come una prima beatitudine, sebbene incompleta e sempre mescolata con pene. Questa pace, questa serenità del giusto formano il fine di questa meditazione. Essere ben persuasi che con Dio si sta meglio che col mondo e col demonio. Diceva S. Teresa (d’Avila): «Vale più una goccia di soddisfazione del Signore che non mille soddisfazioni mondane. Soddisfa meglio il cuore una piccola consolazione del Signore, che è come una carezza divina all’anima fedele». Due sentenze sono nella Scrittura: «Non est pax impiis», non c’è pace per gli empi (Is 57,21). Corrono cercando la pace, cercando nelle consolazioni umane una soddisfazione, che essi non proveranno mai. S’ingannano. L’uomo è inclinato alla felicità e la cerca, ma il peccatore sbaglia l’oggetto della sua consolazione e della sua felicità. Il Signore ci ha fatti per sé (S. Agostino: «Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te». Confessioni, 1,1) e tutto il resto finisce in amarezza. Vi è un’altra sentenza che dice: «Pax multa diligentibus legem tuam», (Sal 119/118,165: «Grande pace per chi ama la tua legge») molta pace a chi segue Iddio, a chi obbedisce alla sua legge. Quando Gesù risuscitò da morte e comparve agli Apostoli, che per timore stavano barricati in casa, tre volte ripeté il saluto: «Pax vobis» (Lc 24,36: «Pace a voi»). Tra un saluto e l’altro, noi sappiamo quali assicurazioni Egli diede sulla verità della sua risurrezione. Il giusto, l’anima in grazia di Dio, ha pace col Signore, ha pace con se stessa e ha pace con il prossimo.

1. Ha pace col Signore, l’anima in grazia. Colui che veramente ama la giustizia, cioè declina dal male, si allontana dal peccato e cerca il bene, ha pace con Dio. Perché, sebbene la vita di tutti trascorra fra difficoltà e fatiche, compresa la vita dei santi, ciò avviene solo in superficie; ma non bisogna guardare solamente alla superficie. Il giusto, anche se appare qualche volta tribolato, dentro al cuore si sente con Dio, porta Iddio con sé: Dio abita nella sua anima.

«Vos templum Dei estis», siete il tempio di Dio (1Cor 3,17). E questo Dio che è beatissimo, felicissimo, che cosa porta nell’anima? Un riflesso di quella beatitudine, di quella felicità che ha Egli stesso da tutta l’eternità. Quando invece nell’anima abita il diavolo per il peccato? «Nolite locum dare diabolo» (cfr. Ef 4,27: «Non date occasione al diavolo») non fate posto al demonio nel vostro cuore. Quando abita il demonio in un cuore, egli porta quello che ha: l’inferno, e quindi un verme che rode l’anima. Sebbene il mondano cerchi di divagarsi, cerchi di effondersi in divagazioni e rida e scherzi e appaia come l’uomo più felice del mondo, dentro c’è qualche cosa che trafigge l’anima. Dice S. Basilio: «Credi tu di soddisfarti con i piaceri della terra? Tu vuoi fare come quell’uomo del Vangelo, il quale dice: Quest’anno i raccolti sono stati straordinari; i granai non contengono tutto il raccolto, le cantine non contengono più tutto il vino, le stalle non contengono più tutti gli animali. Posso adesso riposare e mangiare e divertirmi (cfr. Lc 12,19). Tu hai forse l’anima di un porco da saziarti di ghiande? No, il rimorso, la pena interiore è qualcosa che si cerca di nascondere, di dissimulare: non sempre si riesce. Un velo di tristezza, specialmente quando si è soli, copre il volto ed è il riflesso di una pena interiore». Quando invece sentiamo che Dio è con noi, si guarda il cielo: lassù ci hanno preceduti quelli che sono vissuti prima: i santi, quelli stessi della nostra famiglia che sono stati buoni. Quando il giusto è tribolato, spera in Dio, si appoggia a lui, e quando anche deve fare un sacrificio, dice: Mi sarà ben pagato; non lavoro inutilmente, lavoro per Dio, che è fedelissimo e paga i suoi servi a misura delle opere. San Francesco d’Assisi, ridotto alla povertà, in uno stato in cui era tanto disprezzato, sentiva come un paradiso nella sua anima e diceva: «Dio mi basta». E San Filippo Neri era talvolta tanto consolato da Dio (specialmente alla sera, pensando alla Messa dell’indomani, a cui già si era preparato), che non poteva prendere riposo. E diceva con tutta semplicità: «Gesù, lasciatemi dormire». E cioè: rallentate un po’ le vostre consolazioni, perché possa prendere un po’ di riposo. Sono queste le esclamazioni di certi mondani, di certi peccatori, man mano che si avvicina la fine dei loro giorni? Come diventano tetri! Come non osano alzare gli occhi al cielo! Non si sentono di esclamare: «Padre nostro che sei nei cieli». Ma dovrebbero farlo: il Padre nostro che è nei cieli li aspetta ancora. E ancora indica loro il paradiso: ma la quantità dei loro peccati è qualche cosa che pesa sulla loro anima. Fortunati se almeno sapranno rientrare in se stessi e dire: «Ritornerò al Padre mio» (Lc 15,18).

2. Il giusto ha pace con se stesso, perché in lui vi è l’ordine. Una ragione che comanda ai sensi, uno spirito che domina tutto l’essere e tutte le potenze sono sotto una volontà illuminata dalla fede. Il giusto cammina verso Dio, ha pace con se stesso. Ecco: «Non darei tutto quello che può offrirmi il mondo per un giorno di questa pace», diceva un santo che aveva rinunziato a tutto. Egli intendeva di trovare quella pace solo in Dio.

3. L’anima in grazia ha pace col prossimo, perché chi è retto cammina per la sua via e alla fine riceverà stima e una certa ammirazione. Tratta bene tutti ed è, in fondo, da tutti rispettato; ha buone relazioni con ogni fratello, e con ognuno cerca di mostrarsi generoso. Non sempre gli uomini comprendono questa realtà, come non hanno compreso Gesù Cristo. Anche mentre andava a patire e a morire, Gesù Cristo aveva nel suo cuore una grande pace. Al contrario, non erano in pace i suoi persecutori, neanche quando lo videro spirare: ricorsero ancora a Pilato, temendo la sua risurrezione (cfr. Mt 27,62-66); presentivano che Gesù Cristo avrebbe trionfato di loro. Vale dunque la pena di vivere in afflizioni, per morire male e poi meritarsi un’eternità infelice? Quando i dannati nell’inferno guardano in alto e vedono i giusti salvi, esclamano: «Ergo erravimus»: abbiamo sbagliato. «Vitam illorum estimabamus insaniam, finem illorum sine honore» (cfr. Sap 2,21 e 3,2: «La loro vita ci pareva stolta, la loro fine una sciagura»). Noi abbiamo cercato la felicità dove non c’era. Credevamo che quei compagni, i quali erano sempre obbedienti, caritatevoli, applicati ai loro doveri, fedeli ai loro uffici e alla loro vocazione; credevamo che essi sbagliassero, che noi fossimo i furbi, noi che sapevamo soddisfarci! «Erravimus, et lux veritatis non luxit nobis». («Abbiamo sbagliato, e la luce della verità non è brillata per noi», cfr. Sap 5,6). Noi ora saremo per sempre tormentati. Che cosa ci ha giovato l’orgoglio? Che cosa ci ha giovato la ricchezza? Che cosa ci ha giovato il piacere?
Oh! chi potrebbe invece comprendere il gaudio dei beati, e come essi in Paradiso ringrazino il Signore? E lo ringrazieranno per tutta l’eternità, per avere loro dato la forza di compiere sulla terra la missione e i disegni che Dio aveva sopra di loro. San Paolo, in carcere, scrive: «Sovrabbondo di gioia nelle mie tribolazioni» (cfr. 2Cor 2,4). Che cosa proverà adesso, che non è più in carcere, ma lassù nella celeste Gerusalemme, nel gaudio dei Santi? Chi potrà comprendere la sua consolazione? E veramente può dire: «Nessun cuore ha mai gustato ciò che Dio ha preparato ai suoi eletti», ai suoi servi fedeli (cfr. 1Cor 2,9). Sappiamo cercare la vera pace? Noi invidiamo qualche volta il mondo, i peccatori. Crediamo proprio che chi prende la via larga, la indovini? È una via che mette in triste luogo, ha una cattiva fine. Mai invidiare i mondani: compatirli e pregare. E fermezza! Fermezza nella via buona, sempre fermezza. Fermezza nel lavorare ogni giorno per la nostra santificazione. Fermezza nel lavorare per la salvezza delle anime. Quanto più un’anima è santa e unita a Dio, tanto maggiore è la consolazione e la pace interiore che gode. Che cosa s’intende per pace? Pace è il complesso di tutti i beni. Quindi, quando diciamo «Gloria Deo, pax hominibus », auguriamo agli uomini tutti i beni. Godiamo noi veramente la pace di Dio? Siamo veramente, intimamente e continuamente uniti a Dio? Lavoriamo con intensità, per escludere sempre più il difetto, il male, le imperfezioni, e quindi stringerci sempre di più al Signore? Lavoriamo davvero di spirito? La luce ci risplenda sempre davanti agli occhi (cfr. Mt 5,16). Cerchiamo la pace dove sta; cerchiamo la felicità dove abita; cerchiamo Iddio sulla terra, e lo possederemo in Paradiso.

Beato Giacomo Alberione