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IL DIVIN MAESTRO

 

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Carissime Annunziatine,

l’ultima domenica del mese di ottobre la Famiglia Paolina celebra la festa liturgica di Nostro Signore “Gesù Cristo Divin Maestro”. La festa venne riconosciuta dalla Santa Sede il 20 gennaio 1958 e don Muzzarelli, che ci aveva lavorato tanto come Procuratore Generale, la poté vedere solo dal Cielo. Don Speciale, nel suo Diario, ricorda le parole dette da don Alberione ad Albano, venerdì 22 giugno 1956 all’indomani della sua morte, riguardo a tre cose importanti che don Federico Muzzarelli non aveva potuto completare: la Casa di Esercizi di Ariccia; sulle Costituzioni (specie delle Pastorelle) e un lavoro su alcuni Istituti di stato laicale; «e specialmente la pratica della festa del Divin Maestro. Nel pronunciare le ultime parole dette da D. Federico prima di morire: “Io muoio contento e desidero intercedere anche dal paradiso affinché venga approvata la festa liturgica del Divin Maestro” il Primo Maestro non riuscì più ad andare avanti: ebbe come un nodo alla gola e troncò il discorso».

Devozione: adesione integrale dell’uomo

Il termine “devozione” oggi non piace, sa di antiquato. Ma era la parola usata normalmente da don Alberione, egli non usava le parole “spiritualità” o “carisma” che noi oggi adoperiamo. Il termine ha una lunga storia nella tradizione spirituale Occidentale. San Francesco di Sales è considerato “l’apostolo della divozione”.
Sia che noi usiamo il termine “devozione”, “spiritualità” o qualsiasi altra espressione c’è bisogno che vi comprendiamo la totale adesione dell’uomo: mente, volontà e cuore. Una spiritualità che tocchi solo l’intelletto o solo gli affetti, per don Alberione è insufficiente. «Vivere bene la devozione a Gesù Maestro Via, Verità e Vita e saranno santificati: mente, cuore, forze... Vi sono suore che non amano Gesù con tutta la mente, non credono, non hanno i principi di fede, e vi sono suore che amano il Signore con tutta la mente e prendono tutto» (Alle Figlie di San Paolo 1955, n. 122).

Dare tutto Cristo all’umanità di oggi

Per don Alberione il culto a Gesù Maestro Via, Verità, Vita indica il pieno contenuto del nostro evangelizzare: predichiamo tutto Cristo e non solo una parte. Dunque se da parte nostra dobbiamo aderire in modo totale, anche il nostro insegnamento il nostro evangelizzare deve essere totale: “tutto Cristo a tutto l’uomo”. La nostra devozione a Gesù Maestro è anche la misura del contenuto del nostro apostolato. È molto istruttivo che il Fondatore ha voluto mettere nel volume “Apostolato Stampa” del 1933 la Messa in onore di Gesù Maestro (cap. 11) e la Festa a Gesù Maestro (cap. 27). La diffusione della “devozione” a Gesù Maestro – assieme a quella della Regina degli Apostoli e a san Paolo – non deve essere mai disgiunta dal nostro apostolato paolino: ne è il contenuto più profondo, al punto che il Primo Maestro può affermare: «Poiché io non ho né oro, né argento, ma vi dono di quello che ho: Gesù Cristo Via, Verità e Vita» (CVV p. 172). In don Alberione c’è una visione complessiva, ogni elemento è in giusto rapporto con tutto il resto: come in un grande affresco, a stupire non sono i particolari ma la forza di tutto quello che è rappresentato. Allora si comprende che dobbiamo diffondere, predicare di tutto, ma a partire da Gesù e affinché ogni uomo conosca in pienezza il Figlio di Dio. L’eredità del Fondatore su questo argomento dovrà essere ancora molto approfondita, specie per quanto riguarda lo specifico di «Via Verità e Vita» che va compreso sì in modo cristologico (così Gesù stesso si è definito in Gv 14,6) ma anche in modo Trinitario.

Divin Maestro

Lo stesso titolo liturgico si ferma al “MaestroDivino”. Del resto dobbiamo ancora comprendere cosa questo significa per don Alberione in modo esaustivo. Don Alberione ha avuto su questo punto una illuminazione che lo ha anche lasciato con una certa afasia, cioè una incapacità di esprimere in maniera adeguata quello che aveva inteso. Per questo ha cercato o fatto studiare affinché si potesse approfondire la nostra spiritualità. Dopo aver affidato a don Roatta lo studio su Gesù Maestro non rimase soddisfatto, poi lo affidò a don Dragone e anche questo tentativo è rimasto inconcluso. Lo chiese anche a don Lamera... Don Roatta fece una preziosa e intelligente ricerca di come il termine “maestro” è stato usato lungo i secoli, ma ha dimostrato che quanto intuito da don Alberione è nuovo e non ancora espresso. Don Dragone afferma che la devozione a Gesù ha il suo culmine nella devozione al Sacro Cuore, ma che quella al Divin Maestro la supera.
Don Alberione ha intuito l’esigenza di usare un termine usato dai discepoli stessi con Gesù e che avesse insieme la pienezza di un titolo cristologico. I discepoli, che parlavano in aramaico, si rivolgevano a Gesù usando i termini “Maestro” e “Signore” (cfr. Gv 13,13). Il termine che ha meno problemi nella traduzione è “Signore”, cioè Kyrios in greco e “dominus” in latino. Difatti “Kyrios/Dominus/ Signore” è uno dei termini preferiti in tutte le liturgie ed anche nel nostro linguaggio comune. Il termine “rabbì” è abbastanza traducibile in latino ma non in greco. La radice “rav” significa “grande” come in latino la radice “mag” significa grande (da cui viene sia “magister” che “magnus”). In greco invece si usano altre parole: pedagogo, precettore, insegnante, ecc. C’è anche un problema culturale. Tra il primo secolo a.C. e il secondo secolo d.C., i pedagoghi e i precettori erano degli schiavi o comunque pagati dai ricchi per educare i loro figli.
Ma questo non poteva descrivere la grandezza e la divinità del significato se applicato a Gesù. Del resto anche noi dobbiamo usare l’espressione “Divin Maestro”. Gesù non è un maestro come gli altri: è uomo e Dio. L’intuizione da non perdere di don Alberione è che noi ci dobbiamo rivolgere a Gesù con la stessa vicinanza ed affetto con cui i discepoli si rivolgevano personalmente a Gesù ed insieme con la riverenza di riconoscerlo nostro Dio e Signore di tutto l’universo.

Don Gino