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“DIO RACCOLSE
NELLA FAMIGLIA PAOLINA
MOLTE RICCHEZZE”

 

Nel mese in cui celebriamo la memoria del Beato Giacomo Alberione ripercorriamo con lui alcune tappe degli inizi e lodiamo il Signore per le abbondanti ricchezze della Sua Grazia (Abundantes Divitiae gratiae suae, pp. 41-43; Appendice I).

Il progetto fondazionale: dalla organizzazione alla vita comune-religiosa

Pensava dapprima ad un’organizzazione cattolica di scrittori, tecnici, librai, rivenditori cattolici; e dare indirizzo, lavoro, spirito d’apostolato... Verso il 1910 fece un passo definitivo. Vide in una maggior luce: scrittori, tecnici, propagandisti, ma religiosi e religiose. Da una parte portare anime alla più alta perfezione, quella di chi pratica anche i consigli evangelici, ed al merito della vita apostolica. Dall’altra parte dare più unità, più stabilità, più continuità, più soprannaturalità all’apostolato. Formare una organizzazione, ma religiosa; dove le forze sono unite, dove la dedizione è totale, dove la dottrina sarà più pura. Società d’anime che amano Dio con tutta la mente, le forze, il cuore (cfr. Mc 12,30); si offrono a lavorare per la Chiesa, contente dello stipendio divino: «Riceverete il centuplo, possederete la vita eterna» (cfr. Mt 19,29). Egli esultava allora considerando, parte di queste anime, milizia della Chiesa terrena, e parte trionfanti nella Chiesa celeste.
Nella preghiera che presentava al mattino col calice al Signore: la prima idea era quella parte dei Cooperatori che oggi (dicembre 1953) è ancora limitata, ed è cooperazione intellettuale, spirituale, economica; la seconda idea era la Famiglia Paolina: intenzioni che Gesù-Maestro esaudisce ogni giorno. Circa il 1922 cominciò a sentire la pena più forte, appena entrato nella prima casa costruita. Ebbe un sogno (cfr. AD 151ss). Vide segnato il numero 200; ma non comprese. Poi sentì dirsi: «Ama tutti, tante saranno le anime generose. Soffrirai però per deviazioni e defezioni; ma persevera; riceverai dei migliori». Il duecento non aveva alcuna relazione con quanto sentì. Tuttavia tale pena sempre gli rimase come una spina affondata nel cuore. [Questa “pena”, «come una spina affondata nel cuore» (cfr. 2Cor 12,7), si comprende meglio alla luce di un racconto parallelo del 1938: «Quando si doveva acquistare questo terreno, i giovani son venuti a ricrearsi in questo luogo:

io guardavo in su e in giù... e pensavo se era volontà di Dio che affrontassi queste spese... e mi è sembrato di essermi un momento addormentato: il sole splendeva finché le case si costruivano; poi il sole si oscurava, e io vedevo che il dolore più grande era dato da quelli chiamati da Dio, che poi avrebbero abbandonato la vocazione...» (MV 138). Si rilevi qui l’aggiunta manoscritta dell’A. che esclude ogni riferimento al numero “200”].

L’agire di Dio e la “duplice obbedienza”

Dio raccolse nella Famiglia Paolina molte ricchezze: “divitias gratiæ” (cfr. Ef 2,7). Alcune ricchezze sembrarono arrivare più come un risultato naturale degli avvenimenti; altre più dalle lezioni delle persone illuminate e sante che accompagnarono il periodo della preparazione, nascita ed infanzia della Famiglia Paolina; altre più apertamente dall’azione divina. Qualche volta il Signore lo ha paternamente costretto ad accettare doni cui sentiva un’istintiva ripugnanza. Ugualmente fu di certe spinte a camminare. Ordinariamente natura e grazia operarono così associate da non lasciar scoprire la distinzione tra esse: ma sempre in un’unica direzione. Per maggior tranquillità e fiducia egli deve dire:
1) Che tanto l’inizio come il proseguimento della Famiglia Paolina sempre procedettero nella doppia obbedienza: ispirazione ai piedi di Gesù-Ostia confermata dal Direttore Spirituale [can. Francesco Chiesa]; ed insieme per la volontà espressa dai Superiori ecclesiastici. Il Vescovo (Mons. Giuseppe Francesco Re), quando si trattò di incominciare, fece suonare l’ora di Dio (aspettava il tocco di campana) incaricandolo di dedicarsi alla stampa diocesana [La “stampa diocesana”, ovvero il giornale a cui allude l’A., è la Gazzetta d’Alba], la quale aprì la via all’apostolato; e così quando si trattò dello sviluppo, poiché quando vide il cammino delle cose, assentì alla sua domanda di lasciare gli uffici a servizio della diocesi: «Ti lasciamo libero, provvederemo altrimenti; dèdicati tutto all’opera incominciata». Egli pianse amaramente, essendo assai affezionato alla diocesi; ma così da un anno aveva chiesto, ed il Direttore Spirituale aveva affermato essere tale la volontà di Dio.
2) Che senza il Rosario egli si [ri]teneva incapace anche di fare un’esortazione. Insieme è persuaso che molte altre cose si potevano fare con un po’ più di virtù; minor pusillanimità.
3) Che i membri dell’Istituto [L’Istituto sta per tutte le istituzioni da lui via via fondate] e persone esterne supplirono alle innumerevoli sue deficienze. E di più: che, dovendo pur conservare un segreto, la Famiglia Paolina ebbe segni numerosi e chiari di esser voluta dal Signore e dell’intervento soprannaturale della sua sapienza e bontà.

TESTIMONIANZA SUI PRIMI PAOLINI

Devo dire che per quattro anni Don Tito e Don Costa cui si aggiunsero presto Don Ambrosio (16 ottobre 1915] e Don Marcellino (16 ottobre 1916), furono i più generosi ed intelligenti nella vita paolina; veramente lo Spirito Santo lavorava tanto in quelle anime.
Quelli furono gli anni in cui solo la fede e l’amore a Dio sostennero quei primi figli di San Paolo. Non incontrai nella mia vita che qualche eccezionale e rara persona di simile pietà, virtù, dedizione.
Difficoltà esterne?... Il Signore non ne lasciò incontrare molte... Non si era né degni, né capaci a sostenerle. Tuttavia la guerra mondiale del 1914-18 fu per l’istituto prova così difficile, che l’ultima guerra (1939-45) vi si può paragonare solo come l’uno al cinque.
Le vere difficoltà sono sempre quelle interne. Si trattava di raggiungere bene il concetto e l’orientamento verso il Sacerdote-scrittore, una tecnica elevata ad apostolato, una diffusione che pervadesse ogni anima ed il pensiero moderno. Tra gli uomini succedono sempre errori; il Signore per sua misericordia e santità sempre umilia i superbi.
Fra varie occupazioni, ero costretto a lasciare i giovani buona parte del giorno in mano ad altri educatori, i quali, sebbene buoni, non aderivano allo spirito paolino ed educavano come se si trattasse di giovani di un ricovero, destinati ad imparare il mestiere del tipografo. Tante volte non si poteva dire ciò che sarebbe stato necessario; si doveva tacere. Ma questi quattro primi erano fedelissimi, prudenti, fervorosissimi nelle direttive ricevute. Più tardi, avvenuta la separazione tra i giovani operai di Don Rosa e questi quattro Paolini, cui presto s’aggiunsero altri, la Famiglia prese a procedere benissimo. Così succedeva che io ne ero perfettamente sicuro e tranquillo anche quando ero assente: tanto era in loro l’amore alla Famiglia nascente.
Il primo agosto 1916 era pure entrato il piccolo Matteo Borgogno che, per quanto più giovane di età e di studio dei quattro precedenti, seppe rendersi subito utilissimo alla famiglia paolina con una svelta e intelligente dedizione all’apostolato, nella parte della compositoria. «Per ognuno di noi nuovi arrivati, vedere il volto di quei primi valeva come stare alla presenza del Sig. Teologo: ci si sentiva pieni di entusiasmo»: così attesta oggi uno dei giovani entrati tra il 1918-19. Tanti altri, negli anni successivi, ebbero difficoltà, compirono sacrifici e mantennero una fedeltà esemplare: ma nulla sta a pari con quanto si constatò in quei primi tempi, che chiaramente lasciarono intendere l’approvazione divina a cui sarebbe presto seguita quella della Chiesa; sicché si procedeva con fede sempre più sicura che non si era nella illusione, ma si camminava nella via di Dio. Sempre ricordo quei cari Fratelli che portarono i primi e più gravi pesi, con comprensione molto superiore alla loro età. La loro fede semplice e sicura, che li lasciava riposare nelle mani di Dio, il loro amore a Dio, alle anime e il loro profondo desiderio di santità, aprirono la via a tante vocazioni.

LA LETTERA DA SUSA AI PRIMI PAOLINI

Ai fratelli della Pia Società San Paolo
Ho scritto solo ieri, ma conviene che anche oggi vi dica qualche cosa che il Signore mi ha fatto conoscere il giorno di S. Bernardo. Non so se vi sentirete più contenti o più spaventati, forse più spaventati che contenti a primo aspetto, perché, come ha fatto il Teologo, così anche voi penserete al rendiconto maggiore che dovremo dare a Dio.
Io non so se vi viene qualche volta il pensiero di fare un confronto fra la nostra Casa così piccola, e il grande albero della Famiglia Salesiana, la robustissima quercia della Famiglia di S. Ignazio; i due Ordini fratelli che sono i Domenicani e i Figli di S. Francesco, e più ancora la meravigliosa moltiplicazione dei Figli di S. Benedetto.
Orbene, ciò è ben poco in confronto di ciò che vuole, aspetta, chiede il Signore da noi.
Sto leggendo la vita di quell’avventuriero missionario che fu S. Francesco Saverio, e vi posso dire che, di destinati a fare il bene suo, sono più di metà di voi; altri a farne tre volte tanto ed anche più. Che meraviglie ha chiuse nel suo Cuore Gesù!
Meraviglie di amore e di grazie, di vocazioni. Il Signore ci vuole dare cose che non credo possiate già sentire, giacché anche Gesù diceva agli Apostoli che aveva delle cose che taceva sino alla venuta dello Spirito Santo, perché: «non potestis portare modo» («Per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16,12). E non potrete portare perché ancora molto lontani siamo tutti dall’umiltà, abnegazione, carità, povertà, fede, che il Signore vuole.
Abbiamo un briciolo di tutto questo?
Cari amici, leggete questa lettera alla Visita al Ss. Sacramento: pensiamo che le grazie ci sono, il rendiconto ci aspetta, volere o no il mondo è nostro: guai se non lo prenderemo. Io sono quasi atterrito e devo attaccarmi con due braccia a Gesù che dice: «Ego sum, nolite timere, omnia possum» [«Sono io, non temete (Gv 6,20), tutto posso» (cf Mt 28,18 oppure Fil 4,13)].
Dato a Susa lì 22 Agosto 1924.

Il Teologo
Beato Giacomo Alberione