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FONDATORE

 

Carissime Annunziatine,

il 26 novembre celebriamo la memoria del nostro amato Fondatore. Sono ormai 53 anni che l’anima di don Alberione ha lasciato alla terra la sua “povera carcassa” per raggiungere il desiderato Paradiso ove, secondo le sue parole, si sarebbe occupato «di quelli che adoperano i mezzi moderni più efficaci di bene» (AD 2).

Siamo certi, essendo anche stato proclamato beato dalla Chiesa, che la sua intercessione sempre accompagnerà la “mirabile Famiglia paolina” che – pur riconoscendo con le nostre incapacità e miserie – ha una grande missione da svolgere verso tutta l’umanità. Come san Paolo siamo debitori del dono di grazia ricevuto (cfr. Rm 1,14; 1Cor 9,16). Quanto ricevuto in dono non solo deve manifestarsi nelle opere di bene, ma anche traboccare in vitale testimonianza. Il beato Alberione, in “Abundantes divitiae” ed in altri scritti, si definisce “indegno servo fondatore” della Famiglia Paolina quando considera quali ricchezze Dio ha profuso in essa e quali tesori di grazia sono stati donati ai paolini e alle paoline per essere ridonati all’umanità intera. Inoltre suggerisce di considerare come “padre, maestro, esemplare, fondatore” san Paolo Apostolo. Viene spontaneo allora chiedersi: don Alberione è “fondatore” oppure no?

I fondatori

In realtà dovremmo prima domandarci cosa intendiamo con la parola “fondatore”. Lungo i secoli il termine “fondatore” è stato usato per indicare realtà molto differenti. I monasteri che erano sorti con le donazioni economiche o di terre, designavano come fondatore quel benefattore. A volte è la stessa persona che fonda il monastero nelle sue proprietà (come san Gregorio Magno sull’Aventino, o come san Benedetto di Aniane). Il termine “fondare” ha quindi sia un riferimento concreto che spirituale. Ma non sempre i due termini coesistono nella stessa persona. Anche il termine “padre/abba” (con il parallelo femminile “madre/amma”) viene usato nel senso di “fondatore” nei confronti di coloro che sono stati discepoli e continuatori dell’opera, dai Padri del deserto sino ad oggi. San Benedetto di Norcia ne è forse il più celebre esempio. Ma ovviamente in senso “carismatico”, come ci esprimiamo oggi, tendiamo a

tralasciare gli aspetti materiali e contingenti per considerare gli aspetti spirituali, quelli che indicano il sorgere di un carisma specifico. In questo senso fondatore è colui che in modo unico ed esclusivo è portatore o mediatore di un carisma specifico. Così san Giovanni Bosco è “fondatore” dei Salesiani e delle Salesiane. È interessante che egli indichi come termine ideale un modello precedente: san Francesco di Sales. Infine va osservato come nel lessico alberioniano il vocabolo “fondatore” viene usato poco. Lo troviamo quasi solo in due casi: nel senso di fondatore di ordini (es. dei benedettini, ecc.), ma più spesso lo usa in senso teologico per indicare Dio o Cristo come fondatore della Chiesa. Il Primo Maestro ragiona in modo simile a don Bosco. Ma ci offre come modello a cui fare riferimento e da imitare l’Apostolo delle Genti. Non solo i suoi scritti sono preziosi ed illuminanti per ogni cristiano, ma addirittura sono imprescindibili per la stessa Liturgia. Inoltre lo dobbiamo imitare perché Paolo stesso ci esorta in tal senso. Non esiste un modello più alto di san Paolo che ci insegni ad imitare e a lasciar formare in noi il Maestro Divino.

Alberione padre e fondatore

Ne possiamo concludere che don Alberione è nostro fondatore storico ed unico mediatore del carisma, ma insieme dobbiamo considerare come maestro e modello e fondatore san Paolo apostolo. A lui don Alberione si è ispirato, dei suoi scritti si è nutrito ed a noi suoi figli ha insegnato a fare altrettanto: ad essere dei piccoli e delle piccole “Paolo”, e ad ardere come lui. «Egli si è fatta la Società San Paolo di cui è il fondatore. Non la Società San Paolo elesse lui, ma egli elesse noi; anzi ci generò: “sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1Cor 4,15). Se San Paolo vivesse, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini d’ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cine, radio, televisione. [...] Egli dice ai paolini: Conoscete, amate, seguite il Divino Maestro Gesù. “Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1). Questo invito è generale, per tutti i fedeli e devoti suoi. Per noi vi è di più, giacché siamo figli” (ACV 62-62, 1953).
Ma va anche riconosciuto che noi siamo figli e figlie di don Alberione. Non possiamo arrivare a comprendere e imitare san Paolo se non passando dal Primo Maestro che è per noi maestro, modello, fondatore e padre. In “Abundantes” lo esprime con queste parole: «... anche se, perché più anziano, dovette prendere dal Signore e dare agli altri. [...] Così intendo appartenere a questa mirabile Famiglia Paolina: come servo ora ed in cielo; ove mi occuperò di quelli che adoperano i mezzi moderni più efficaci di bene: in santità, in Christo [et] in Ecclesia» (AD 2)
Le parole “dovette prendere da Dio e dare agli altri” rivendicano la sua mediazione, da cui non possiamo venir meno. Ed insieme ci ricordano che il nostro imitare non deve fermarsi al livello terreno ma fino a modellarci sul Cristo Maestro predicato e testimoniato da san Paolo, predicato e testimoniato da don Alberione. Oggi don Alberione se dovesse ripresentare il suo ruolo verso la Famiglia Paolina ancora direbbe: “quale indegno figlio, ma chiamato a dar vita ad una famiglia religiosa voluta dal Cuore Trinitario, Dio Uno e Trino, ho profuso ciò che mi è stato donato e quale ministro Sacerdote prendendo e invitando i figli e le figlie a vedere in San Paolo un modello e Padre ho sollecitato e sollecito i miei figli, le mie figlie a far tesoro di ciò che l’Apostolo delle genti nei suoi scritti, ma soprattutto nella sua vita è vero insegnamento per vivere il nostro dono, il nostro carisma per poter con lui dire: mi sono fatto tutto a tutti e il mio vivere è Cristo, non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.

Don Gino