Isaia ne dichiara l’assurdità: «La vostra terra è un deserto, le vostre città arse dal fuoco. La vostra campagna, sotto i vostri occhi, la divorano gli stranieri; è un deserto come la devastazione di Sodoma» (1,7). La critica è rivolta ai capi che definisce capi di Sodoma e Gomorra, città simbolo di un popolo peccatore, in antitesi a ciò che il popolo di Dio dovrebbe essere. Il profeta immedesimato nel suo Signore sa che le parole che pronuncia sono del Signore o “parole del Signore” dette con le sue parole. L’accusa, contenuta nei versetti 11-15, presenta una sequenza di sette rifiuti di Dio delle varie forme di culto ipocrita.
Ed ecco la voce straziante di Dio che, come un padre desolato, vedendo i propri figli ribelli e ostinati e in cammino verso la morte, vuole suscitare in loro la consapevolezza del proprio peccato e il desiderio di ritornare a Lui, per vivere in pienezza. Il suo appello, tramite la voce del profeta, li provoca alla guarigione del loro cuore e al ritorno. Con una serie di imperativi, li esorta a cambiare vita e a riprendere un nuovo cammino: «Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova» (1,16-17).
Importante il verbo “imparare” che orienta alla comprensione che Dio solo è il “maestro” che insegna la via della vita. Questo insegnamento, come si evince dal capitolo secondo, è nella Torah.
Una visione/sogno di pace universale (Is 2,1-5)
Ed eccoci al capitolo secondo che richiama il primo: «Messaggio che Isaia, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme » (Is 2,1; cfr. 1,1). Mentre il primo capitolo presenta una visione di morte e termina con il severo ammonimento a Gerusalemme (Is 1,25 cfr. Mi 3,9-12), il secondo si apre con un incoraggiamento e con la visione di un tempo grandioso, anche se ancora nascosto. Uno splendido poemetto illustra il sogno di speranza per una pace universale che Isaia vede, proprio, dentro una situazione oscura. Questo sogno sarà poi ripreso in Isaia 60,11 quasi a conferma dell’unità teologica del libro. Se il poemetto è del profeta storico si tratta di una previsione futura, se invece fosse di un discepolo incoraggia in un’epoca di crisi sociale e religiosa. Isaia vede una parola che è evento (dabàr) nel suo realizzarsi storico. La parola di Dio è solida, affidabile e realizza quello che promette (cfr. Is 55,11).
In questa visione, i popoli, anche quelli stranieri, compiranno un pellegrinaggio verso il monte del tempio del Signore, il colle che a Gerusalemme era sede del tempio di Salomone (Is 2,1). Ecco l’invito: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe » (Is 2,3a). Vedere le nazioni salire come in pellegrinaggio verso il monte del Tempio è una grande novità. I termini ebraici che la descrivono, più che salire, sono “affluire” o “fluire” e danno l’immagine dei popoli che arrivano in città come i torrenti ricchi di acque. Ma indica anche l’essere felice, il gioire (cfr. Is 60,5; Ger 31,12) perché l’ascensione verso il monte del Signore procura gioia. I popoli, infatti, non salgono perché costretti ma perché in quel luogo si riconoscono figli gioiosi dello stesso Dio.
Per imparare le sue vie di pace
Scopo del pellegrinaggio è l’istruzione di Dio: «perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3b). Questi popoli, a loro volta, invitano molti popoli a compiere lo stesso cammino e a mettersi alla scuola del Signore. Il temine “molti” significa che saranno tanti quelli che si sentiranno attratti dal Signore. Per mettersi in cammino e partecipare alla festa ognuno, necessariamente, deve lasciare le proprie certezze e la propria terra. All’ascesa dei popoli verso Gerusalemme corrisponde la discesa della parola del Signore e della sua legge che escono da Sion per raggiungere le nazioni. Coloro che l’accolgono imparano a lasciare il male e percorrere la via del bene. La Torah fa realizzare un nuovo ordine mondiale: non si fabbricheranno più strumenti di guerra, ma si costruiranno strumenti di pace e nessuno imparerà più l’arte della guerra (Is 2,4-5.)
Gerusalemme non sarà più terra di empietà ma di speranza per tutti. Il Signore che è giusto e salvatore insegna a distinguere ciò che è male e ciò che è bene per vivere la “pace” (shalom) e la pienezza di vita. Il Signore sarà anche giudice tra le genti e il suo giudizio non condannerà ma renderà giusti, conformi, cioè, al suo progetto d’amore.
Il versetto 5 conclude: «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore ». La luce divina si riflette nella Torah che è per tutti ed ha un fascino unico. Torah e luce in un certo senso sono sinonimi: la Torah illumina. Il sogno di Isaia ritorna nell’ultima parte del libro, come inclusione tematica: «Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te... Cammineranno le genti alla tua luce, i re al sorgere del tuo splendore» (Is 60,1.3.19).
Questo si realizzerà “alla fine dei giorni” che può indicare nei giorni che nessuno può determinare, ma potrebbe accadere presto. Vi sono diversi esempi nella Bibbia: Giacobbe prevede ciò che accadrà dopo la sua morte (Gen 49,1); Balaam parla con Balak a proposito di Israele (Nm 24,14;) Mosè ammonisce il popolo a rimanere fedele a Dio quando sarà nella terra promessa (Dt 31,29). Isaia incoraggia a porre gesti di pace, camminando insieme con il diverso e lo straniero verso lo stesso Dio.
Il sogno di Isaia di una pace universale attualizza altre prospettive bibliche universali: l’alleanza di Dio con l’intera creazione dopo il diluvio (Gen 9,9-11); il riconoscimento di Abramo della grandezza di Melchisedek (Gen 14,17-20). Il sogno/speranza prosegue nel capitolo 8 che descrive il passaggio da una situazione tenebrosa (il popolo camminava nelle tenebre) ad una luminosa (vide una grande luce). Isaia nel presente tenebroso intravvede che il giogo sarà spezzato e le armi bruciate perché sarà intronizzato un re giusto, portatore di pace. Egli sarà il “Principe della pace” e la sua pace non avrà fine. Il Signore degli eserciti farà tutto questo (Is 8,23b-9,6).
Da un ceppo morto nasce un germoglio
La dinastia di Davide nella storia vissuta dal profeta rischiava di sparire. Isaia, dopo aver minacciato l’Assiria (cap. 10), presenta la vita nuova che spunterà dalla casa di David: «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse» (11,1). L’immagine del germoglio allude a un ceppo, a prima vista morto, e tuttavia ancora vivo. Dalle sue radici, il profeta vede spuntare un ramoscello che diviene un albero. È l’immagine del Messia futuro che instaurerà la pace, simile a quella dell’Eden, prima del peccato, dove animali ed esseri umani vivevano in armonia. Il bambino potrà mettere le mani nel covo del serpente velenoso senza pericolo.
Soprattutto il Messia si prenderà cura dei miseri e degli oppressi e prenderà decisioni eque per gli umili della terra (cfr. Sal 72). Non avrà mire politiche ne userà armi da guerra contro i nemici.
La sua arma vincente sarà la Parola: «Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio » (Is 11,2-4).
PER LA RIFLESSIONE PERSONALE 1)
Quale sogno o speranza di Isaia ti affascina maggiormente? Il pellegrinaggio dei popoli verso l’unico Dio? Il desiderio del suo insegnamento? La visione del ceppo che sembra morto ma da cui nasce un germoglio che cambia la storia?
2) Il Messia che Isaia “sogna” combatterà il male con l’arma della Parola. Di chi il profeta, senza saperlo, sta parlando? Confronta il tuo pensiero con Gv 1,1; Gv 6,68; Eb 4,12.
3) Isaia “sogna e spera” la pace universale. Il tempo liturgico di Avvento e Natale annuncia che Parola e Pace non sono un concetto ma è Gesù (Sap 18,14-15; Lc 2,13; cfr. Ef 2,14). Che cosa ti suggerisce questa considerazione?
Suor Filippa Castronovo, fsp |