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Il Cameroun della missionaria Il racconto africano dell’annunziatina di Nuoro, Nina Melas, che ha trascorso due mesi nel centro di accoglienza e formazione realizzato nel 1969 dalla Società San Paolo
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Dietro invito del mio Superiore, don Vito Spagnolo della Società San Paolo, dal 16 aprile 2013 al 12 giugno sono stata in Cameroun. Prima 10 giorni nella città di Bafoussam e successivamente a Soukpen. Soukpen è un villaggio che si trova ad una ventina di chilometri da Bafoussam, sulle rive del fiume Noun, e per arrivarci si passa per stradine di campagna e si attraversano piccoli villaggi dove la gente vive in casette fatte con mattoni di fango. È a Soukpen che Maria Negretto, Annunziatina come me della Famiglia Paolina e missionaria in Cameroun da 43 anni, ha creato un Centro di Accoglienza, Formazione e Rieducazione per giovani usciti dal carcere che si impegnano per tre anni in un progetto agricolo e di allevamento che dà poi loro la possibilità di un più facile reinserimento nella società. Sono partita da Fiumicino con Caterina Spadafora del gruppo di Roma e ad Istanbul si sono uniti a noi Veronica, una ragazza della città di Venezia, e un collaboratore di Maria che rientrava nella sua terra dopo il soggiorno di un mese in Italia. Insieme abbiamo preso il volo per Douala, dove abbiamo fatto sosta presso un centro missionario perché arrivate poco dopo la mezzanotte e al mattino abbiamo preso l’autobus per Bafoussam. Douala è una grande città con aeroporto internazionale e il suo porto è uno dei più importanti dell’Africa, è una metropoli in continua espansione e dal clima insopportabile, la temperatura è sempre superiore ai 30 gradi. A Bafoussam sono stata ospite di Maria Negretto e con lei ho partecipato alle celebrazioni liturgiche della Cattedrale vicina alla sua abitazione, ho visitato il Centro di Salute di Baleng-Lafè da lei fondato, il carcere di Bafoussam, la chiesa dei Padri Dehoniani, i vari uffici più importanti, i market, i mercati della frutta, delle verdure, delle stoffe e dell’abbigliamento. |
Il viaggio in Cameroun della nuorese Nina Melas prosegue a Soukpen, dopo aver lasciato la città di Bafoussam |
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ARRIVATE a Soukpen iniziamo un’altra avventura. I ragazzi ci accolgono sorridenti. Il posto è bellissimo, tutto è naturale e i colori della campagna stupendi. L’Africa è veramente, mi son detta, il continente dei colori. Non sento più le moto di Bafoussam ma il cinguettio degli uccelli e degli altri animali di cui si occupano i ragazzi stessi: galline, oche, anatre, mucche, caprette, maialetti, cani… La nostra abitazione, la casa dei volontari, è nuova. Siamo le prime ad occuparla e si trova in cima ad una collina poco distante da quella dei giovani. Subito ci diamo da fare per prepararci le camere, la cappella e la cucina. Iniziamo le grandi pulizie ma ci rendiamo conto che l’acqua la dobbiamo usare con molta moderazione, infatti ci accorgiamo che il livello del nostro serbatoio, che raccoglie acqua piovana, inizia a scendere e se non piove resteremo senz’acqua. Per fortuna ai piedi della collina c’è un pozzo di acqua di sorgente che Maria ha fatto scavare per dissetare anche gli abitanti dei villaggi vicini. Il pozzo è veramente un grande dono di Dio, da lì attingiamo l’acqua per bere, per fare da mangiare, per lavare le verdure, per lavare i piatti, la biancheria… Vi lascio immaginare quante volte scendevamo per procurarcela! I ragazzi vengono subito a giorno seguente all’arrivo, alle ore 14.00, l’incontro di catechesi. A quell’ora il sole è veramente forte ma loro ci sono abituati ed è abbastanza normale, siamo noi che ci dobbiamo adattare. Ci dividiamo i compiti principali: Caterina, che parla benissimo il francese, farà la catechesi ai ragazzi, Veronica andrà alla scuola che Maria ha aperto per i bambini del villaggio e li seguirà nelle attività insieme ad altri due insegnanti camerunesi. Veronica è una giovane di 24 anni, parla il francese e l’inglese ed ha in giorno, perché i ragazzi a turno arrivavano in casa nelle ore in cui avevamo fissato il pranzo e la cena e quello che avevo preparato per tre lo dovevo dividere anche per sei. Più avanti ad una settimana dalla partenza si sono uniti a noi altri due italiani, Giulio e Andrea, venuti dal nostro paese per installare nel villaggio i pannelli solari e poter avere direttamente in casa l’acqua del pozzo e la corrente. Come vedete la famiglia cresceva e ogni giorno sperimentavamo come il Signore non ci faceva mancare nulla. |
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Padre Appollinaire, parroco in italiano. L’Adorazione era il momento in cui i due Continenti, Italia e Cameroun, seppure lontani, si univano e si facevano vicini. Il nostro pensiero raccoglieva tutti e tutti presentavamo a Gesù. Con gli stessi sentimenti recitavamo al mattino nella cappellina il Santo Rosario alla Vergine Santa. Dalle 14.00 e sino alle ore 16.00, come fissato dai ragazzi, ci incontravamo per la catechesi. Caterina, passando dagli episodi più significativi dell’Antico Testamento agli avvenimenti del Nuovo, con entusiasmo trasmetteva l’amore alla Parola di Dio e suscitava il desiderio di prendere in mano la Bibbia, cosa che facevano volentieri e qualcuno ha anche espresso il desiderio di voler essere battezzato. L’incontro di catechesi si concludeva con la lezione di italiano, perché i ragazzi sognano di poter venire un giorno in Italia e volevano imparare le cose più importanti. Siamo partite con i verbi e poi alla fine facevamo fare anche piccoli dettati. |
Il vocabolario francese - italiano che mi ero portata appresso mi è stato subito sequestrato. I ragazzi se lo passavano tra di loro e non facevano altro che copiarsi le parole in italiano. Ho promesso che per Natale ne avrei mandato uno per ciascuno e questo li ha resi molto felici.
Quando rientravano dai campi passavano a salutarci e non venivano mai a mani vuote, dentro le loro magliette che rivoltavano o dentro gli zainetti c’erano sempre i mango, gli avocado o le papaie. Io amavo ricambiare questi loro gesti tanto affettuosi con i biscotti che mi procuravo quando avevamo la possibilità di andare a Bafoussam. Ho insegnato dei ritornelli in italiano che ripetevano spesso e che cantavano con gioia nei momenti di catechesi e di preghiera o mentre andavamo alla chiesetta del villaggio, distante più di mezz’ora a piedi, per la celebrazione della Parola. Mi porto nel cuore il loro sorriso, i loro canti e in particolare quello dal titolo: “Venez chantons notre Dieu”, il loro dire sempre “grazie”, in italiano s’intende. Tante volte ho sentito dentro la gioia della mamma che vede rientrare i suoi figli dal lavoro e può offrire loro qualcosa di pronto da mangiare; proprio a loro cui mancava per la maggioranza il calore di una vera famiglia, io mi sentivo di offrire tutto l’affetto che solo una vera mamma sa donare. Li abbiamo accolti nella nostra casa senza pregiudizi, con l’amore, la pazienza e la misericordia che Gesù ci infondeva e loro si sentivano liberi di raccontare le loro storie, di confidare facilmente i loro sentimenti, pensieri, desideri e paure. Ogni giorno questa apertura cresceva e ogni giorno di più ci sentivamo parte della stessa famiglia: figli dell’unico Padre che è nei cieli, fratelli di Gesù Cristo. Ora mi porto sempre appresso un biglietto che mi hanno inviato per posta in cui tra l’altro c’è scritto: “votre presance ici nous a donnè beaucoupe de joie” e questo è per me la più grande ricompensa. In conclusione non posso non aggiungere che se ho vissuto serenamente e gioiosamente questa grande e bella esperienza lo devo a chi il Signore e la Vergine Maria mi hanno messo a fianco: Maria, Caterina e Veronica, e a tutte le preghiere che ogni giorno si levavano a Dio da parte del mio Superiore, le Annunziatine, i miei familiari, i parrocchiani di Santa Maria della Neve insieme al Parroco don Aldo e i miei colleghi di lavoro. Nel ringraziare tutti aggiungo che tutto è stato fatto per la gloria di Dio e l’amore ai fratelli. (2 - FINE) |