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ISAIA
IL SERVO DI DIO
4

Introduzione

La figura del servo di Dio caratterizza il Deuteroisaia (capp. 40-55), detto, anche, “libro della consolazione”.
Comincia proprio con queste parole: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio» (40,1) e termina con l’oracolo che assicura che il Signore, in forza della sua Parola efficace, cambierà la loro situazione: «I monti e i colli davanti a voi eromperanno in grida di gioia e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani» (Is 55.12).
Il contesto del Deuteroisaia è l’esilio Babilonese dove il popolo si trova. In questa situazione di “disgrazia”, i profeti annunciano che Dio sta per concedere una “nuova grazia”: i deportati ritorneranno nella loro terra con giubilo.
Il cammino è simile a un nuovo esodo che li libererà dalla schiavitù del peccato che provocò l’esilio. Il popolo, ritornato in patria, avendo sperimentato la potenza liberatrice di Dio, dovrà a sua volta essere strumento di salvezza per tutta l’umanità. Diversi brani di questa parte (40-55) in stile poetico e con immagini suggestive annunciano la novità che sta per far sorgere: – L’oracolo di salvezza a “non temere” che invita il destinatario a prendere atto che Dio gli viene in aiuto. Tipica è l’espressione: «sono il tuo redentore, il Signore» (cfr. Is 41,14‐16; 41,8‐13; 43,1‐3a; 44,2‐5). Il “redentore” è colui che paga il prezzo del riscatto al parente prossimo, caduto in disgrazia e che mai potrebbe pagarlo. Dio si presenta come il parente prossimo, quasi un “consanguineo”, che si fa carico del peso del suo familiare.
– Le immagini fortemente evocative: il pastore (40,11), l’acqua e la sabbia (48, 18s), la natura che germoglia (42,9; 43,19; 44,4; 55,10‐11), gli animali, ed infine la sposa (54,6). – La contesa giudiziaria (rîb) già attestata in Is 1,10‐20; Mic 6,1‐8; Sal 50,1‐15 rivolta al popolo infedele all’alleanza, lento ad aprirsi alle novità, perché si decida ad aprire gli occhi a quanto Dio sta operando per loro.

I canti del servo del Signore

Quattro poemetti (42,1-4(5-9); 49,1-7 (8-13); 50,4-9; 52,13-53,12) propongono un personaggio misterioso, “Il servo del Signore” che viene con un messaggio di speranza. Nella Bibbia, “il servo di Dio”, oppure “il mio servo” è detto di molte persone (Mose, Davide, Elia, ecc.). I profeti, pure, sono servi di Dio, “i miei servi, i profeti” (cfr. Ger 29,19). In diversi testi del Deuteroisaia il termine servo si riferisce al popolo d’Israele e/o, in qualche modo, a una parte che lo rappresenta. L’uso collettivo è esplicito in Isaia 41,8.9; 44,1.2.21; 45,4; 48,20 e in modo implicito anche in altri testi.
Nei primi due canti (42,1-9; 49,1-6) l’autore – forse ripensando a Geremia – parla di se stesso. Successivamente, i suoi discepoli negli altri due canti (Is 50, 4-9; 52,13-53,12) focalizzano la figura del servo nell’aspetto di obbedienza e sofferenza, che sta sullo sfondo dei racconti sulla passione di Gesù (cfr. At 8,32-35; 1Pt 2,22).
Il servo è un chiamato a una missione di salvezza nell’obbedienza a Dio che lo ha scelto, ma dovrà percorrere un cammino di sofferenza. L’autore sacro, presentando questa figura, ha detto molto di più di quello che in quel momento intendeva dire. Senza saperlo, annunciava Gesù, il servo di Dio per eccellenza.
Con il tempo la comunità cristiana nel servo di Dio, descritto in questi quattro canti, vide l’annuncio di Gesù, servo obbediente, che dona la vita e porta la salvezza alle nazioni (cfr. Eb 5,7-8; Fil 2,5-11).

Ecco il mio servo (42,1-4).

Ci soffermiamo sul primo canto perché introduce agli altri. In questo canto, Dio presenta il servo di sua iniziativa, ne esplicita il modo di essere e di agire e la sua missione universale.
«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (Is 42,1). Non è facile determinare con precisione chi sia il servo che Dio indica e neanche il pubblico cui si rivolge. Notiamo però che le parole che presentano questo servo sono utilizzate dai Sinottici nel Battesimo di Gesù (cfr. Mc 1,11; Mt 3,17; Lc 3,22).
Il “mio servo” in parallelo con “il mio eletto” (v. 1b) mostra che il mio eletto è nello stesso tempo il mio servo e viceversa. L’espressione “il mio eletto” si trova pure in Is 43,20, dove si identifica con “il mio popolo” e in Is 45,4 descrive “Israele” come “Giacobbe mio servo”.
Il mio eletto potrebbe riferirsi anche al popolo di Israele o ad una sua parte. Dio che si compiace del servo che ha eletto, lo sostiene, pone su di lui il suo Spirito (Is 42,1) e gli affida la missione di portare il diritto alle nazioni (vv. 3c; 4b).
Il termine diritto può significare anche l’insegnamento (cf. v. 4b-c) che il servo dovrà diffondere per far conoscere il progetto di Dio e la via da percorrere per realizzarlo.
Questo insegnamento è per le nazioni (v. 1d), la terra (v. 4b) e le isole (v. 4c). Nazioni, terra, isole, in pratica, indicano sia Israele che i popoli lontani.

Una missione difficile ma portatrice di Luce

Il Servo dovrà compiere una missione difficile che, però, eserciterà con mitezza e fortezza.
«Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento» (Is 42,2-3).
Le immagini della canna incrinata e dello stoppino dalla fiamma smorta mostrano un atteggiamento comprensivo verso le debolezze, per salvarle. Il versetto 4 specifica poi che anche il servo: «Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento».
L’espressione «Non verrà meno e non si abbatterà» contiene gli stessi verbi usati per la fiamma e la canna incrinata. Il servo, allora, non solo non spezza la canna incrinata, ma anche lui non si incrinerà, come non spegnerà la fiamma smorta, neanche lui perderà la sua energia, sembrando smorto.

In altre parole: la missione del servo sarà difficile e minacciosa da poterlo indurre a gridare per chiedere aiuto. Egli, però, non griderà perché lo sostiene la fiducia in Dio che lo ha chiamato e gli ha promesso assistenza. Questa promessa di aiuto richiama la vocazione di Geremia (Ger 1,8.17).
L’espressione alzare la voce (Is 42,2a-b) in altri testi dell’Antico Testamento significa “alzare la voce, lamentandosi” o piangere. Il servo di Dio vive le situazioni difficili senza lamentarsi ad alta voce anche se la situazione lo giustificherebbe.
Nel corso della sua missione, il servo che Dio ha eletto, soffrirà da sembrare sul punto di cedere: sembrerebbe una canna incrinata o una fiamma smorta, ma non cede. Al contrario, “proclamerà il diritto con verità” cioè con fedeltà, fidandosi sempre e comunque del Signore (v. 4a). Il servo di Dio vincerà il male senza violenza, senza gridare perché è stato stabilito come «luce delle nazioni... perché apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre » (cfr. Is 42,7).

Il servo di Dio: immagine di Gesù e dei missionari del Vangelo

La descrizione delle sofferenze del servo e del suo agire sono descritte concretamente nei capp. 50 e 53 che meditiamo nel tempo di Quaresima. L’immagine del servo di Dio nei Vangeli è applicata al ministero di Gesù (cfr. Mt 12,17-21), alla sua passione e morte. Il servo di Dio che deve essere luce per le nazioni e aprire gli occhi ai ciechi (cfr. Is 42,6-7) è Gesù che Luca definisce «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). Gesù veramente apre gli occhi ai ciechi non solo per ricevere la vista fisica ma perché si aprono alla fede in lui (cfr. Gv 9, 37-38). Il Nuovo Testamento applica il titolo di servo di Dio anche ai predicatori del Vangelo (cfr. At 13,47). Paolo e Barnaba e con loro, i predicatori della buona novella, hanno il compito di illuminare gli occhi ai ciechi. L’apostolo Paolo nel terzo racconto della sua chiamata alla fede (conversione!) afferma: «Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me» (At 26,17-18). In cammino verso Roma, comprende pienamente di essere stato chiamato per essere il servo di Dio che con il suo annuncio illumina chi non conosce Gesù e, pertanto, è cieco.

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) Il “servo di Dio” è chiamato a compiere una missione difficile ma necessaria: quale il “segreto” della sua riuscita? Quale il suo “metodo missionario”?

2) La Famiglia Paolina è per vocazione portatrice di Luce: «Di qui voglio illuminare». Cioè che io sono la luce vostra e che mi servirò di voi per illuminare; vi do questa missione e voglio che la compiate» (AD 157). Come nell’ambiente in cui vivo posso essere la serva di cui Dio si serve per trasmettere la sua luce, usando il segreto e il metodo del servo di Dio?

Suor Filippa Castronovo, fsp