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LA VITA MEMORIA APRE AL FUTURO

 

Carissime Annunziatine,

il Primo Maestro, nei suoi scritti e soprattutto a voce nelle sue meditazioni, invitava spesso a fare memoria dei benefici ricevuti, sia celesti che terreni, per ringraziare di quanto abbiamo già ricevuto in passato e per essere incoraggiati a continuare a chiedere grazie e benefici per il presente. La liturgia è piena di preghiere di questo tipo. Del resto lo schema della preghiera cristiana e dell’intera Sacra Scrittura è così strutturata: facciamo memoria dei “mirabilia Dei” (dei grandi segni di Dio) e con fiducia chiediamo quanto abbiamo bisogno oggi. La misericordia di Dio non è finita e la sua potenza si manifesterà oggi anche a noi.

Quante ricchezze Dio ci ha donato!

Anche nel testo di Abundantes Divitiae possiamo vedere lo stesso atteggiamento: di quante ricchezze il Signore ci ha ricolmato! Questo ricordare e ringraziare diventa motivo per confidare ancora di più in Dio: con fiducia rinnovata possiamo continuare a chiedere ciò di cui abbiamo bisogno oggi. È un monito a confidare nella potenza e nella volontà del Signore più che contare sulle nostre forze e sui nostri disegni. Si deve confidare nel Signore quando le cose vanno bene ma anche quando sembra che la tempesta stia per farci soccombere. Anzi, il ricordo di quando sembrava tutto oscuro, e il riconoscere che la grazia ha dipanato difficoltà e tenebre, diventa motivo di sperare con più fiducia.
Riconoscere i benefici passati è inoltre l’occasione di cantare un bel magnificat: «Tutto è da Dio: tutto ci porta al Magnificat» (AD 4). Da parte nostra dobbiamo cogliere anche la diversità delle situazioni, per capire cosa è diverso, per comprendere se veramente ci fidiamo di Dio o piuttosto delle nostre forze. Certamente nel 1954 il Primo Maestro e l’intera Famiglia Paolina preparandosi a celebrare il quarantesimo di fondazione, sperimentavano un momento particolarmente prospero. Ormai usciti dalla Seconda Guerra Mondiale, la prosperità anche economica aiutava l’Apostolato delle Edizioni, nuove forme di comunicazione (radio, cinema e televisione) si affacciavano, ma soprattutto tante vocazioni davano possibilità di aprirsi a nuove vie di apostolato e aprire case in nuovi Paesi.

Leggendo il testo dell’Abundantes Divitiae oggi, ci rendiamo conto che ci troviamo in un contesto molto differente. Il mondo è cambiato: non riusciamo ad inseguire i nuovi mezzi di comunicazione per farli diventare strumenti di apostolato, le nostre forze diminuiscono, le vocazioni mancano (almeno nei Paesi più ricchi). Sono problematiche che affliggono non solo i paolini ma l’intera Chiesa. Proprio per questo far memoria della storia della Chiesa e della Famiglia Paolina può essere una sorgente di consolazione e di speranza. Quante volte lungo i secoli la Chiesa ha vacillato sotto i colpi della storia e nonostante tutto ha continuato a rialzarsi. Quante volte nella storia dei Paolini e delle Paoline ci sono state difficoltà che sono state superate... e certo non solo con le nostre povere forze. Dunque le parole del Primo Maestro, anche quando il contesto è diverso, sono ancora utili e proficue per noi.

Le riflessioni del Fondatore e la nostra comprensione

Rimane un mistero che nel 1953-4 le pagine dattiloscritte di don Alberione siano state messe da parte. Secondo Roatta ormai il volume celebrativo “Mi protendo in avanti” era già molto avanzato e diventava difficile integrare quel testo. Personalmente ritengo che in quelle pagine furono in parte ritenute quasi una ripetizione di concetti che il fondatore da sempre ribadiva, anche perché segnalavano una certa distonia con l’atteggiamento “celebrativo” di quanto fosse cresciuta la Famiglia Paolina in quaranta anni. Nell’introduzione al volume “Mi protendo in avanti” don Roatta ricorda come era ben chiaro che fossero due gli elementi da festeggiare: 40 anni della Famiglia Paolina e 70 anni di vita del Fondatore. Don Alberione non era mai stato amante dei riflettori sulla sua persona, così decisero di essere da lui autorizzati per fare una sua biografia. A quella richiesta egli rispose «Fate quanto Iddio vi ispira di fare: tutte le nostre persone sono a totale disposizione delle esigenze di Chiesa e della Congregazione. Se credete che la mia persona possa servire a qualcosa, fate in pace!». Il racconto biografico fu affidato a don Perino. Sappiamo che questo testo non piacque troppo a don Alberione come ricorda don Esposito in “Primavera Paolina” (cfr. p. 19). Non vi si ritrovava in quella biografia (secondo don Esposito voleva che fosse eliminato il brano dove lo si definiva stratega ma non tattico), ma poi ha lasciato fare proprio perché aveva detto “fate quanto Iddio vi ispira”. Fidarsi dei discepoli significa anche lasciar fare. Possiamo dire che questo è anche l’atteggiamento del Fondatore nel donare il testo dell’ “Abundantes Divitiae”. Ce lo ha affidato prima che fosse un’opera ben ordinata. Ha un andamento magmatico che lascia trasparire molto dell’intimo di don Alberione, ma non è un testo chiaro e ben ordinato.

Il cammino giubilare come fare memoria

Quest’anno siamo invitati a percorrere assieme alla Chiesa il cammino giubilare, camminare con i passi della speranza. Anche in questo itinerario di fede è bene che procediamo facendo memoria di quanti doni abbiamo ricevuto singolarmente ma anche come comunità locale e come Chiesa tutta. L’itinerario giubilare, prima di tutto deve essere un cammino spirituale, deve comprendere un atteggiamento di contrizione dei nostri peccati, guardando la nostra storia personale, ma insieme deve essere un sentito ringraziamento di tutte le grazie ricevute. Per questo – come ci ricorda il Primo Maestro – al necessario “miserere” deve seguire un gioioso “magnificat” per poi diventare un fiducioso “protendersi in avanti”. Per questo vi suggerisco di aggiungere, alle richieste ufficiali nel passare la Porta Santa giubilare, la recita di un bel “magnificat”. In questo modo saremo fedeli a quanto il Fondatore ci ha insegnato, ed insieme ci uniremo all’atteggiamento di Maria, Regina degli Apostoli e regina nostra, che la Chiesa fa proprio ogni giorno nella lode della sera.

Don Gino