18,35-38; At 13,23; Rm 1,3; 2Tm 2,8; Ap 22,16) e porterà la salvezza a tutti i popoli.
Il Siracide lo esalta per il suo coraggio patriottico, dimostrato nella lotta contro Golia e contro tutti i nemici di Israele e per la sua attività di poeta sacro (cfr. Sir 47,2-11). Solo un lieve cenno lo ricorda come peccatore: egli rimane comunque il più grande tra i re di Israele (Sir 47,11).
Àlzati e ungilo: è lui
Il fallimento della monarchia pesa sul cuore di Samuele che continua a piangere. Dio gli impone di smettere e lo invia a cercare il nuovo re.
La situazione di Samuele è complicata e dolorosa. Samuele deve ungere un nuovo re, mentre Saul è vivo e sa di essere stato ripudiato da Dio (1Sam 16, 2). E se venisse a saperlo? Samuele, superate le giuste sue obiezioni (1Sam 16,2), si mette in cammino con la scusa ufficiale di dover compiere un sacrificio.
Tuttavia è Dio il protagonista assoluto di ciò che sta accadendo. Lo dimostra la triplice ricorrenza del pronome di prima persona: «Allora io ti farò conoscere quello che dovrai fare e ungerai per me colui che io ti dirò» (16,3).
Il suo arrivo a Betlemme suscita sospetto. Gli anziani, pieni di timore, gli domandano: «È pacifica la tua venuta?». Dopo averli assicurati, li invita al sacrificio insieme a Iesse e ai suoi figli. Giunge Eliàb, il più grande tra i fratelli e anche forte.
Samuele, forse ancora influenzato dalla statura di Saul, pensa sia lui la persona scelta dal Signore. Gli risulta difficile liberarsi dai criteri del passato e continua a interpretare la situazione con i vecchi criteri.
La scena è dominata dalla frequenza del verbo “vedere”: Dio l’ha visto (16,1); Samuele vede Eliab (16,6) e poi Dio ripete tre volte il verbo vedere (16,7) per chiarire il suo modo di vedere, diverso da quello che il profeta vede all’esterno: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (v. 7).
Il cuore nella Bibbia è il luogo da dove scaturiscono pensieri, sentimenti intimi, progetti, razionalità, autenticità, comportamenti. Nella Bibbia con il cuore si pensa, si ascolta, si decide, si ama, si giudica, si ricorda, ci si relaziona [cfr. Filippa Castronovo, www.paoline.it/blog/bibbia/il-cuore].
I sette figli di Iesse sfilano dinanzi al profeta ma nessuno di questi è la persona che Dio ha scelto. Samuele, attento al volere di Dio, domanda: «Sono qui tutti i giovani?». Manca il più piccolo, l’ultimo di otto fratelli, il meno importante. Si erano, persino, dimenticati di chiamarlo.
I Padri della Chiesa sottolineano che l’ottavo diventa il primo e notano che la famiglia di Iesse era perfetta nei suoi “sette” figli. Samuele li scartò e unse l’“ottavo” quello che sembrava non esistere, quello che il padre e i fratelli avevano emarginato nei campi lontani. «Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: “Àlzati e ungilo: è lui!”».
Alzarsi da dove? Sicuramente dalla sua tristezza e dai suoi dubbi. «Samuele, quindi, prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi» (cfr. 1Sam 16,13). Lo Spirito scende su Davide da “quel giorno in poi”, quindi sempre e non saltuariamente come fu per Saul (cfr. 1Sam 10,6).
L’elezione di David è puro e inatteso dono di Dio e il suo sguardo prescinde dai ragionamenti umani. Il giovane pastorello ha nulla da vantare: non ha diritti di primogenitura, di prestanza fisica, non presenta particolari doti intellettuali o capacità guerriere.
Fulvo, con begli occhi e bello di aspetto cura il gregge di famiglia e passa molto tempo nel deserto solo (cfr. 1 Sam 17,28) e come unica compagnia ha la sua cetra (cfr.16,18). La necessità di difendere il gregge lo allena a maneggiare la fionda con grande abilità fino a diventare un tiratore infallibile (17,49). Così impara a difendersi e a difendere le pecore con astuzia e maestria dagli animali predatori (17,34-35).
Le attitudini di Davide corrispondono a quelle che il futuro re dovrà esercitare: la cura e la difesa del gregge. La sua “piccolezza” lo libererà dalla tentazione di credere che la sua scelta gli era dovuta perché il “primo e più esperto”.
Dinanzi a Dio è importante la sua esperienza di pastore che lo renderà il vero “pastore di Israele” (cfr. 2Sam 5,1-2; Sal 78,70-72) e non un re guerriero sul modello di Saul.
Il lettore sa che il giovane scelto e unto per essere re si chiama Davide ma il testo biblico fino a questo momento non ha rivelato il suo nome. Ha soltanto comunicato le sue “qualità esteriori”, il suo lavoro e il suo hobby. Il nome è rivelato al momento dell’unzione: «Lo spirito del Signore irruppe su Davide». Il nome Davide significa “amato”.
Nel Cantico dei Cantici il giovane innamorato si chiama Dod (amato) o Dodì (amato mio) nome che ha le stesse lettere ebraiche del nome Davide. Questo nome può significare anche “condottiero”. Il nome Davide, in realtà, racchiude la sua vocazione: è l’amato che Dio guardava con gli occhi del cuore ed è colui nel cui cuore Dio aveva deciso di abitare, perché lo rappresentasse fedelmente in mezzo al suo popolo e lo guidasse nelle sue vie.
Terminata l’unzione «Samuele si alzò e andò a Rama» nella sua casa, riprendendo la vita di tutti i giorni.
Dio, scegliendo Davide, mostra che il suo agire è libero da ogni costrizione come la storia biblica dimostra. Annulla la logica della primogenitura, Giacobbe è preferito a Esaù (Gen 27), Efraim a Manasse (Gen 48,14-19), Giuda a Ruben (Gen 49,8-12). Gedeone è scelto perché il più piccolo della casa di Manasse (Gdc 8,10). Geremia dichiara di essere troppo giovane e inesperto per annunciare la Parola che Dio gli comanda di dire (Ger 1,6).
Diverse donne nella loro apparente fragilità sono stati strumenti di salvezza (Debora, Giuditta, Ester).
Paolo ricorda che Dio, «sceglie ciò che nel mondo è debole per confondere i forti ... perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (cfr.1Cor 1,27.29).
Dio nella “pienezza dei tempi” sceglie Maria, una sconosciuta ragazza di Nazareth della quale i concittadini sapevano solo che si chiamava Maria, per essere la “piena di grazia”, madre dell’Emanuele, il “Dio con noi”.
Il Messia figlio dell’Altissimo e di Maria, discendente di Davide, nasce a Betlemme – città di poca importanza – e muore a Gerusalemme sulla croce, la morte riservata ai peggiori. Questo luogo infame si trasforma in vita, perché «egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio» (2Cor 13,4).
La figura di Davide manifesta la logica di Dio che ribalta le logiche umani: l’ultimo diventa il primo, il povero diventa ricco, il pastore diventa re, ribaltando le attese messianiche umane e politiche.
Davide, secondo i Padri della Chiesa, è figura di Cristo per vari motivi. In particolare perché esercita i tre ruoli che appartengono a Cristo. La regalità: Davide fu scelto per essere re pastore e servitore del popolo; il sacerdozio: i salmi attribuiti a Davide per i cristiani sono prefigurazioni sacramentali e sacerdotali. Per esempio l’espressione: «Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici» (cfr. Sal 23,5) preannunzia l’Eucaristia; la profezia: Davide con i Salmi canta Cristo e ne annuncia la vittoria sulla morte (Sal 110).
Regalità, sacerdozio e profezia sono i tre ruoli che appartengono a Gesù e, tramite il battesimo, ai cristiani uniti a lui.
Nel periodo di Avvento nella preghiera liturgica usiamo l’espressione «chiave di David» che indica la totalità del potere che distrugge il male.
Cristo è pure il «germoglio di David» (Ap 5,5; Is 11,1). Questo germoglio nel giorno del giudizio avrà in mano «la chiave di David» che annienta la morte (Ap 3,7; Is 22,22). Da qui l’identificazione di Davide come figura di Gesù (cfr. Clemente di Roma e Ippolito).
PER LA RIFLESSIONE PERSONALE
1) Matteo e Luca ricordano la discendenza davidica di Gesù (cfr. Mt 1,20; 9,27; 12,23; 15,22; 20,30.31; 21,9.15; Lc 1,69; 18,39; 20,41.42) e anche Mc 10,47.48. In Mc 12,35-37 Gesù mette in discussione la sua origine davidica: «Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?». Quale attesa errata del Messia Gesù vuole correggere nei suoi contemporanei?
2) San Paolo chiarisce: «Gesù, figlio di Davide, è anche Figlio di Dio» (cfr. Rom 1,3-4). Come comprendi questa definizione alla luce dell’Incarnazione?
Suor Filippa Castronovo, fsp
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