In questo tempo di Esercizi dovremmo chiederlo con insistenza a Dio nella sempre fiduciosa preghiera, come ci insegna l’Apostolo delle genti: «E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento» (Fil 1,9).
Amore da studiare
Nella Cappella dei Salesiani a Napoli – dove le nostre sorelle si incontrano per i ritiri – c’è un disegno con una bella espressione di don Bosco: “Studia di farti amare”.
Bella la frase e significativo il luogo in cui è posta. Indica bene come interpretare il comandamento di Gesù di amare il prossimo e anche il luogo dove apprendere a praticarlo: alla scuola di Gesù che si frequenta nell’Eucarestia, celebrata ed adorata.
L’Eucarestia è per il Primo Maestro la grande scuola, dove più vicino al suo Corpo donato per noi, impariamo come trattare i fratelli, dove dobbiamo riconoscerlo.
L’espressione “studia di farti amare” era in origine rivolta al giovane Domenico Savio. Ora deve ricordare a noi che dobbiamo “farci amare”, cioè renderci amabili perché siamo pieni di spigoli e di difetti. Quante volte si desidera che gli altri ci amino, ma siamo assai lenti a rimuovere i nostri difetti che sono di ostacolo perché questo avvenga. Non basta che ci sforziamo di amare il prossimo, occorre che noi stessi ci rendiamo amabili.
Certo il “nostro prossimo”, da sempre, si fa fatica anche a riconoscerlo come da amare: ci è ripugnante (si pensi a san Francesco e il lebbroso), di solito ci è antipatico, scostante, ignorante, ecc. Anche verso gli altri dobbiamo sforzarci di amarli “nonostante i loro difetti”, ma talvolta il primo sforzo dovrebbe essere quello di rimuovere i nostri difetti per renderci amabili e socievoli con tutti.
Sono ancora valide queste parole di don Alberione: «Imparate la carità. Amore, amore, amore! State volentieri con le Sorelle anche con quelle meno socievoli, anche con quelle che vi fanno dispiacere. Non solo pensare bene, ma desiderare il bene, parlare bene e fare del bene quando si può. Rendete la vita bella, lieta a quelle che vivono assieme a voi; che la vita religiosa sia davvero una preparazione al Paradiso e un preludio di Paradiso. Non tristezze, non bronci, non invidie, camminate nella pace, nell’amore» (Alberione, PD 1947, p. 528).
Studiare di amare Dio
Ma il primo comandamento rimane sempre quello di amare Dio. Negli Esercizi il nostro primo impegno deve essere proprio quello di sforzarsi di crescere nell’amore di Dio. Si fa santo chi ha un cuore che brucia d’amore per Gesù. Ma noi siamo tiepidi e abbiamo bisogno di ritornare all’amore. Agli Esercizi dovremmo fare nostro il rimprovero alla Chiesa di Efeso dell’Apocalisse «Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore» (Ap 2,4).
Il tempo degli Esercizi è proprio quello di ritornare al “primo amore”, quello di riposare sul cuore di Gesù, di tornare in sintonia con i battiti del suo Cuore.
Il Fondatore spesso sottolinea come strumento spirituale insostituibile il sacramento della Confessione, e in particolare di sforzarsi nell’avere il dolore dei peccati.
«Il dolore quando ad esso si applica il nostro metodo, diventa un dolore di mente che è prodotto dalla considerazione della verità, dei principi; un dolore di cuore, che porta all’umiliazione, al distacco dal male; un dolore di vita che porta all’emendazione, dirigendo la volontà al bene. Il dolore deve essere sentito, anche se non è sensibile: se non c’è il dolore sentito non val la spesa confessarsi» (1935, Pr, in, 92).
Non serve insistere troppo sulla parte negativa, che è la ricerca e l’accusa dei peccati, bensì è utile e proficuo impegnarsi nel proposito e nel dolore dei peccati che deve far aumentare il nostro amore per Dio. «L’amore vivo comprende anche sempre il dolore e, quindi, quando c’è molto amore a Gesù, è segno che si è pentiti di averlo offeso. Uno che ami molto il suo papà certamente è disgustato se un giorno lo ha disubbidito» (Alberione, AP, 1957, p. 63).
Don Gino
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