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TRE APPUNTAMENTI

 



Carissime Annunziatine,

la Liturgia nel mese di febbraio, prima di introdurci nel cammino quaresimale, ci propone tre appuntamenti su cui vale la pena meditare: la Presentazione di Gesù al Tempio, giornata della Vita Consacrata; la memoria della B.V. Maria di Lourdes, giornata dei malati; la festa della Cattedra di San Pietro, giornata in cui onoriamo «l’autorità che Cristo conferì e che nella Cattedra trovò il suo simbolo, il suo concetto popolare e la sua espressione ecclesiale» (Paolo VI, udienza 22.02.1967).
Di ogni “appuntamento” invito a meditare solo un aspetto. La vita di Anna che “non si allontanava mai dal tempio”. I malati (e i medici) cercano la guarigione, mentre Dio vuole la nostra salvezza. Il magistero petrino come dono di unità e grazia di comunione.

Il magistero petrino: Chiesa una e cattolica

Questa festa ci ricorda che siamo fondati  sull’insegnamento del Divino Maestro, che è saldo lungo i secoli proprio nello stringersi in unità col Vicario di Cristo.
La celebrazione del «Natale Petri de cathedra» (già nel IV secolo) per noi paolini dovrebbe rammentarci anche il quarto voto «di fedeltà al Romano Pontefice quanto all’apostolato», che il Fondatore già indicava nelle Costituzioni del 1936.
Non è cattolico né paolino e neppure intelligente quell’atteggiamento di criticare il Papa, poiché chi si allontana da colui che Cristo ha scelto, si allontana anche da Gesù.
Già Agostino ricordava che è chiamato “Pietro” perché legato a Cristo che è la vera roccia di salvezza.
Probabilmente “Cefas/Petros” era un soprannome che Simone aveva, ma l’evangelista Giovanni ricorda che tale nome è proclamato da Gesù: «Ti chiamerai Cefa, che si traduce Pietro» (Gv 1,42). Pietro, cioè “saldo-stabile”, è tale perché Gesù lo ha proclamato così per noi.
Vale la pena di ricordare le parole di Paolo VI per comprendere cosa questo significhi.
«Unico nostro maestro è Cristo [...]. Ma è pur Lui che ha voluto istituire uno strumento trasmittente e garante dei suoi insegnamenti, investendo Pietro e gli Apostoli del mandato di trasmettere con autorità e con sicurezza il suo pensiero e la sua volontà. Onorando perciò il magistero gerarchico

della Chiesa onoriamo Cristo Maestro e riconosciamo quel mirabile equilibrio di funzioni da Lui stabilito, affinché la sua Chiesa potesse perennemente godere della certezza della verità rivelata, dell’unità della medesima fede, della coscienza della sua autentica vocazione, dell’umiltà di sapersi sempre discepola del divino Maestro, della carità che la compagina in un unico mistico corpo organizzato, e la abilita alla sicura testimonianza del Vangelo» (Paolo VI, Udienza 22.02.1967).

La sofferenza come mistero salvifico

La memoria delle apparizioni della Vergine a Lourdes ci porta a ricordare insieme che l’ “Immacolata Concezione” di Maria, significa che il peccato non l’ha mai toccata per la misericordia divina. Tuttavia non l’ha esentata dalla sofferenza, perché la sofferenza associata in Cristo diventa salvifica.
Noi spontaneamente uniamo Lourdes ai malati per i tanti miracoli lì ottenuti per intercessione della nostra Mamma celeste. Ma è la salvezza eterna che è importante. La salvezza delle anime è la missione della Chiesa. La cura dei corpi è lavoro dei medici, che pur nobilissimo, non ci ottiene la salvezza eterna.
Arrivare sani alla morte non significa affatto avere la salvezza. Al massimo ci ottiene un corpo così in salute da diventare “il cadavere più sano del cimitero” (per usare l’ironia usata dal poeta americano E.L. Masters in Antologia di Spoon River).
In questi tempi di pandemia, stupisce la cura posta per non ammalarsi – alcuni timorosi di contaminarsi pure con i medicinali – anche a costo di sacrifici e limitazioni.
Magari ci fosse anche un po’ di attenzione a non contaminarsi col peccato, così da non guastare la purezza e la bellezza dell’anima creata da Dio per lo splendore della felicità eterna! Dovremmo mettere almeno lo stesso impegno a cercare di risanare l’anima nostra come quello profuso a guarire il corpo.
Bernardette raccontò che nella terza apparizione (18.02.1958) la “Signora”: «Mi disse anche che non mi prometteva di farmi felice in questo mondo, ma nell’altro».
Per fare questo dobbiamo imparare ad abbracciare la sofferenza per amore di Cristo. Non sono importanti i sacrifici, né le rinunce, né le fatiche ma l’essere uniti a Gesù.
Certamente Dio vuole la salvezza di tutto l’uomo, sia del corpo che dell’anima, ma quale salvezza o quale gioia nell’anima ci potrà essere senza Cristo?
La Chiesa di Cristo non può essere una e cattolica senza essere anche missionaria, cioè se non si prodiga senza misura per la salvezza eterna di tutti gli uomini.

Non lasciava mai il Tempio

La Celebrazione della Presentazione di Gesù al Tempio è anche l’occasione di ricordare nella Chiesa la Vita Consacrata. La tradizione ha ravvisato in questa pagina del Vangelo i modelli di tutta la vita religiosa nelle figure di Gesù, della Vergine Maria, di Giuseppe, del vecchio Simeone ed infine di Anna.
Vorrei invitarvi a riflettere su quest’ultima figura, del resto non pochi sono coloro che hanno una età simile alla sua (anche se non sono vedove, di cui era il modello secondo la tradizione patristica).
Di Anna si dice: «Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37). Il versetto, alla lettera, indica che la sua vita era tutta spesa nel tempio di Gerusalemme.
Ma come simbolo vale per tutte le anime consacrate, cioè di vivere in modo da non allontanarsi mai dal Signore, in modo particolare da non perdere mai la grazia. Anna lo fa con «digiuni e preghiere» perché attendeva la salvezza. Quando questa arriva prorompe di gioia al vedere Gesù e lo testimonia «a quanti aspettavano la redenzione». È veramente il programma di ogni anima consacrata: pregare incessantemente, lodare Dio per la salvezza che abbiamo in Cristo ed annunciarlo a quanti incontriamo sulle nostre vie.
Maria ci indica un modello più perfetto: diventare noi stessi tempio del Signore, dove Gesù possa sempre abitare. Ma intanto iniziamo ad imitare il modello di Anna che, pur anziana, non cessa di servire il Signore.

Don Gino