DAVIDE.
IL PASTORE SFIDA IL GIGANTE
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Il capitolo 17, che narra la sfida di Davide contro Golia, unisce vari racconti in un’unica narrazione. Il contesto riguarda la grave minaccia militare da parte dei Filistei contro Saul e gli israeliti (vv. 1-2). I due eserciti, uno di fronte all’altro, sopra un’altura, sono in attesa a scendere nella vallata per darsi battaglia. Nessuno dei due prende, però, l’iniziativa. Ad un certo punto, i Filistei propongono un duello tra due campioni. Il popolo il cui campione vince si impossesserà dell’altro, riducendolo in schiavitù. I Filistei sono difesi da Golia, figura del male assoluto e soverchiante, un gigante dalle proporzioni enormi: statura, dimensione e il peso delle armi: era alto due metri e ottanta, in testa portava un elmo di bronzo, indossava una corazza pesante 5 mila sicli (60 kg), poteva scagliare un giavellotto la cui punta pesava 600 sicli, cioè, 7 kg (cfr. 1Sam 17,5). Nell’Antico Testamento la corazza è ricordata come arma militare (1Re 22,34; 2Cro 18,33; 1Mac 3,3; Ger 51,3) e come simbolo di una forza animalesca difficile da abbattere (Gb 41,5). Sicuramente Golia rappresenta la potenza terrificante del male la cui forza è senza paragoni. Sicuro di vincere, Golia sfida gli israeliti con voce arrogante e, ostentando la sua forza animalesca, li deride. Gli israeliti, come nella storia di Giuditta, non vedono alcuna via di uscita se non quella di rassegnarsi a diventare schiavi dei Filistei. Il nemico è imponente e tra le schiere di Israele non si trova un campione di uguale portata. Dinanzi a una tale minaccia, gli israeliti vivono un’esperienza di morte anticipata: «Saul e tutto Israele rimasero sconvolti ed ebbero grande paura» (cfr. v. 11). Dove trovare un gigante capace di controbilanciare la forza del nemico? Gli israeliti vivono l’eterno problema di capire se al male bisogna rispondere con altro male di uguale portata e alle armi con superiori o almeno simili. |
Arriva un pastorello Con la comparsa di Davide, che avviene quasi per caso, la descrizione dello smarrimento di Saul e delle sue milizie passa in secondo piano. Emerge, in evidente contrasto, la figura tranquilla di questo giovane pastore, presentato come figlio di Iesse, che vive a Betlemme e che ha tre fratelli in guerra dietro a Saul. Il lettore, però, lo conosce già ed è pure al corrente della sua unzione regale! In questa seconda presentazione si ricorda, come detto in 1Sam16,14-23, che Davide andava e veniva da Saul perché con la sua cetra gli calmava le crisi isteriche: «Quando dunque lo spirito di Dio era su Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui» (16,23). A differenza dei fratelli che stavano con Saul per combattere, Davide dopo aver calmato Saul, torna nel deserto a pascolare le pecore. Davide, inviato dal padre, va a informarsi sulla salute dei fratelli che sono sul campo di battaglia e a portare loro dieci pani e dieci forme di formaggio. Dalla narrazione tranquilla che allude ad un comportamento abituale, sembra che né il padre Iesse né Davide fossero al corrente di quanto succedeva al campo di battaglia. Davide, giunto sul posto, domanda ai fratelli se stanno bene e consegna il cibo che il padre aveva loro preparato. Proprio in quel momento Israele e i Filistei si dispongono l’uno contro l’altro e dalle fila dei filistei, risuona la minaccia che durava da quaranta giorni (17,8-11). Il numero quaranta indica il tempo completo di una esperienza oltre il quale non si può andare. La corazza è un impedimento Il re, come sarebbe normale, vuole rivestirlo delle sue armi che competono con quelle di Golia. Davide rifiuta, con decisione, di indossare quelle armi di difesa. Al re Saul che gli dice: «non puoi andare contro questo Filisteo...», Davide risponde che non può andare attrezzato in quel modo: «“Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato”. E Davide se ne liberò (1Sam 17,38)». Il pastorello senza “corazza” è, simbolicamente, rivestito dalla fede che lo protegge più che una corazza militare e permette al Signore di donare la vittoria al suo popolo. Dio stesso è rivestito con corazza potente ed efficace che abbatte il male (Sal 5,18; Sap 5,17-18). Con essa riveste i suoi fedeli (Sal 91,5). La diversità di approccio alla situazione si manifesta con tutta evidenza. Saul, paralizzato dalla paura, si è come dimesso dal ruolo di re che gli impone di difendere il popolo anche a costo della sua vita. Davide, disposto a rischiarla, si sta rivelando il pastore, secondo il cuore di Dio, che vive lo stile della regalità come servizio fino a dare la vita. La sua capacità di rischio annuncia la regalità messianica di Gesù che nasce in una grotta (cfr. Lc 2,7), ed entra a Gerusalemme non sul cavallo come i grandi guerrieri ma “seduto sopra un puledro d’asina” (cfr. Mt 21,2-7; Gv 12,15) sapendo che nel morire dona la vita. Davide, abbandonata l’armatura di Saul, affronta il gigante con molta destrezza e con le sue armi: la fionda, cinque sassi e la certezza dell’intervento di Dio. Al momento dello scontro, Golia lo beffeggia perché si permette di affrontarlo, con un bastone, come se fosse un cane. Senza esserne cosciente Golia sta dicendo la verità sulla sua identità. Davide già lo aveva messo al livello dell’orso e del lupo che, con l’aiuto di Dio, uccideva per salvare le pecore. Mentre il gigante gli si avvicina con tutta la sua potenza, Davide, con la sveltezza di un ragazzo agile, gli corre incontro e colpendolo con un sasso lo butta a terra e, con la sua stessa spada, gli taglia la testa. Gli Israeliti, finalmente, rincorrono i filistei che fuggono pieni di paura. Tanta tensione, tanta attesa e il duello termina in un attimo! Dio si fa beffe dei potenti Ciò mostra l’intento teologico del racconto. L’autore sacro crea tutta questa attesa e trepidazione perché vuole presentare da un lato l’arroganza umana che, usando le sue armi violente, crede di avere in mano il mondo intero e dall’altro Dio che, come vero dominatore della storia, si fa beffe dei potenti e le frantuma (Sal 2,4) servendosi del giovane Davide che agli occhi umani è perdente. Dio, invece, opera la salvezza, secondo il suo stile, servendosi di ciò che è debole e disprezzato, perché appaia che il vero vincitore è lui. La presentazione di Golia, con la faccia a terra e la testa mozzata, reinterpreta l’episodio del dio Dagon che cade davanti all’Arca (1Sam 5,3-4) con il capo e le mani staccate dal corpo, incapace, cioè, di agire. La prepotenza umana non regge dinanzi a Dio. La strepitosa e per nulla spettacolare vittoria di Davide gli fu assicurata perché indossò non la “corazza” dei potenti ma la “corazza della fede” e della giustizia di Dio (cfr. Ef 6,14; 1Ts5,8). La vittoria è opera di Dio. Mentre Davide comincia ad assumere la sua identità di capo del popolo, Saul appare sempre meno presente a sé stesso come mostrano le sue domande (cfr.17,55-57) intorno a quel giovane eroe che non riconosce essere il ragazzo la cui musica lo calmava! Suor Filippa Castronovo, fsp |