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IL MISTERO DI QUESTA NOTTE



Carissime Annunziatine,

centro dell’anno liturgico è il Triduo Pasquale e al culmine di esso sta la celebrazione della grande Veglia di Pasqua.
Nella tradizione latina a segnare l’inizio di questa celebrazione troviamo un canto liturgico di grande ricchezza teologica e catechetica: l’Exultet, un canto legato all’accensione del “fuoco nuovo”, cioè del Cero Pasquale.
A Pasqua tutto è nuovo, tutto è rinnovato, tutto è ricreato in Cristo risorto. Nuova è la luce (prima il fuoco della legna, poi la fiamma del Cero e le luci dei fedeli), nuova è l’acqua (con cui benedire e battezzare), nuovo è il canto (si tornano a cantare i canti angelici, il Gloria e poi l’Alleluia), nuovo è il pane cioè l’Eucarestia nuovamente celebrata (che i catecumeni per la prima volta potevano gustare, e i peccatori riconciliati potevano finalmente ricevere di nuovo il pane del cielo).
Sono tutti simboli di Cristo che i fedeli in passato comprendevano e sperimentavano anche fisicamente. L’acqua del rubinetto non è mai nuova, il pane del supermercato è sempre lo stesso, la luce... è un pulsante. Chi sperimenta il buio e il silenzio della notte? Noi diamo per scontato che l’assoluzione ci sia dovuta, che l’Eucarestia sia sempre disponibile (anche se il covid ci ha fatto sperimentare il significato di un prolungato e inaspettato “digiuno eucaristico”...).
Un canto nella notte
Tuttavia vale la pena di riflettere sull’inizio della Veglia Pasquale come ce lo presenta l’Exultet, un canto che si svolge nella notte. La fede è un anticipo di quello che si vedrà e accadrà, ma brilla nella notte dell’anima, quando solo per la fede e la preghiera si può “resistere”.
I riti liturgici della Veglia iniziano presso il fuoco nuovo. In antico la fiamma nuova si otteneva sfregando due pietre (così ancora gli Ortodossi fanno a Gerusalemme nel “Santo Sepolcro”).
Le braci di questa legna ardente permettono di bruciare l’incenso (simbolo della rinnovata preghiera di lode) col suo soave profumo. Oltre ai riflessi del braciere poco si può vedere, ma il profumo dell’incenso si innalza e si espande anche nel buio della notte.
Dal fuoco novello si accende il Cero Pasquale simbolo di Cristo e segno di luce e di vita. Poi da quel cero, anche i fedeli accendono la loro luce, e l’assemblea si incammina seguendo il grande cero tra

solenni acclamazioni (“Christo Lux mundi”).
Nei primi secoli il termine per il battesimo era “photisma/illuminato”, quindi entrando in chiesa con la candela accesa ricordiamo quel battesimo che ci ha uniti al corpo mistico di Cristo.
Tutto questo accade nel mezzo della notte, quando il silenzio viene intaccato dalle acclamazioni che proclamano Cristo nostra luce. Poi, ormai nell’aula liturgica, si innalza un canto nella notte. L’incenso al Cero e il canto dell’Exultet significano la luce di Cristo e la lode della Chiesa, uniti nella esultanza della gioia pasquale che sta per essere celebrata.

Questa è la notte

Ma ancora tutto è avvolto dall’oscurità della notte. Questo rito iniziale anticipa le letture bibliche e la celebrazione Eucaristica, è segno della fede che ancora non assapora la visione, della catechesi che ammaestra quando non si è ancora pienamente compreso il mistero.
Talvolta diamo per scontato che la nostra fede vive già nella luce solare del giorno di Resurrezione, ci sentiamo maestri nella fede prima di aver compreso fino in fondo la Parola di salvezza che ci viene rivolta.
Il canto dell’Exultet è una grande catechesi, da gustare senza la nostra solita fretta, e ci ricorda che cresciamo anche affrontando le oscurità della notte.
Questo canto che si innalza tra piccole luci tremolanti va ascoltato nel silenzio della notte, a partire dalle “notti” della Scrittura. Nell’inno si grida dolcemente che: «Questa è la notte in cui hai liberato i figli d’Israele... in cui hai vinto le tenebre del peccato... che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo... Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro».
La poesia di questo canto liturgico ci ammonisce che ancora siamo nel mistero di questa notte, anche se Cristo è già risorto. Siamo in un mondo di tenebre, eppure nella fede e per i sacramenti già proclamiamo che siamo nella luce gloriosa di Cristo.
Dobbiamo arrivare a proclamare questa notte beata! Perché dobbiamo farlo? Perché il mistero della Croce è adombrato in questa “notte”: «O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!».
Come la luce della fede si vede brillare più lontano nella notte più oscura, così il canto della preghiera dei cristiani si eleva in questo mondo che ancora non vuole accogliere la luce. È il mistero di Pasqua!

Felice colpa

Il canto con forza soave ammonisce che senza Cristo la nostra vita non ha senso, l’intera storia umana non sarebbe un guadagno per l’uomo: «Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti».
Ma poiché Cristo è veramente risorto, allora anche la notte più buia e silenziosa, si colora di speranza e si apre alla salvezza.
Nel contemplare il mistero della notte il canto dell’Exultet arriva a fare una affermazione che rilegge la storia dell’umanità in un modo quasi provocatorio: «Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo».
La notte, come segno del peccato e del male, è conseguenza del peccato di Adamo. Le notti che affliggono il mondo sono frutto del peccato originale e delle sue conseguenze.
Eppure si arriva a proclamare che quella fu una «Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!». Solo nei canti d’amore si dice che un male è fortunato perché si è trovato l’amore! Qui la Chiesa eleva il suo canto d’amore per Cristo.
Non riusciremo a comprendere questa “felice colpa” se non sperimentando la dolcezza dell’amore di Cristo, del suo perdono e della sua Grazia, che supera ogni nostra oscurità e ogni nostro peccato.
Allora assieme con sant’Agostino potremmo sussurrare: «Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità ... Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te».

Don Gino