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CON GLI OCCHI DELLA FEDE

 

Carissime Annunziatine,

sono ormai trascorsi dieci lustri da quando il Primo Maestro ha lasciato questa valle di lacrime, a cui noi siamo ostinatamente attaccati. È tempo di ricordarlo come il nostro padre già Beato e di pregare Dio affinché lo possiamo presto celebrare Santo con tutta la Chiesa.
Il mese di novembre inizia con la solennità di Tutti i Santi e termina con l’inizio del tempo di Avvento, e noi paolini il 26 festeggiamo la nascita al Cielo del beato Alberione.
Ora il Fondatore è in Cielo, assieme agli altri componenti della Famiglia Paolina, e celebra la Gloria di Dio che nella sua immensa misericordia desidera che tutti gli uomini siano salvi, per questo il beato Alberione non ha concluso la sua missione.
Con la sua dipartita è stato tolto alla nostra vista, ma con gli occhi della fede sappiamo che, con la sua iscrizione come Beato nel calendario della liturgia Cattolica, ci è stato ridonato. Non ha concluso la missione che aveva ricevuto quì sulla terra, ma ora in piena comunione con Dio la continua dal Cielo: ora è più attivo e più efficace di quando era presente ai nostri occhi.
La Liturgia ci insegna a considerare i santi come vivi e non come morti, invisibili ma non lontani, strappati dai nostri sensi ma non dal loro affetto. Essi dal Paradiso continuano a venire in soccorso alle nostre necessità.
Dobbiamo guardare con gli occhi della fede. I santi non sono ridotti al silenzio, ma partecipano in pienezza della Vita eterna, perché sono totalmente unificati in Cristo che è la vera Vita.

Padre per sempre

Il Primo Maestro era e rimarrà il “padre” di tutti i Paolini e non smetterà mai di assisterci dal Cielo.
Un Fondatore rimane “padre” per sempre dei suoi amati figli (anche quando questi lo trascurano). Per questo anche oggi san Benedetto rimane padre per i monaci che seguono la sua Regola; san Francesco continua a illuminare e ispirare tutti i francescani e tutte le francescane lungo i secoli; sant’Ignazio di Loyola e il suo carisma rimane imprescindibile per i gesuiti di ieri di oggi e di domani...

Così anche per noi il Primo Maestro non va mai declinato al passato, ma al presente. Noi suoi figli, dobbiamo imitarlo per poter essere Alberione vivo oggi, così come lui ha cercato di attualizzare nei suoi giorni terreni lo spirito di san Paolo.
Alla morte di un Fondatore i suoi discepoli sempre subiscono un sussulto di smarrimento ed una contrazione alla realtà. È normale che si sentano smarriti: non vedono, non sentono, non ricevono più le indicazioni del loro padre fondatore come mediatore del dono dello Spirito. È ovvia anche la contrazione alla realtà: bisogna che qualcun altro qui sulla terra prenda le redini dell’Istituto per continuare la missione, ma continuando sulla via che è stata insegnata che è insieme terrena e spirituale.
La vera tentazione arriva quando si pensa e ci si comporta concretamente come se ormai dobbiamo fare senza del fondatore: ora facciamo noi!
Questo indicherebbe che non è più mediatore del carisma specifico ricevuto dallo Spirito. È vero che finisce la fase storica fondazionale, ma non il ruolo del Fondatore. La Chiesa di Cristo in ogni sua parte riflette non solo la dimensione umana ma anche l’unione con la realtà soprannaturale, per questo anche i nostri fratelli in Cielo sono vivi e attivi in Cristo in comunione con noi.
Quello che diciamo per la dimensione liturgica vale anche per quella ecclesiale quotidiana. Ma ci vuole fede. Quando la fede viene meno si inizia a fare diversamente e talvolta anche in contraddizione con il disegno celeste. Così, per fare un esempio, Istituti nati per istruire i più poveri finiscono per diventare scuole di élite, realtà nate per assistere i più miserabili divengono strutture di eccellenza sociale. Socialmente integrate nella società, ma poco unite rispetto al disegno divino. Così non ci si fida più della Provvidenza ma solo delle abilità umane.

Ardere dello stesso fuoco

A cinquant’anni dalla morte del nostro caro Primo Maestro occorre fare un bell’esame di coscienza. Se per caso anche noi siamo caduti in questa tentazione, o forse il nostro modo di pensare va in questa direzione. Ogni qualvolta si afferma che ormai è finito tutto, che il Fondatore si rivolta nella tomba, significa che si pensa in questo modo.
Certo il tempo è passato, ma il dono dello Spirito, il carisma è come un fuoco che rimane uguale pur infiammando materiali differenti. Non è il fuoco che cambia ma la materia che ora lo alimenta. Non è il dono di Dio che cambia ma esso si manifesta in modo differente oggi rispetto a ieri. Se mettiamo sul fuoco paglia, foglie, piuttosto che legna di olivo, di vite o di rovere, il fuoco arde in modo diverso, addirittura profuma in modo differente, ma è sempre fuoco.
Nel fare il nostro esame di coscienza dovremmo anche chiederci che tipo di legna siamo. Della legna posta nel fuoco non rimane che cenere. Certo, ma se guardiamo solo la cenere e dimentichiamo il fuoco ed il profumo che ne è uscito fuori, dimentichiamo la parte maggiore.
La nostra vita deve ardere dello stesso fuoco che don Alberione ci ha insegnato. Sappiamo che rimarrà solo cenere delle nostre opere, ma intanto occorre che del nostro povero fuocherello almeno qualche anima si possa riscaldare e venga attratta dal buon odore di Cristo in noi. Da quì vengono le vocazioni.
Non dobbiamo scoraggiarci se il nostro fuoco è piccolo, forse serve per far ardere altri dopo di noi con più forza. Per accendere un altro fuoco si prendono dei legni piccoli e di poco valore, oppure delle braci, ma da quel poco riparte un grande fuoco. Molti di noi si sentono come un fuocherello da poco, ma dovremmo pensare che dalla nostra piccola fiamma può ripartire un grande incendio.
La Mamma Celeste, a cui il Primo Maestro si è sempre affidato, provvederà a ravvivare il nostro misero fuocherello e non permetterà che si spenga. Fiduciosi di questo ci affidiamo al nostro padre Fondatore perché insista presso la Regina degli Apostoli che arrivino nuove e sante vocazioni che ardano di quella stessa fiamma con cui don Alberione infiammava i suoi figli, ed ora dal Cielo continua a trasmettere.

Don Gino