Così anche per noi il Primo Maestro non va mai declinato al passato, ma al presente. Noi suoi figli, dobbiamo imitarlo per poter essere Alberione vivo oggi, così come lui ha cercato di attualizzare nei suoi giorni terreni lo spirito di san Paolo.
Alla morte di un Fondatore i suoi discepoli sempre subiscono un sussulto di smarrimento ed una contrazione alla realtà. È normale che si sentano smarriti: non vedono, non sentono, non ricevono più le indicazioni del loro padre fondatore come mediatore del dono dello Spirito. È ovvia anche la contrazione alla realtà: bisogna che qualcun altro qui sulla terra prenda le redini dell’Istituto per continuare la missione, ma continuando sulla via che è stata insegnata che è insieme terrena e spirituale.
La vera tentazione arriva quando si pensa e ci si comporta concretamente come se ormai dobbiamo fare senza del fondatore: ora facciamo noi!
Questo indicherebbe che non è più mediatore del carisma specifico ricevuto dallo Spirito. È vero che finisce la fase storica fondazionale, ma non il ruolo del Fondatore. La Chiesa di Cristo in ogni sua parte riflette non solo la dimensione umana ma anche l’unione con la realtà soprannaturale, per questo anche i nostri fratelli in Cielo sono vivi e attivi in Cristo in comunione con noi.
Quello che diciamo per la dimensione liturgica vale anche per quella ecclesiale quotidiana. Ma ci vuole fede. Quando la fede viene meno si inizia a fare diversamente e talvolta anche in contraddizione con il disegno celeste. Così, per fare un esempio, Istituti nati per istruire i più poveri finiscono per diventare scuole di élite, realtà nate per assistere i più miserabili divengono strutture di eccellenza sociale. Socialmente integrate nella società, ma poco unite rispetto al disegno divino. Così non ci si fida più della Provvidenza ma solo delle abilità umane.
Ardere dello stesso fuoco
A cinquant’anni dalla morte del nostro caro Primo Maestro occorre fare un bell’esame di coscienza. Se per caso anche noi siamo caduti in questa tentazione, o forse il nostro modo di pensare va in questa direzione. Ogni qualvolta si afferma che ormai è finito tutto, che il Fondatore si rivolta nella tomba, significa che si pensa in questo modo.
Certo il tempo è passato, ma il dono dello Spirito, il carisma è come un fuoco che rimane uguale pur infiammando materiali differenti. Non è il fuoco che cambia ma la materia che ora lo alimenta. Non è il dono di Dio che cambia ma esso si manifesta in modo differente oggi rispetto a ieri. Se mettiamo sul fuoco paglia, foglie, piuttosto che legna di olivo, di vite o di rovere, il fuoco arde in modo diverso, addirittura profuma in modo differente, ma è sempre fuoco.
Nel fare il nostro esame di coscienza dovremmo anche chiederci che tipo di legna siamo. Della legna posta nel fuoco non rimane che cenere. Certo, ma se guardiamo solo la cenere e dimentichiamo il fuoco ed il profumo che ne è uscito fuori, dimentichiamo la parte maggiore.
La nostra vita deve ardere dello stesso fuoco che don Alberione ci ha insegnato. Sappiamo che rimarrà solo cenere delle nostre opere, ma intanto occorre che del nostro povero fuocherello almeno qualche anima si possa riscaldare e venga attratta dal buon odore di Cristo in noi. Da quì vengono le vocazioni.
Non dobbiamo scoraggiarci se il nostro fuoco è piccolo, forse serve per far ardere altri dopo di noi con più forza. Per accendere un altro fuoco si prendono dei legni piccoli e di poco valore, oppure delle braci, ma da quel poco riparte un grande fuoco. Molti di noi si sentono come un fuocherello da poco, ma dovremmo pensare che dalla nostra piccola fiamma può ripartire un grande incendio.
La Mamma Celeste, a cui il Primo Maestro si è sempre affidato, provvederà a ravvivare il nostro misero fuocherello e non permetterà che si spenga. Fiduciosi di questo ci affidiamo al nostro padre Fondatore perché insista presso la Regina degli Apostoli che arrivino nuove e sante vocazioni che ardano di quella stessa fiamma con cui don Alberione infiammava i suoi figli, ed ora dal Cielo continua a trasmettere.
Don Gino
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