Home| Chi siamo| Cosa facciamo| Perchè siamo nate | Spiritualità| La nostra storia | Libreria| Fondatore|Famiglia Paolina| Preghiere |Archivio | Links | Scrivici | Area Riservata |Webmail | Mappa del sito

 

FIORE DI ROCCIA

 

Un romanzo, come proposta di lettura per questo mese, che si apre con la festa della donna. Ci sono fatti di storia e di fede, di generosità eroica e resistenza femminile che meritano di essere conosciute. È il caso delle “portatrici” del Friuli durante la prima guerra mondiale, di cui ILARIA TUTI in Fiore di Roccia, edito da Longanesi, ne presenta in modo mirabile gesta, sentimenti, decisioni, incontri. Diamo loro la parola in questo breve stralcio: «Nei villaggi restiamo solo noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, al nostro coraggio. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni e ci avviamo verso il fronte. Mentre saliamo cantiamo e preghiamo, ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze proprio come fanno le stelle alpine, i “fiori di roccia”. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che portiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire. Scaviamo per giorni interi i giacigli sui quali piangeremo lacrime al posto delle madri e delle spose lontane, per quel sottile ma inalterabile filo di carne e amore che ci unisce alla vita partorita. Il capitano Colman ed i suoi uomini si sono ripresi la cima. Non si odono gli scoppi dei cannoni e questo significa che la lotta è corpo a corpo, è fatta di assalti comandati dai fischi degli ufficiali, guardandosi in volto con il nemico, mangiando il respiro dell’altro prima di sottrarglielo, con urla che dirompono nello stomaco. “Mors tua vita mea”. Il prezzo fin qui pagato è un fiume di sangue. Dio è sempre più lontano…. I giornali scrivono che questo conflitto ha significato molto per l’emancipazione delle donne, che sono diventate più indipendenti e che han potuto fare cose che prima non facevano. Noi lo abbiamo sempre fatto il lavoro degli uomini, da quando emigravano a ora che sono al fronte.
La nostra capacità di bastare a noi stesse non ci è stata riconosciuta, né concessa. L’abbiamo tessuta con il sacrificio, nel silenzio e nel dolore, da madre in figlia. Poggia su questi corpi

meravigliosamente resistenti ed è a disposizione di chiunque ne abbia bisogno. Si nutre di spirito infuocato e iniziativa audace, vive di coraggio. Vive di altre donne. Siamo una trama di fili tesi, forti perché vicini».

Rosaria G.