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IL LIBRO DEL PROFETA DANIELE: “IL FIGLIO DELL’UOMO”
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La seconda parte del Libro di Daniele (cc. 7-12) si apre con la visione della figura “dell’uomo” che funge da cerniera tra la prima e la seconda. Si connette alla prima parte per la ripresa della tematica dei quattro regni del capitolo 2 ed inizia la seconda parte dove Daniele non interpreta più i sogni del re, ma sogna lui stesso ed è lui che ha bisogno di uno che lo interpreti il suo sogno.
Daniele vede quattro bestie, differenti l’una dall’altra, emergere dal mare agitato (vv. 2b-8). Il mare nella Bibbia rappresenta il caos ed è la sede del male. Il numero quattro indica i quattro punti cardinali, cioè tutta la terra. Le quattro bestie che escono dalle acque del mare rappresentano perciò quattro imperi.
La prima bestia era simile a un leone e aveva ali di aquila: rappresenta l’impero babilonese. La seconda bestia, simile a un orso: sono i Medi. Un’altra simile a un leopardo: sono i persiani. Infine, una quarta bestia, spaventosa, terribile, con dieci corna, senza una precisa identificazione è simbolo dell’impero dei greci, contemporaneo all’autore.
La quarta bestia è terrificante perché riguarda il tempo presente che la comunità perseguitata percepisce come una situazione mai verificatasi prima.
Sulle dieci corna di questa grande bestia (che sono i vari re) spunta un piccolo corno che parla con arroganza. Senza dubbio rappresenta Antioco IV Epifane, il re della persecuzione, che eliminò gli altri re (cfr. 7,8). Nella loro diversità le quattro bestie hanno in comune potere e forza divoratrice.

La figura del “Vegliardo” e di uno “come Figlio d’uomo”

A questa visione spaventosa segue quella rassicurante del Vegliardo (nel testo originale “Antico dei giorni”), circondato da una corte celeste, vestito di bianco e con i capelli pure bianchi.

Il Vegliardo rappresenta Dio che interviene nella storia per fare giustizia ai suoi fedeli. Il bianco delle vesti e dei capelli è simbolo di luce e di vita, cioè, di eternità.
Il trono di fuoco da cui esce un fiume di fuoco è immagine del giudizio di condanna: «Continuai a guardare a causa delle parole arroganti che quel corno proferiva, e vidi che la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare nel fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a un termine stabilito» (Dn 7,11-12).
Il Vegliardo distruggendo il male mostra che esso per quanto sembri illimitato nel tempo avrà una sua fine. Dopo il giudizio del Vegliardo, Daniele vede la figura di uno “come Figlio dell’uomo”, che viene, non dal mare come le bestie, ma con le nubi del cielo e si eleva fino al Vegliardo: «Ecco venire con le nubi del cielo uno come Figlio d’uomo; giunse fino al Vegliardo e fu presentato a lui» (Dn 7,13).
L’espressione aramaica «bar ‘ĕnāš» “Figlio d’uomo” corrisponde all’ebraico «ben ‘ādām» che significa “essere umano”‘, “un uomo” e indica l’umanità, oppure un singolo essere umano.
Nell’Antico Testamento la frase spesso designa l’umanità o l’essere umano che non ha prerogative divine (Sal 8,5; cfr. Sal 144,3; Num 23,19).
Nel libro di Ezechiele l’espressione designa il profeta 93 volte, ed evidenzia il contrasto tra la sua umanità e la maestà di Dio che gli parla.
Il Vegliardo, mentre alle quattro bestie toglie ogni potere, alla nuova figura dalle sembianze di uomo permette di elevarsi fino a lui e gli concede «potere, gloria e regno» (v. 14).
Questo potere ricorda quello di Nabucodonosor descritto nella prima parte (cfr. Dn 2,37; 5,18) ma in realtà, non ha confronti perché è “eterno” e il suo regno non potrà mai essere distrutto (v. 14).
La durata eterna del potere avvicina la figura di uno “come Figlio d’uomo” alla dimensione divina e richiama il riconoscimento che il re Dario e il re Ciro, entrambi re di Persia, attribuirono al Dio di Daniele (cfr. Dn 6,27).
La visione così terribile spaventa Daniele che scrive: «Io, Daniele, mi sentii agitato nell’animo, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato» (Dn 7,15).
L’interprete celeste gli spiega che «le quattro grandi bestie rappresentano quattro re, che sorgeranno dalla terra; ma i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, in eterno» (Dn 7,17-18). I santi dell’Altissimo sono i credenti che Dio salva.
Quindi viene assicurato che la malvagità della quarta bestia sarà completamente annientata e se i santi «gli saranno dati in mano per un tempo, tempi e metà di un tempo» (Dn 7,26), cioè per un tempo storicamente limitato, arriverà il giudizio di Dio che sterminerà completamente il suo potere. «Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e gli obbediranno» (Dn 7,27).
Benedetto XVI nel libro “Gesù di Nazaret” scrive: «Alle bestie venute dal mare si contrappone l’uomo venuto dall’alto. Come quelle bestie personificano i regni del mondo fino ad allora esistiti, l’immagine del “Figlio di uomo” che giunge “sulle nubi del cielo” preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno di “umanità”, di quel vero potere che proviene da Dio stesso. Con questo regno compare la vera universalità, la forma positiva della storia, definitiva e sempre tacitamente desiderata. Il “Figlio di uomo” che giunge dall’alto è dunque il contrario delle bestie venute dagli abissi del mare; come tale, non è una figura individuale, bensì la rappresentazione del Regno in cui il mondo raggiungerà la sua meta finale» (cap. 10, p. 375).

Il “Figlio dell’uomo” secondo i Vangeli

Nel Nuovo Testamento, Gesù ama autodesignare se stesso con la figura del “Figlio dell’uomo”. Che cosa vi è di simile e di diverso con la figura descritta in Daniele 7?
Gesù si definisce “Figlio dell’uomo” quando rivendica la sua autorità di perdonare i peccati (Mc 2,28) e quando si dichiara Signore del sabato (cfr. 8,20; 13,37; 12,32; 16,13; 18,11; Lc 7,34; 11,30).
Nel libro di Daniele il Figlio dell’uomo è una figura trionfante, in quella dei Vangeli Gesù, Figlio dell’uomo, è una figura sofferente, il servo sofferente (cfr. Mc 8,31; 9,31; 10,33; 9,12; 10,45; Mt 12,40).
Gesù ribadisce che «il Figlio dell’uomo, cioè lui stesso, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (cfr. Mc 10,45).
Ai suoi discepoli domanda di accoglierlo e di seguirlo nella sua via di umiliazione e di servizio: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38; cfr. Mt 19,28; Lc 12,8).
Gesù è anche il Figlio dell’uomo che verrà come giudice alla fine dei tempi. A differenza di Daniele nel capitolo 7, dove il giudizio è eseguito dal Vegliardo, nei Vangeli il giudice è Gesù e la salvezza che Egli opera avviene tramite la sua sofferenza e risurrezione (cfr. Mc 14,62; Mt 16,27-28; 25,21; Lc 17,22.24.26.30; 21,36).
Nel Vangelo di Giovanni, il titolo di “Figlio dell’uomo” indica Gesù come l’inviato da Dio (Gv 1,51; 3,13; 6,62). L’espressione ritorna nel contesto della sua morte (cfr. Gv 12,23.34; 13,31).
Non è facile decidere se questo titolo lo abbia usato Gesù stesso o se provenga dalla tradizione evangelica che ha ritenuto importante caratterizzare Gesù con questa figura. Nulla impedisce che Gesù l’abbia usato come auto-designazione almeno per due motivi evidenti: nel linguaggio aramaico ed ebraico significa “questo essere umano” ed è anche un’espressione di umiltà.

Il Figlio dell’uomo nell’Apocalisse

Nel resto del Nuovo Testamento le ricorrenze bibliche che, citando Daniele, lo mostrano glorioso sono: At 7,56; Eb 2,6 e Ap 1,13-14; 14,4.
C’è da notare che questi testi interpretano la figura di Gesù, Figlio dell’uomo, alla luce del mistero pasquale. La gloria di Gesù proviene dalla sua passione e morte e il suo giudizio escatologico non è per la condanna.
I due riferimenti dell’Apocalisse meritano la nostra particolare attenzione.
In Apocalisse 1,13-14 Gesù, Figlio dell’uomo, è il Risorto che possiede gli stessi connotati del Vegliardo, tralascia il colore bianco della veste ma accentua il bianco sulla testa e sui capelli che sono come lana bianca, come neve: «I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco».
L’accentuazione del bianco indica che Gesù risorto è situato a livello di Dio e la testa bianca suggerisce la sua pienezza di vita. Anche il fuoco che promana come fiamma dai suoi occhi indica che Gesù risorto è a livello di Dio che è “fuoco divorante” (cfr. Dt 4,24). I suoi occhi infuocati suggeriscono che il suo amore forte e tenace è come una fiamma che scotta e chiede un amore corrispondente. Inoltre, il giudizio che il fuoco evoca è un giudizio non di condanna ma medicinale che vuole curare la sua Chiesa dal male che può minacciarla.
Apocalisse 14,4 riprende la stessa formulazione di Daniele, “uno simile a un Figlio d’uomo”, che suggerisce di vedere in questa figura Gesù risorto come il Messia della fine dei tempi. Dio attua la sua salvezza in Gesù risorto

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) Dopo aver letto in preghiera il capitolo 7 di Daniele, domandati: anche io nel tempo che sto vivendo ho l’impressione di essere minacciata da una quarta bestia? In che cosa o situazione posso identificarla?

2) Le parole: «I santi gli saranno dati in mano per un tempo, tempi e metà di un tempo» che cosa mi suggeriscono di fare?

3) Gesù si autodesigna “Figlio dell’uomo”, differenziandosi dalla figura di Daniele: che cosa dice di diverso riguardo a se stesso e che cosa desidera dai suoi discepoli?

Suor Filippa Castronovo, fsp