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CON RINNOVATO SLANCIO
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Carissime Annunziatine, a settembre dopo aver ripreso, secondo le possibilità di ciascuna, gli impegni ecclesiali e dell’Istituto, oltre alla gioia di rivedersi, spesso si è avvertita anche una certa fatica. Sembra che questo lungo periodo di clausura sociale ci abbia lasciato un pochino rattrappiti, quasi timorosi. Se da una parte, dobbiamo sempre riconoscere i nostri limiti e le nostre fragilità, dall’altra non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalle nostre povertà e miserie, anzi dobbiamo ancor di più confidare nelle grazie che il Maestro Divino ci dona. Gli Apostoli non si sono fermati a guardare i loro limiti, a considerare solo le loro capacità, se si fossero fermati a ciò non avrebbero concluso nulla. Invece, fondati su Gesù Crocifisso e Risorto, sono partiti a conquistare il mondo intero alla conoscenza amorosa di Cristo. Ed hanno iniziato lì dove si trovavano. La missione inizia fra le mura domestiche, poi si espande sino ai confini del mondo. Se non desideriamo la salvezza di chi ci è vicino, alla missione manca qualcosa, poiché la carità inizia sempre dal prossimo. Quando scopriamo chi è il nostro prossimo, inizia la missione… Si parte dal cuore Il Primo Maestro ricorda spesso che la nostra missione è il mondo intero: «Noi non abbiamo né una nazionalità, né un’altra; noi siamo figli della Chiesa cattolica, universale; non esistono i confini per il vostro apostolato: “Andate per tutto il mondo” (Mc 16,15)» (1961, SC, 21). Ottobre è il mese missionario, e come Chiesa Cattolica proprio oggi abbiamo bisogno di un rinnovato slancio missionario: ma deve partire da casa nostra, anzi dal nostro cuore. Se le radici non hanno forza, come potrà l’albero rivestirsi di fiori e portare frutti abbondanti? La radice della missionarietà è la carità che infiamma i cuori, che desidera che anche gli altri siano salvati, che ciascun uomo possa incontrare Cristo Gesù. Non è un caso che come patrona delle missioni è stata proclamata santa Teresina: il suo cuore ardeva di questo amore. |
Di questi tempi ci sentiamo afflitti da stanchezza e come rattrappiti, e sembra che non abbiamo forze per la missione, siamo tentati di lasciar perdere: faranno altri! Abbiamo bisogno dunque di un rinnovato slancio che parta dalla nostra anima, è questa che deve ardere di amore di Dio, e di carità verso il prossimo. Questa pandemia ha fatto riscoprire quanto la nostra società sia fragile: non è una novità ma lo si è sperimentato. Noi vorremmo che le prove finiscano presto e quando diciamo noi. Purtroppo non è così, le vere prove ci educano ai nostri limiti proprio perché non sono sotto il nostro controllo. Da questo però non dobbiamo scoraggiarci, ma anzi reagire fidandoci ancora di più di Dio. La “barca di Pietro” (come la Famiglia Paolina e come noi stessi) è poggiata su Cristo, questa è la nostra forza. Certo durante la tempesta siamo spaventati, e si può fare poco, ma passata la prova si riprende. Guardare a chi ha bisogno di Gesù Una lezione sulla missione che dobbiamo sempre imparare dal Primo Maestro, è di vedere i bisogni del mondo e lasciarci illuminare dalla volontà di Dio, e non fare solo la conta delle nostre forze, dei nostri anni che aumentano e del numero di membri che diminuisce. Se il nostro cuore fosse infiammato di amore per la salvezza delle anime, saremmo preoccupati per tutti quelli che non hanno ricevuto o non riceveranno l’annuncio della salvezza: che ne sarà di loro? Il Fondatore aveva sul tavolo un mappamondo: è un monito per noi a fare altrettanto. Cioè aprire il cuore nella carità verso tutti gli uomini, avere un cuore grande. Certo noi possiamo fare poco, ma quel poco si deve fare. Possiamo solo pregare ed offrire le nostre sofferenze: ebbene facciamolo, nessuna preghiera rimarrà inesaudita quando è fatta da un cuore infiammato di Gesù. Don Alberione così ricordava alle Pie Discepole: «Nell’adorazione il cuore ha da dilatarsi. Rappresentarsi davanti a noi i cinque continenti del mondo .... Il vostro cuore si è dilatato? … Allargare la vostra carità. Dilatate gli spazi della carità» (1962, PD, 7, 148). Dunque anche nella preghiera ritroviamo un rinnovato slancio. Forse ci siamo indolenziti spiritualmente, dobbiamo ripartire. Ci siamo intiepiditi nella carità, torniamo a quel fuoco che ha infiammato i nostri cuori quando abbiamo risposto con il nostro “sì” all’amore di Gesù che ci ha amato per primo. Il Primo Maestro ci ricorda che: «L’anima che ama il Signore non ha confini nella sua preghiera, racchiude tutto nel suo cuore: il mondo, il purgatorio, il cielo» (1940, OO, 2, 167). Partire dal poco, ma perseverare Spesso lo scoraggiamento spirituale arriva quando si fanno propositi enormi, progetti sproporzionati ma soprattutto non ci si è preparati in modo adeguato alla missione. Ma la prima opera di preparazione è un cuore ardente per Gesù, è rimanere saldi nel Maestro Divino. Penso che oggi ci sia un apostolato molto importante, solo apparentemente piccolo, quello di ridare gioiosa speranza. È l’apostolato di Maria, di costante preghiera per i suoi figli che percorrono le vie del mondo per annunciare il Verbo di Gesù. Il Maestro ha lasciato sua madre per incoraggiare discepoli e apostoli, per sostenerli non solo con la sua preghiera ma anche con il suo materno sorriso. Perseverare nel bene senza scoraggiarsi mai, poiché Gesù non ci abbandona mai, solo si nasconde un po’ per costringerci a crescere nella fede. Questi ultimi mesi ci hanno fatto sperimentare cosa significa non poter agire, neppure partecipare alla liturgia domenicale. Ma nulla di quanto accade è senza permissione divina, e tutto diventa occasione di grazia per coloro che sono amati da Dio. Ci ha costretti a riconsiderare cosa è veramente essenziale. Anche per la missione cosa è indispensabile? Ardere per Cristo! La missione e l’apostolato devono ripartire da anime ardenti e desiderose di salvare le anime… e poi “un tantino ogni giorno” agire, perché Cristo sia conosciuto da ogni uomo. Si parte dall’apostolato della preghiera e della sofferenza … e a questo sempre bisogna tornare con rinnovato slancio. E nessuno può dire che non può fare questo apostolato. Don Gino |