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IL CANTO E LA DANZA
DEL MAGNIFICAT

 

Luca è l’evangelista della salvezza, tema centrale di tutta la sua opera. Alcuni suggeriscono che egli sia stato pittore, infatti molte Madonne portano il suo nome. Questa notizia non è sicura, invece è certo che i quadri più belli il terzo evangelista li ha dipinti non con il pennello, ma con la penna. Egli è anche l’evangelista dei poveri, della misericordia, della gioia. In modo del tutto singolare, però, Luca è l’evangelista della preghiera. Il «caro medico », come lo chiama affettuosamente Paolo, offre numerosi insegnamenti e raccomandazioni in merito ad essa e offre anche numerosi esempi di preghiera. Tra questi spiccano il Benedictus, il Magnificat e il Nunc dimittis. Preghiere meravigliose, tanto che la Chiesa invita a ritmare con esse le ore della giornata.

Il Vangelo dell’infanzia (Luca cc. 1-2), è il contesto immediato del Cantico. Il Magnificat è intercalato fra due annunci: a Zaccaria e a Maria, e due racconti di nascita: di Giovanni Battista e di Gesù. Tra questi due annunci e due nascite ci sono, come intermezzo, la narrazione della Visitazione e il canto del Magnificat. Lo stesso Cantico della Vergine occupa la parte centrale del trittico di inni che costellano il Vangelo dell’infanzia, insieme con il Cantico di Zaccaria e il Cantico di Simeone, mentre, qua e là, fanno capolino mini-inni, come quello degli angeli e quello di Elisabetta. Dopo l’annuncio dell’angelo, Maria si trova sola con un grande segreto che la coinvolge profondamente. Porta nel cuore un mistero che non può spiegare. In questa solitudine, si unisce ad una carovana, s’incammina verso la Giudea per raggiungere il villaggio di Ain Karim e, quindi, la casa della cugina di Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Allora, piena di Spirito Santo, benedice Maria, benedice il Figlio da poco concepito, proclama la giovane cugina «Madre del Signore» e «beata». Le poche e cordiali parole dell’anziana cugina comunicano immediatamente a Maria che è stata compresa, accolta e capita fino in fondo, che il suo segreto è stato colto. Solo allora, Maria può finalmente proclamare a gran voce il Mistero che porta dentro. Sgorga, così, dal profondo del suo cuore, il Magnificat, come fosse un commento lirico all’evento dell’Annunciazione/Incarnazione.

Maria, «Donna dei tempi nuovi, donna della pienezza dei tempi, che li anticipa, previene, accompagna con la sua sollecitudine materna» (T. Bello), a differenza dei discepoli, non ha atteso la risurrezione per vivere, pregare e agire nello Spirito. Le parole dell’angelo, infatti, ci dicono che fin dal momento dell’Annunciazione Maria agisce nella pienezza dello Spirito: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo » (Lc 1,35). Il Cantico, appunto, già esprime l’entusiasmo e l’ardore missionario della Chiesa di Pasqua e di Pentecoste. È vero che l’inno del Magnificat apre con una voce solista, quella di Maria, che mentre esulta (danza e canta) racconta le meraviglie di Dio, ma, subito dopo, il soggetto sarà sempre Dio, celebrato dalla bella ragazza di Nazareth con quattro titoli: Signore, Salvatore, Onnipotente, Santo.
La Bibbia mai parla di un Dio astratto, ma lo presenta sempre in azione, in atto di realizzare il suo piano di salvezza a favore dell’uomo. Il Cantico non fa eccezioni. I verbi scelti raccontano le azioni di Dio e parlano del suo agire nella storia: ha guardato, ha fatto grandi cose, stende la sua misericordia, ha disperso, ha rovesciato, ha innalzato, ha ricolmato, ha rimandato, ha soccorso, ha ricordato. Ed è proprio costatando questa azione di Dio nella storia dell’uomo che il cuore e le labbra di Maria magnificano il Signore. Il verbo magnificare ricorre poche volte nel Nuovo Testamento. Esso è usato nel libro degli Atti a proposito del battesimo dei primi pagani da parte di Pietro, quando i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo: «Sentivano, infatti, parlare lingue e glorificare Dio» (10,46); il testo Cei traduce con glorificare, ma il verbo è lo stesso usato da Maria e si dovrebbe quindi tradurre con «magnificare Dio». Questi primi battezzati, che provenivano dal paganesimo, hanno magnificato Dio, così come lo ha magnificato Maria. Lo stesso verbo è usato nella Lettera ai Filippesi. Paolo è in carcere e sta pensando alla propria sorte, che può essere di liberazione o di condanna, e dice «In ogni cosa Cristo sarà magnificato nel mio corpo» (1,20). L’apostolo sa di essere totalmente a servizio della lode di Dio, sia con la vita che con la morte. Egli infatti può affermare: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Anche Giovanni usa lo stesso termine quando parla dei santi, i «segnati», gli eletti, che cantano davanti al trono un canto nuovo, il canto della redenzione, il canto di una glorificazione, di una lode, per rendere «magnificenza » a Colui che sta all’origine di tutta la novità cristiana (Ap 14,3). Anche noi, chiediamo in prestito queste parole di Maria; viviamo i nostri giorni come ringraziamento e lode perenne; come servizio generoso e sereno, profumo di carità e di bellezza ai fratelli. Proviamo ad immaginare quel momento lì ad Ain Karim e ascoltiamo il Cantico dalla stessa voce di Maria. Lasciamoci invadere dal soffio dell’Amore, senza opporre resistenza. Lasciamoci portare. L’Amore è come il vento: soffia dove vuole; si ode la sua voce e non si sa da dove viene, né dove ti sta conducendo. Sgorgherà, così, anche dal nostro cuore… il nostro Magnificat.

Francesca V.