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LE DONNE TESTIMONI AUTOREVOLI
DEL RISORTO

 



I quattro Vangeli concordano nel narrare la presenza attenta e vigile delle donne negli avvenimenti pasquali: sono testimoni della Passione; osservano dove il corpo di Gesù viene deposto; al mattino, dopo il sabato, vanno al sepolcro per ungerlo di aromi. Le differenze riguardano il loro numero e il nome. Le diversità dipendono dalla prospettiva catechetica e teologica di ogni evangelista. Nel vangelo secondo Matteo, al mattino di Pasqua, emergono Maria di Magdala e l’altra Maria; Marco riferisce di Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome; Luca più ampiamente ricorda «le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea: Maria di Magdala, Giovanna e Maria Madre di Giacomo» (23,55). Per Giovanni, solo Maria di Magdala, si recò al sepolcro. Luca avverte che le donne non sono credute; secondo Marco le donne non dicono nulla a nessuno perché hanno paura; in Matteo le donne ricevono l’annuncio prima dal giovane e poi da Gesù in persona che le invia agli Apostoli. In Giovanni, Gesù stesso si fa riconoscere da Maria di Magdala che invia agli Apostoli. Un fatto è evidente: le donne sono protagoniste indiscusse del mistero pasquale, nella sua completezza!

Maria di Magdala e l’altra Maria

Ci soffermiamo sul primo Vangelo sia perché è quello dell’anno liturgico in corso (anno A), sia perché richiama aspetti importanti della nostra spiritualità paolina. La risurrezione di Gesù è narrata nel capitolo 28, divisibile in tre parti: 1. tomba vuota e messaggio pasquale alle donne da parte dell’angelo e di Gesù (vv. 1-10); 2. diceria dei capi (vv. 11-15); 3. missione universale (vv.16-20). Le tre parti sviluppano l’immagine del cammino, che è la sequela discepolare post-pasquale. Le donne sono le protagoniste della prima parte. Maria di Màgdala e l’altra Maria, il giorno dopo il sabato, vanno al sepolcro per cercare il Crocifisso perché sapevano dove era stato posto: «Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria» (Mt 27,61). Queste due donne fanno parte “delle molte” che avevano seguito Gesù per servirlo (Mt 27,55). Andando al sepolcro, sono certamente preoccupate, compresse nel loro dolore, angosciate per gli avvenimenti vissuti! La crocifissione e la sepoltura non distrusse, tuttavia, il loro affetto verso il Maestro, abbandonato dalle folle e anche dai discepoli.
Questo loro affetto è, però, concentrato nel ricordo della sequela pre-pasquale di cui custodiscono gelosamente i particolari, che vorrebbero rivivere allo stesso modo. Un terremoto improvviso viene a scuotere le fondamenta della terra e scuote pure le loro angosce. Si tratta di un terremoto che richiama lo stupore di Maria, quando “fu molto turbata” per le parole dell’angelo riguardo alla nascita di Gesù (Lc 1,29), che capovolgeranno la sua esistenza. La presenza dell’angelo di Dio indica, invece, il sorgere di una novità inedita che segna un nuovo inizio nella storia. In Maria l’Eterno entra nel tempo, nella risurrezione la Vita sconfigge la morte, per sempre. L’angelo toglie la pietra dal sepolcro e vi si siede sopra non per fare uscire Gesù, ma per fa vedere che il suo corpo morto non c’è più. Solo le guardie, rappresentanti di coloro che rifiutano il Signore, possono avere paura e, infatti, “furono scosse e rimasero come morte”. Le discepole non possono avere paura e l’angelo dice loro: «Non abbiate paura, voi». L’incoraggiamento a «non temere» percorre il Vangelo di Matteo. A partire da Giuseppe (Mt 1,20), il primo ad essere incoraggiato dinanzi al “mistero”: Gesù ripete quest’incoraggiamento tre volte nel discorso missionario (Mt 10,26.28.31); lo rivolge ai discepoli che temono di annegare (Mt 14,27) e ritorna nell’esperienza della trasfigurazione (Mt 17,7).
È l’incoraggiamento che percorre tutta la Scrittura.
Nell’Antico Testamento questa parola incoraggiante è seguita dal motivo per cui non si deve temere: Dio è il tuo scudo, la tua forza, la tua guida, nel Nuovo Testamento, in particolare in Matteo, l’invito a non temere è “assoluto”. “Non temere” e basta! Il perché è dato dal fatto che Egli è vivo, è con noi. «Non abbiate paura, voi». Il “voi” indica le due discepole concrete, che erano andate, alla ricerca del loro Maestro che credevano aver perduto per sempre. L’angelo continua: «So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui». Maria di Madgala e l’altra Maria, come la sposa del Cantico dei Cantici, sono le innamorate che non si rassegnano dinanzi alla perdita del loro amato e lo cercano con grande coraggio e ostinazione.
La loro ricerca ha bisogno di essere corretta perché è rivolta al passato, alla ricerca di un “corpo morto”. È meglio, comunque, una ricerca sbagliata piuttosto che una fuga da ciò che fa paura o, peggio ancora, dal rinchiudersi come in una tomba esistenziale per non vedere e per non rispondere. La ricerca pone in cammino, anzitutto interiore! La ricerca, solo se c’è, può essere corretta e riportata nella direzione giusta. L’angelo aiuta le due donne a superare la loro confusa ricerca invitandole a una speciale “conversione”. “È risorto, infatti, come aveva detto”. Lo aveva detto! Come hanno potuto i discepoli e le discepole dimenticarlo?
L’angelo quindi avvalora le sue parole mostrando un segno: “Venite, guardate il luogo dove era stato deposto”. Maria di Madgala e l’altra Maria, il cui amore come, a causa della sofferenza, si era solo assopito ma non era morto, ricordano le parole di Gesù e vedendo il sepolcro vuoto, abbandonano la nostalgia del passato da “riportare in vita” e si aprono al ricordo/memoria della Parola che apre alla novità di Dio.

Bisogna fare presto

Convertite alla novità di Dio, possono testimoniarla e condurre ad essa senza indugio. «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Mt 28,7). L’avverbio “presto”, “subito”, “in fretta” descrive l’atteggiamento di chi, cosciente della sua responsabilità dinanzi a una situazione importante, agisce senza rimandi. Abigail in fretta corre da Davide per evitare uno stermino; Maria in fretta va da Elisabetta per assisterla nella eccezionale gravidanza; i pastori senza indugio andarono a Betlemme per vedere il Salvatore; i discepoli subito lasciano le reti per andare dietro Gesù!
Anche le donne del mattino di Pasqua fanno presto: la lieta notizia della risurrezione di Gesù non può aspettare e gli undici non possono rimanere prigionieri dell’angoscia e nella paura di aver fallito tutto. L’hanno ben compreso queste donne che non camminano ma corrono verso gli Apostoli per aprire i loro occhi alla luce pasquale. Erano andate al sepolcro silenziose e forse con passo lento, ora con il cuore colmo di gioia corrono dagli undici, ambasciatrici autorevoli della lieta notizia che il Crocifisso è risorto dai morti, li precede, come pastore risorto, in Galilea e là li attende. Mentre corrono, il Risorto anche lui in cammino, va loro incontro, le invita alla gioia: «rallegratevi/godete» e le incoraggia di nuovo a non avere paura.
Le donne “Avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono” perché capiscono di essere dinanzi a colui che è vivo per sempre. Il loro gesto adorante è genuino atto di fede e percorre tutto il Vangelo, a partire dall’adorazione dei Magi a Gesù bambino (Mt 2,1-12). Gesù risorto conferma loro l’incarico ricevuto dall’angelo di andare dagli undici e ratifica l’appuntamento in Galilea.
Alle donne, inoltre, Gesù, rivela il nome nuovo degli undici: sono “i miei fratelli” e non soltanto i miei discepoli. Le donne hanno la responsabilità di annunciare che la famiglia dei figli di Dio nasce dalla pasqua di Gesù. In questo vangelo vi sono tre categorie di fraternità. La prima la si trova in Galilea, quando arrivano da Nazaret i suoi familiari (cfr. 12,46-50): “Fratello” è colui che fa la volontà del Padre, così come Gesù sta facendo la volontà del Padre. La seconda categoria di fratelli sono i poveri nei quali si identifica (Mt 25,31-46). Il terzo aspetto (28,10) è la fraternità di coloro che sono stati recuperati da Gesù con il perdono del Padre e con la sua morte che ha cancellato il rinnegamento e l’abbandono e ha sanato le ferite prodotte dalla sequela fallimentare.
I discepoli, fidandosi di quanto annunciato dalle donne, vanno in Galilea dove, dopo aver incontrato il Risorto, ricominciano la sequela del dopo Pasqua. Dal luogo dove avevano cominciato la fallimentare sequela terrena danno inizio alla missione. Gesù non camminerà fisicamente con loro ma vivranno la gioia che Egli, risorto dai morti, non ha cercato persone migliori al posto loro. Li ha perdonati, chiamato fratelli, convocati, incaricati di annunciarlo in tutto il mondo, assicurando che sarà con loro sempre, fino alla fine della storia! (cfr. Mt 28,20). Le donne del primo Vangelo, hanno avuto una missione importante in tutto. Capaci di ricerca, memoria, conversione, ricevono un duplice annuncio da portare agli undici: la sua risurrezione e la fraternità che nasce dal perdono pasquale.

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) Rileggi Mt 28,20 rilevando i verbi che caratterizzano il cammino delle donne: da quello silenzioso al sepolcro, alla corsa gioiosa verso i discepoli. Quali di questi verbi cercare, ricordare, correre, adorare, annunciare (che caratterizza queste donne), ti colpisce di più e perché? Intravedi nel loro percorso interiore una ‘conversione’ che può riguardarti?

2) In questo racconto l’invito a “non temere” si ripete due volte: prima da parte dell’angelo e poi da parte di Gesù. Leggi AD 152 e annota che cosa ti suggerisce questo richiamo.

3) Le donne del mattino di Pasqua non devono temere e dopo avere cambiato la direzione della loro ricerca, devono annunciare agli Undici che Gesù è risorto e li precede in Galilea. Confronta questo “quadro pasquale” con le frasi carismatiche scritte nelle nostre Cappelle e domandati: Che cosa la Famiglia Paolina oggi non deve temere? Da quale ricerca o direzione sbagliata dobbiamo convertirci? A chi e come dobbiamo annunciare che Gesù è risorto, ci chiama fratelli e sorelle, ed è sempre con noi?

Suor Filippa Castronovo, fsp