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GIONA NEL VENTRE DEL PESCE
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Giona, salito sulla nave, «scende» nel posto più basso, nella stiva e si addormenta. Questa discesa è immagine simbolica della sua ribellione a Dio e fugge lontano. Una fuga che lo fa scendere “in basso” e “dormire”. Dio gli risponde con gli eventi: «Il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi» (1,4). I marinai pregano ciascuno il proprio Dio e si adoperano per liberarsi da quel pericolo mortale. Tutti agiscono, solo Giona dorme. Il suo sonno è assenza dalla realtà. Chi dorme è fuori dalla vita perché non vede, non sente, non comunica. Il sonno è esperienza di morte! Giona è così assente che il capo dell’equipaggio per svegliarlo gli urla: «Che cosa fai così addormentato?» e gli rivolge il comando che Dio gli aveva imposto: «Alzati e prega il tuo Dio. Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo!» (1,6). Le parole del capitano esprimono fiducia nella misericordia di Dio che aveva messo in fuga Giona. I membri dell’equipaggio, convinti che si tratti di un castigo degli dei, secondo gli usi del tempo, tirano a sorte per cercare il colpevole. La sorte cade su Giona che, oltre a essere il grande assente, risulta essere pure il colpevole. Meravigliati, gli rivolgono domande che toccano la sua identità religiosa e la sua missione:

«Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?» (1,8). Queste domande ricordano il discorso di Achior a Nabucodonosor quando gli spiega l’identità del popolo di Dio, popolo invincibile se rimane fedele al suo Dio, perché «Dio che odia il male è in mezzo a loro» (Gdt cap. 5). Come agli israeliti che dubitavano del loro Dio un pagano ricordò la loro identità religiosa così a Giona i pagani gli ricordano che egli è profeta per vegliare e mediare la salvezza! Giona rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra”. Quegli uomini, presi da grande timore, domandarono: “Che cosa hai fatto?”. Erano venuti a sapere che fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato» (1,9). La risposta di Giona è teologicamente corretta: afferma, infatti, che Dio è padrone di tutto e anche del mare. Se padrone del mare, solo Lui poteva provocare la tempesta.
I marinai, chiamati da questo momento “uomini”, temono Dio. Il loro timore dalla paura iniziale (1,10) si trasforma in fiducia e obbedienza (1,16). Questi pagani richiamano Rut che si converte al Dio d’Israele e l’accoglie come suo Dio (cfr. Rt 1,16-17). Giona, ritenendosi colpevole, dice «Gettatemi in mare e il mare si calmerà perché è a motivo di me che questa tempesta si è abbattuta su di voi» (1,11). I marinai, che hanno paura di offendere Dio sacrificando Giona, pregano che la loro azione non rechi offesa al Signore cui Giona disobbedì, ma con essa compiano soltanto il suo volere (cfr. 1,14). Quindi gettano Giona in mare ed esso ritorna tranquillo. In segno di ringraziamento offrono sacrifici al Signore. Perché Giona vuole essere gettato in mare? È scelta di generosità per salvare gli altri? Chiede di essere gettato nel mare perché si fida di Dio che salva dalla tempesta come dice il Salmo (cfr. Sal 69/68)? O non piuttosto per una radicale protesta verso Dio che non lo lascia in pace e lo costringe ad andare dove lui non vuole andare? Ed ecco che «Dio dà ordine a un grande pesce di inghiottire Giona, che rimane nel ventre del grande pesce per tre giorni e tre notti e lì prega il Signore». Il testo non spiega di che tipo di pesce si tratti e non ne descrive i particolari; afferma solo che è un grosso pesce. Per questo si è pensato alla balena o al Leviatan (cfr. Sal 104,26). L’immagine simbolica di Giona nel ventre del pesce indica che Dio, ponendolo in una situazione impossibile, lo costringe a capire che solo da Lui può ottenere salvezza.
Il numero “3” è simbolico e indica un periodo dopo il quale non vi è più speranza (cfr. Lc 24,21). Giona nel ventre del pesce è destinato alla morte, forse, più lenta ma più dolorosa dell’annegamento. Ma Dio lo vuole vivo. La descrizione letteraria fiabesca mostra come dietro queste assurde vicende c’è Dio che sta guidando sapientemente la storia del profeta. Il Signore, infatti, “dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona” (cfr. 2,1). In questa situazione, senza via di uscita, Giona si ricorda di pregare. E Dio, come risposta, comanda al pesce di vomitarlo sulla terra (2,11).

La preghiera di Giona

Questa preghiera simile a un salmo, mostra Giona ripiegato su se stesso al punto da attribuire a Dio la causa della sua disgrazia: «Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare... Le acque mi hanno sommerso fino alla gola... Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore». Non ha parole di compassione per gli altri, per esempio, per i niniviti ai quali Dio lo aveva mandato. Gli altri in questa preghiera sono quelli che servono gli idoli (v. 9). Non mostra pentimento e non chiede perdono per la sua disobbedienza. Al v. 5 afferma che Dio lo ha cacciato mentre era stato lui a fuggire lontano: «Sono scacciato lontano dai tuoi occhi». Infine, promette di offrire sacrifici a Dio se lo salva. Non ricorda che i marinai appena compresero che dietro la sua vicenda agiva il suo Dio gli offrirono sacrifici. La preghiera di Giona è imperfetta ma sicuramente è un “SOS” a Dio nella quale esprime la sua umana fragilità, che ce lo fa sentire vicino. La permanenza nel ventre del pesce è approfondita sia dalla tradizione ebraica che da quella cristiana. Nel midrash (metodo ebraico di esegesi biblica) il pesce è immagine o simbolo della tomba nella quale Giona scende.
Nel Nuovo Testamento, Matteo e Luca riportano tre riferimenti di Gesù a questo profeta. Nel Vangelo secondo Matteo, Giona con la sua vicenda “profetizza” il mistero pasquale di Gesù. Agli scribi e ai farisei che gli chiedevano un segno, presenta il segno del profeta Giona: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (12,40; cfr. 16,1-4). Questo segno si riferisce alla sua sepoltura e risurrezione. Matteo che scrive a una comunità di origine ebraica è interessato a mostrare la pasqua di Gesù, che è il cuore del messaggio cristiano.

Giona, finalmente, a Ninive

Giona, vomitato dal grosso pesce, si ritrova vivo sulla terra asciutta e deve decidere se obbedire o fuggire un’altra volta. Dio gli rivolge di nuovo l’invito ad “alzarsi e andare a Ninive, la grande città”, non più per gridare contro di essa (cfr. 1,1) ma deve andare da essa per proclamare ciò che il Signore gli dirà (cfr. 3.1). Giona “si alzò e andò secondo la parola del Signore”.
Ninive è una “città grande” non tanto per le sue misure geografiche ma per Dio (cfr. 3,3), che la stima, la considera preziosa e ha compassione per le conseguenze del suo peccato. A Ninive avrà vissuto una sensazione di smarrimento visto che per attraversarla ha dovuto impiegare tre giorni, tanti quanti quelli trascorsi nel ventre del pesce. Attraversandola proclama un annuncio breve ma molto preciso. Il testo ebraico è questo: «Ancora quaranta giorni è Ninive sarà rovesciata».
Il verbo “rovesciare” indica o una distruzione o un capovolgimento. L’ironia che pervade il libro non allude alla distruzione violenta ma alla conversione. Il verbo rovesciare nella Bibbia ricorda che Dio cambia la morte in vita, la maledizione in benedizione, rovescia i potenti ed esalta gli umili (cfr. Dt 32,6; Sal 30,12; Lc 1,52). Il numero quaranta, come il tre, indica il tempo decisivo per assumersi le proprie responsabilità. Giona convinto di annunciare la minaccia, suo malgrado, senza saperlo, annuncia quaranta giorni di grazia, il tempo necessario per convertirsi e rovesciare la situazione.
Ed ecco la sorpresa: i niniviti accolgono il suo annuncio. Dio non li distrugge e la grazia vince il peccato. Di qui, per Giona, una nuova crisi perché la distruzione annunciata non si era realizzata. Possiamo capire la crisi di Giona se pensiamo che uno dei criteri della vera profezia sia la sua realizzazione (cfr. Dt 18,22; Ger 28,9). La parola annunciata, se non si realizza, potrebbe essere falsa e se è falsa la parola è pure falso il profeta che l’annuncia! Giona è chiuso in questa logica e ha bisogno di crescere nella conversione, per vedere i niniviti pieni di misericordia di Dio. In un certo senso, Giona richiama il fratello maggiore della parabola del padre misericordioso (Lc 15, 29-30) che non riesce a fare festa al fratello ritornato a casa dopo aver sperperato l’eredità mentre lui, rimasto nella casa del padre, si era comportato, apparentemente nella fedeltà ai suoi doveri, ma con atteggiamento servile. Il Vangelo secondo Luca interpreta il libro di Giona in ottica missionaria, mostrando l’accoglienza incondizionata dei niniviti nei riguardi di Giona e del suo annuncio. Mentre i niniviti “grandi e piccoli” (Gio 3,5) accolsero la predicazione di Giona, i concittadini di Gesù gli furono ostili: «Nel giorno del giudizio gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona» (Lc 11,32). La storia del profeta Giona è profetica perché presenta una “storia” imprevedibile e paradossale così come imprevedibile e paradossale è la misericordia di Dio per l’umanità.

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) Perché Dio sceglie Giona dal carattere testardo e non gli rivela subito i particolari di ciò che vuole da lui e che cosa deve dire? Perché lo lascia libero di fuggire per poi farlo ritornare dove Egli aveva deciso? Ricorda queste parole: «Il Signore accende le lampadine, in avanti, man mano che si cammina ed occorre; non le accende tutte, subito all’inizio, quando ancora non occorrono; non spreca la luce; ma la dà sempre a “tempo opportuno” » (San Paolo, Corso speciale di Esercizi spirituali, aprile-maggio1959).

2) C’è una grave malattia che minaccia oggi i cristiani: la “sindrome di Giona”, che ci fa sentire perfetti e puliti come appena usciti da una tintoria… e ci riteniamo condannati ad arrangiarsi da soli senza il nostro aiuto chi non è come noi… Una grossa malattia, la sindrome di Giona!» (Francesco,14 ottobre 2013). Come, secondo te, questa malattia spirituale si manifesta?

3) Confronta la disobbedienza di Giona e l’obbedienza di Gesù, la vittima innocente, che, al contrario del profeta reticente, entrando nella sofferenza (cfr. Eb 5,7-9) dona la vita per i suoi carnefici e ottiene dal Padre la risurrezione. Che cosa ti suggerisce questo parallelo? Suor

Filippa Castronovo, fsp