Home| Chi siamo| Cosa facciamo| Perchè siamo nate | Spiritualità| La nostra storia | Libreria| Fondatore|Famiglia Paolina| Preghiere |Archivio | Links | Scrivici | Area Riservata |Webmail | Mappa del sito

 

I NINIVITI CREDETTERO A DIO
(3)

 

Gli abitanti di Ninive alla predicazione di Giona si convertono dal più grande al più piccolo (cfr. Gio 3,5-9) e praticano i segni rituali della penitenza: il digiuno segno di fame della parola di Dio e le vesti di sacco, segno di umiltà e pentimento. Il re, in particolare, si spoglia dei suoi abiti regali, si getta sulla cenere e promulga un editto che obbliga al digiuno tutti, persino gli animali. Nella storia d’Israele, la predicazione dei profeti era stata, molto spesso, rifiutata e i profeti furono minacciati e uccisi (cfr. Ger 36). Giona dovrebbe considerarsi fortunato perché la sua missione era andata a buon fine. La parola annunciata ha trovato un ascolto obbediente. Normalmente dovrebbe salire un ringraziamento a Dio e, invece, dal suo cuore esce solo un lamento perché Dio non distrugge i niniviti e, al contrario, dinanzi al pentimento dei niniviti, si converte perché «vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia,e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare

loro e non lo fece» (Gio 3,10). Dio ha bisogno di convertirsi e di pentirsi? Questo messaggio non è nuovo nella Bibbia. Il racconto del diluvio e altri testi (Gen 6,6; Es 32,14; Ger 26,13; Am 5,15; Sof 2,3) mostrano che il Dio rivelato nelle Scritture sacre non corrisponde alle immagini che ci costruiamo e ai nostri desideri umani. Dio per farsi comprendere, ci permette di descriverlo con i nostri sentimenti e di esprimerlo con le nostre parole, si pente, si converte, cambia idea. Anche i marinai si erano domandati: «Chi sa che Dio non cambi idea » (1,6). Il libro di Giona è attraversato dal grande interrogativo teologico, che abita il cuore del credente: “qual è il vero volto di Dio?” Questa domanda cruciale, che attraversa il libro di Giona, si comprende con maggiore chiarezza se consideriamo questo libro come un capitolo del libro dei 12 profeti minori. Per il profeta Abdia che lo precede Dio è giusto e punisce. Michea che lo segue evidenzia che Dio toglie il peccato e passa sopra le colpe. Nahum afferma che Dio è “lento all’ira” ma “non lascia nessuno impunito”. Qual è, allora, il volto di Dio? A questa domanda il libro di Giobbe risponde che «Dio si pentì» (3,9-10).

La pianta di ricino

La parola chiave o password del capitolo quattro è il termine “male”. Il libro inizia notando il “male” dei niniviti che era salito fino a Dio; nel capitolo 3 il re di Ninive comanda ai suoi sudditi di allontanarsi dal “male”. Dio si accorge del loro pentimento e si pente del “male” che aveva deciso per Ninive (3,10). Giona, invece di gioire per l’eliminazione del “male”, se ne adira e ne prova dispiacere. Non sopporta che Dio si ravveda riguardo al “male” minacciato (cfr. 4,1). Il testo ebraico andrebbe letto così: «Ma fu un male per Giona di un male grande ed egli ne fu adirato». Giona convinto che il male si elimina con la violenza rimane sdegnato. Non aveva capito che la giustizia di Dio non è come la nostra (cfr. Is 55,8-9) e questa giustizia è, nello stesso tempo, misericordia e perdono. L’obbedienza di Giona alla parola di Dio, come si può facilmente notare, era formale. A Ninive era andato soltanto con le gambe e non con il cuore, che rimaneva lontano da Dio e si permetteva di giudicare il suo agire. La sua preghiera, certamente sincera, manifesta la sua visione distorta di Dio: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato».
Giona aveva previsto che se quella gente si fosse convertita, Dio non l’avrebbe distrutta, perché sapeva bene che la compassione di Dio è più grande della sua collera (Es 34,6-7; Sal 103, 8-10). E non poteva ammetterlo! Eppure era figlio di Amittai, il fedele! Il ripiegamento di Giona su se stesso è testimoniato dai pronomi di prima persona: io, mio, mi, me che caratterizzano questa seconda preghiera che si conclude, infine, con la domanda di morire «Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!» (4,3). Giona non può capire il perdono perché non rinuncia alle sue rivendicazioni, perché non è riconciliato con la sua storia e non riesce a vivere un’esperienza gioiosa di relazione con il Signore che apre alla fraternità solidale. Il paradosso è infinito: la vita dei niniviti è salva e Giona, benché profeta, determinato dall’ira chiede di morire. Il suo rifiuto ad andare a Ninive, quindi, non fu motivato dalla paura di fallire la missione ma dalla “certezza” che i niniviti si sarebbero convertiti. Se avesse avuto paura della missione avrebbe presentato a Dio le sue obiezioni! E Dio, come per gli altri profeti, gli avrebbe promesso la sua assistenza. Egli rifiutava la conversione dei niniviti. La scelta di morire richiama quella di Elia (1Re 19,4) quando fugge dalla regina Gezabele che vuole ucciderlo. Elia seduto sotto un ginepro invoca la morte e Dio lo nutre inviandogli pane e acqua. La differenza tra questi due profeti è sostanziale. Elia fugge per sfuggire alla morte decisa dalla regina perché aveva difeso il suo Dio; Giona vuole morire perché non accetta il modo di agire di Dio. Elia nella fuga incontra Dio (1Re 19,9-13); Giona fugge per andare lontano da Dio, fallendo la sua missione.

Dio educa Giona

Il Signore, addolorato della durezza di Giona, gli domanda: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (Gio 4,4). Giona continua a non rispondere anzi, convinto di dover assistere alla punizione dei niniviti, si reca su una collinetta a oriente delle mura per godersi lo spettacolo: «Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città» (Gio 4,5). Giona, contraddicendo la sua vocazione, prende le distanze, rifiuta la solidarietà e respinge la conversione che avrebbe dovuto farlo gioire e sentire realizzato. Dal momento che la città si era già convertita che cosa doveva aspettare: che la conversione fosse di breve durata così che Dio avrebbe fatto scendere il fuoco? Aspetta finché si addormenta e mentre dorme Dio fa crescere un alberello, in ebraico “qiqajon”, che gli fa ombra e lo conforta nell’arsura del deserto. Il profeta si rallegra di quell’ombra. Finalmente un primo sentimento di gioia che Giona vive e dimostra. Ed ecco al sorgere dell’aurora, Dio manda un verme che rode l’alberello ed esso secca (cfr. Gio 4,6-7). Come se non bastasse, Dio invia un vento caldo che colpisce la testa di Giona tanto da sentirsi venire meno e desiderare di nuovo di morire (1,11; 4,3.8.9): «Meglio per me morire che vivere». Giona aspettava la distruzione di Ninive e assiste a quella del ricino che gli dava ombra! Dio prova a farlo ragionare: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Giona, per la prima volta, risponde: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». La domanda di Dio è la chiave di comprensione del libro di Giona. Tu, gli dice Dio, ti preoccupi di una pianta che non hai fatto crescere «E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali? » (Gio 4,11). La considerazione che i niniviti non sanno distinguere fra la mano destra e la mano sinistra ha avuto diverse interpretazioni: sono come bambini privi dell’uso della ragione; persone che non sanno distinguere il bene dal male.
L’interpretazione più coerente al testo è quella che esalta la misericordia di Dio che salva i niniviti non perché lo meritino ma perché egli è Misericordia ed essa non dipende esclusivamente da Lui. Il volto di Dio rivelato nel libro di Giona, scritto nel IV a.C. quando cominciano a mancare i profeti, mette in dubbio – come farà il libro di Giobbe – la teologia tradizionale secondo la quale Dio premia i buoni e distrugge i cattivi. Il libro di Giona afferma che Dio che ha fatto il cielo, la terra e il mare, si commuove e si pente del male minacciato (3,9-10; 4,2), perché è pieno di compassione per tutti, anche per gli animali e per coloro che non appartengono al popolo di Dio (4,10-11). Il peggior nemico d’Israele può essere capace di conversione ed è amato da Dio. Questa scoperta scandalizza e fa infuriare Giona al punto da non rispondere a Dio e da rinchiudersi di nuovo nel silenzio. Giona a ragione, è stato definito “collezionatore di fallimenti umani” (W. Wogels). La domanda: “Ti sembra giusto?” non conclude solo la conversazione di Dio con il profeta, ma conclude anche il libro. Alla fine del nostro studio notiamo che il libro si apre con Dio che chiama Giona ed egli non risponde e si chiude con la domanda che Dio gli pone e con il suo testardo silenzio. Il profeta non risponde né all’inizio, quando Dio lo chiama, né alla fine, quando Dio vuole aprirgli gli occhi per ammettere il suo errore e le sue corte vedute. La domanda nel libro rimane aperta, senza risposta. Il silenzio di Giona interroga il lettore del “Libro di Giona” di tutti i tempi per provocarlo a una personale risposta alla Misericordia paradossale di Dio.

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) Rifletti ora su queste tre domande: in che senso il libro di Giona è una profezia cristologica? Quale l’aspetto kerigmatico del libro? Come ti appare la dimensione umana del protagonista, profeta suo malgrado?

2) Nel libro di Giona, Dio si manifesta come imprevedibile misericordia sia per i niniviti che per Giona. Dove scopri la misericordia di Dio verso Giona che non vuole piegarsi alla logica di Dio?

3) L’esperienza di Dio che sostiene la fragilità umana e guida la storia del chiamato, con sapienza e amore, apre il testo di Abundantes Divitiae, dove il nostro Fondatore parla della storia misericordiosa di Dio nei suoi riguardi e della sua che considera piena di fragilità ma vissuta nell’umiltà e nel riconoscimento dell’«eccesso della divina carità» per lui (cfr. AD,1). Confronta questo numero con AD 28. Riflettendo sui motivi del fallimento vocazionale di Giona, domandati: che cosa mi suggerisce, invece, il beato Alberione, nostro Fondatore per la mia riuscita vocazionale?

Suor Filippa Castronovo, fsp