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PAOLO: INIZIANDO DALLA FINE

 

Carissime Annunziatine,

a fine mese celebreremo la festa di san Paolo, dottore delle genti, che il Fondatore ci ha affidato come protettore e modello. Saulo, proveniente da Tarso, arriva a Gerusalemme, è un brillante studente alla scuola di Gamaliele, diventa nemico dei Cristiani ma sulla via di Damasco rimane folgorato, da lì corre per predicare il Vangelo di Cristo con il nome di Paolo, sino a morire a Roma. Quest’anno proviamo a riflettere sulla vita di san Paolo iniziando dalla fine. Con “fine” intendiamo dall’ultima pagina degli “Atti degli Apostoli”, dove troviamo un san Paolo maturo: ha ormai una cinquantina d’anni.

L’ultima pagina degli Atti degli Apostoli

L’ultimo brano degli “Atti degli Apostoli” (At 28,16-20.30-31) viene assegnato dal Lezionario alla vigilia di Pentecoste, ma con l’Ascensione spostata alla domenica, l’ultimo sabato del Tempo Pasquale è riservato a Maria Regina degli Apostoli. Gli “Atti” ad alcuni sembrano un libro inconcluso, a molti sembrerebbe più logico che terminasse con la morte di Paolo e Pietro… Invece terminano con Paolo prigioniero a Roma che testimonia il Vangelo: per due anni accoglie chi viene a trovarlo e presenta «Gesù Cristo con piena libertà e senza ostacoli» (At 28,31). Luca racconta che la storia della Chiesa e della testimonianza evangelica non si ferma, continua ...
Anche oggi è tempo di “apostoli”, noi che continuiamo a testimoniare Cristo sino alla fine del mondo. Luca è un ottimista inguaribile, non nasconde le difficoltà, solamente le mette in secondo piano. Per capire meglio l’ultima pagina degli Atti degli Apostoli occorre inquadrarne il contesto immediato e quello più ampio. Contesto immediato non è solo quello che gli Ebrei non fanno guerra a Paolo («né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te» At 28,21). Luca ci sta dicendo che finalmente i Giudei non cercano di farlo fuori: è dai tempi dei fatti di Damasco che andava avanti questa guerra (cfr. At 9,23).

Prigioniero ma libero di parlare

Ma contesto immediato è anche vedere che Paolo è prigioniero, con un soldato di guardia, e non può andare ad evangelizzare per il mondo. È interessante fare il confronto con l’Apocalisse, anche san Giovanni, relegato nell’isola di Patmos, è impedito di andare a predicare… e scrive. Anche san Paolo, impedito di andare di persona, ha scritto. Dio nella sua provvidenza gli impedisce di viaggiare e così scrive… e noi oggi ringraziamo. Dunque Paolo è prigioniero tuttavia la Parola di Dio non è impedita (cfr. 2Tim 2,9), perché non è mai prigioniera, anzi libera. È da Mileto (al concludersi del terzo viaggio missionario), ed in particolare dal discorso agli anziani di Efeso, che san Paolo sa che non potrà più andare dove vuole: «So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni » (At 20,23). Quanto tempo in prigione a Gerusalemme, e poi a Cesarea prima di appellarsi a Cesare e giungere a Roma! Paolo si appella a Cesare solo per non rimanere bloccato in prigione e poter tornare a predicare. Inoltre, leggendo gli Atti degli Apostoli, bisogna considerare di più il contesto storico. Verso il 70 i Romani hanno distrutto lo stato di Israele, Gerusalemme e il Tempio, e tutti gli Ebrei sono dispersi o in schiavitù, cristiani compresi. I primi lettori di questo libro lo avevano ben chiaro: Roma non è un posto buono, è la nuova “Babilonia”! Eppure Luca ci dice, anche “in catene e nelle tribolazioni”, si evangelizzano i pagani «ed essi ascolteranno » (At 28,28).

L’ultimo Paolo

L’ultimo Paolo raccontato da Luca non può andare dove vuole, ma invece “accoglieva tutti quelli che venivano da lui”. C’è qui un mistero della Chiesa di Cristo: fiorisce dove non ce lo si aspetta! Ma anche senza tribolazioni non porta frutto. Non illudiamoci: per la via comoda e senza la croce non si può evangelizzare. Tra le righe delle ultime pagine degli Atti, Luca ci fa scoprire un Paolo diverso. È un “vecchio” che esorta nel nome di Cristo. Non è più il focoso Saulo giovanile, ardente di carattere e infuocato nel parlare, quello che non si fa problema di rimproverare anche san Pietro ad Antiochia (cfr. Gal 2,11-14). Che riesce anche a litigare con Barnaba fino a prendere una direzione opposta per predicare: Barnaba verso Sud e Paolo verso Nord (cfr. At 15,36-41). Ce lo rivela l’atteggiamento con i Giudei di Roma, dove non riesce a convincerli, ma non litiga… non rompe del tutto. Rassegnato, dice «rema en» (“una sola parola”) e cita Isaia 40,5. È interessante dice una sola cosa, cioè rimane calmo… Bisogna proprio ammettere che è cambiato! Questa è la riflessione che dobbiamo fare nostra: la predicazione ha cambiato anche Paolo stesso, ora è diventato un vero “padre” per tutte le genti. Adesso è il Paolo dell’inno della Carità (1Cor 13). È colui che nel discorso di Mileto agli anziani di Efeso (At 20,17- 38) ha delicatezze quasi materne…
A forza di predicare l’amore di Cristo, Paolo ne è rimasto trasformato totalmente. Ci ha messo un po’ di tempo (non è bastata la folgorazione sulla via di Damasco), non solo ha parole di carità: ora trasuda carità. Anche noi dobbiamo lasciarci trasformare dalla Parola che dobbiamo portare dentro. Essa è come un fuoco che pian piano deve trasformare anche noi in quell’ardere. Allora non ci saranno catene e impedimenti, l’anima diventa luminosa del fuoco che c’è dentro. Qui c’è il senso della vita di consacrazione, della vita religiosa: si giunge alla pienezza quando la nostra stessa vita evangelizza. E gli altri saranno attirati e veramente si potrà testimoniare Gesù Cristo. A quel punto le tribolazioni saranno secondarie e diventano piuttosto occasioni di grazia. Per dirlo con le Parole di don Alberione, che ha lavorato sul suo carattere focoso a imitazione di san Paolo: «Apostolo è colui che porta Dio nella sua anima e lo irradia attorno a sé. (…) L’apostolo ha un cuore acceso di amore a Dio ed agli uomini; e non può comprimere e soffocare quanto sente e pensa. L’Apostolo è un vaso di elezione che riversa, e le anime accorrono a dissetarsi. (…) Vivere di Dio! E dare Dio.» (Alberione, CISP, 582; UPS, 4, 277s).

don Gino