Home| Chi siamo| Cosa facciamo| Perchè siamo nate | Spiritualità| La nostra storia | Libreria| Fondatore|Famiglia Paolina| Preghiere |Archivio | Links | Scrivici | Area Riservata |Webmail | Mappa del sito

 

MARIA E GIOVANNI,
SOTTO LA CROCE,
FANNO COMUNITÀ

 




La madre è sola, sotto la croce, a piangere il proprio figlio. Il discepolo è l’unico, fra i discepoli, ad essere rimasto. Maria e Giovanni sono travolti da un’immensa solitudine. Ed è qui che Gesù svela ad entrambi di essere una comunità. Chiede loro di realizzare quella famiglia fondata sulla fede di cui tanto aveva parlato. Sotto la croce, Maria e Giovanni rappresentano l’intera Chiesa, assottigliatasi fino quasi a scomparire. Sotto la croce, guardati da Cristo, scoprono di non essere soli e capiscono che il Signore li vuole (e lo stesso vale per noi) insieme. E Giovanni, da quel momento, da quell’ora, prende la madre con sé. La croce, manifestazione dell’amore senza misura di Dio, diventa l’elemento che li unisce. Al Getsemani tutti si erano dispersi, ognuno pensava solo a salvarsi la pelle, percossi come pecore senza pastore. Qui, ora, ci si fa carico gli uni degli altri. Il discepolo prende con sé la madre. Lo Spirito che Gesù dona, morendo sulla croce, sarà il collante di questa unione, la forza che permette alla Chiesa di farsi carico, di diventare feconda, generando (la madre) e annunciando (il discepolo). La madre e il discepolo sono la prima comunità cristiana che resiste alla prova. Quando, nella nostra vita, facciamo esperienza di Chiesa, dovremmo sempre tenere a mente da dove nasce la Chiesa. Voluta dal Signore, sognata dal Maestro durante la sua vita pubblica, solo qui, sotto la croce, la Comunità si realizza pienamente. E da qui si dilaterà. Sappiamo bene che la Chiesa non è una questione sociologica. Non si può analizzare e capire con strumenti solo umani. La Chiesa nasce dalla Croce, dallo stare che evolve nel farsi carico (di Israele, del passato fecondo che ci precede, degli altri) e che, necessariamente, comporta una fatica; solo se ci ricorderemo di questo, capiremo l’essenza del sogno di Dio. La Chiesa, osa dirci Giovanni, è la soluzione alla solitudine dell’umano, alla sofferenza. E nasce su iniziativa di Cristo che fa di due solitudini una comunione feconda. È ovvio che i limiti dell’esperienza umana e cristiana restano tutti. Ma siamo chiamati a leggerli e superarli guardando alla croce, cioè alla misura dell’amore di Dio. Una meditazione intensa della Passione può aiutarci a prendere coscienza di quanto siamo amati e di cosa significhi

farsi carico gli uni degli altri, come Gesù stesso ha fatto e ci insegna. Ritorniamo ai piedi della croce.
Giovanni parte dalla sua presenza e dalla sua esperienza (è lui, infatti, che scrive che la prenderà con sé!) per osare proporre un’altissima riflessione. Ma non dice molto su ciò che accade nel suo cuore. Suo e di Maria. Noi possiamo provare ad immaginare. Tutti se ne sono andati. E Gesù è lì, appeso, nudo, il corpo straziato. Maria e Giovanni si guardano. Tacciono. Cosa avrà pensato, in quel momento Maria? Dove sono finite le promesse dell’angelo? Dove la salvezza portata ad ogni uomo? Dove il Dio che l’aveva scelta come porta del cielo per entrare nella Storia? Dove? Quella croce conficcata nella pietra smentisce ogni apparizione, ogni promessa, ogni speranza. Nega l’esistenza stessa di Dio. Azzera e ridicolizza ogni esperienza spirituale. È come se dicesse: non è vero nulla! Nessun Dio. Nessuna salvezza. Nessuna promessa. Nessun Messia. Nessun dono. Solo un figlio che muore urlando. Solo la morte che tutto azzera, cancella, svanisce. Brutale e definitiva come solo la morte sa essere. E Maria? … Sta. È lì, irremovibile. Impietrita nel suo dolore, ma irremovibile nella fede. Crede! Non sa il perché. Non sa che dire o pensare. Ma sta. Quando il dolore ci percuote con violenza, dolore fisico, psicologico, morale, spirituale, la fede, quasi sempre, si sbriciola, talvolta per l’insensatezza della vita. Il dolore annienta la fede perché il dolore contraddice la visione tutta cristiana di un Dio personale che ci ama e veglia su di noi, che ritiene preziosa la nostra gioia. Soprattutto il dolore innocente. E qui, sotto la croce, Maria sperimenta la più folle fra le lacerazioni interiori: il dolore dell’innocente Gesù e il suo dolore, di madre, di discepola, di destinataria di una promessa che sembra un drammatico e crudele inganno. L’intelligenza urla con tutte le forze l’assurdità della fede. Della sua fede di madre e di discepola. Ma Maria crede. Sta. Elisabetta si era stupita, molti anni prima, della fede incosciente dell’adolescente di Nazareth. Noi, oggi, ci stupiamo della fede incrollabile della madre di Dio divenuta figlia del Figlio, sua discepola e infine … nostra Madre.

Francesca V.