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MARTA E MARIA PARADIGMA
DEL DISCEPOLATO IDEALE




Le figure di Marta e Maria, due sorelle, amiche di Gesù, sono presentate da Luca (10,38-42) e Giovanni (capp. 11 e 12). Nel racconto di Luca, Marta è molto “indaffarata”, Maria invece è “assorta in ascolto del Signore”. L’insistenza su quest’atteggiamento diverso ha trasmesso l’idea che l’una è immagine della vita attiva mentre l’altra della vita contemplativa. La lettura intertestuale offre una comprensione più fedele e completa.
I due evangelisti situano la narrazione in due diversi contesti: il terzo Vangelo non menziona il nome del villaggio: «mentre erano in cammino, entrò in un villaggio» (cfr. Lc 10,38).
Una donna di nome Marta decide di ospitare Gesù. Quale la relazione tra Gesù e questa donna? È evidente che, per ospitarlo, già lo conosceva! Luca non precisa il tipo di relazione e/o conoscenza, ma il contesto sottolinea che Marta, ospitandolo, si pone in contrasto con gli abitanti del villaggio dei Samaritani, che non ricevettero Gesù (cfr. Lc 9,51-56) e con le case-città che rifiutano i missionari di Gesù (Lc 10,10-12).
Marta, dunque, è una donna determinata e ha una sorella, Maria. Mentre lei, che lo aveva accolto, si affanna nei molti servizi per onorarlo, sua sorella, seduta ai piedi del Signore, lo ascolta. Il termine Signore richiama Gesù risorto! L’evangelista allude dunque alla comunità post pasquale di cui Maria rappresenta la scelta discepolare del Signore.
Una domanda sorge evidente: se Marta non avesse deciso di ospitare il Signore, Maria avrebbe potuto godere della sua compagnia?
Notiamo ancora che in Luca questo racconto è posto dopo quello del buon samaritano, esempio unico di amore disinteressato (Lc 9). Questa collocazione illumina il messaggio lucano: non basta fare e anche bene, come il samaritano, è necessario l’ascolto e la relazione con il Signore che trasforma il fare in azioni secondo il suo cuore.
Il fare del samaritano, modello di ogni discepolo, cresce se pone le sue radici nella relazione discepolare del Signore. La figura di Marta che si affanna in molti servizi, che quasi dimentica Gesù, scopo del suo impegno, mette in guardia da questa insidia. L’atteggiamento di Maria che dedica la sua attenzione e il suo tempo al Signore non deve mai mancare nella vita del discepolo. La risposta del Maestro a Marta (v. 41) non condanna

il suo servizio ma le ricorda che il servire deve sgorgare dalla relazione (v. 42). Se Marta è invitata a superare l’ansia per il servizio, Maria, dopo aver ascoltato la parola del Signore, per metterla in pratica, dovrà alzarsi imparando a servire. Marta ha bisogno di Maria e questa di Marta. Insieme le due sorelle sono icona del discepolo che vive la parola ascoltata e la incarna nell’esistenza!

Marta e Maria alla prova del fuoco

Giovanni, a differenza di Luca, precisa il nome del villaggio. Si tratta di Betania, situata in prossimità di Gerusalemme, luogo del mistero pasquale. Informa delle relazioni di amicizia di Gesù con le due sorelle e aggiunge che hanno un fratello, Lazzaro (Gv 11).
Il quadro di Giovanni è molto familiare: Gesù in questa famiglia è di casa, come si evince dalla ricorrenza del verbo amare e dalla ripetizione dei termini amico e amore.
La presentazione di Giovanni (cap. 11,1-44) sembra rovesciare la prospettiva lucana. Di fatto la completa e la spiega da un altro punto di vista.
Il tratto comune è la personalità di Marta, donna attiva e concreta e quella di Maria riservata e introversa.
Gesù è al di là del Giordano, lontano da Betania. In questo frangente Lazzaro si ammala gravemente: «Era allora malato un certo Lazzaro di Betania, villaggio di Marta e Maria sua sorella». L’ammalato è un “certo”, “uno dei tanti…”! Le sorelle lo informano: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato» (Gv 11,3).
Lazzaro, per Gesù, non è uno dei tanti, ma l’amato: “colui che tu ami”! Le due sorelle non gli precisano che cosa debba fare o come comportarsi nei suoi riguardi. Lo informano perché è diritto di Gesù, in quanto amico, sapere che Lazzaro è ammalato gravemente.
Gesù per tornare a Betania deve andare in Giudea dove rischia la pelle! Se vi ritorna, lo fa perché vuole bene a Lazzaro più di se stesso. Ridargli la vita, infatti, gli costerà la sua vita (vv. 47-48).
Gesù, che considera la morte di Lazzaro come un sonno, dice ai discepoli: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato e io vado a svegliarlo!». Il possessivo “nostro” afferma che per Gesù, Lazzaro è amico suo ma anche dei discepoli. L’amicizia non è un bene geloso ma una ricchezza che Gesù condivide.
Giovanni precisa che molti Giudei da Gerusalemme erano andati a consolarle. Marta, Maria e Lazzaro erano, dunque, conosciuti e avevano “amici” diversi da Gesù. Quale consolazione possono offrire i Giudei che sono nemici di Gesù? I discepoli gli avevano ricordato: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (v. 8).

Marta lascia i Giudei e corre da Gesù

Marta e Maria, nel dolore, accolgono la consolazione dei nemici di Gesù! La morte di Lazzaro non solo compromette la loro relazione con il fratello che non c’è più, ma mette pure in crisi la loro relazione con Gesù che era lontano.
Quando arriva, Lazzaro è morto da quattro giorni! Marta, venuta a sapere dell’arrivo di Gesù, lascia, subito, senza dare ragioni a nessuno, la compagnia dei Giudei e gli va incontro (Gv 11,20). Maria rimane, ancora, in casa con i Giudei! Marta giunta da Gesù gli grida il suo dolore e il suo disappunto, ma non perde la sua fiducia: «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,21.32). Continua, infatti, a dirgli: «Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».
Gesù, vero amico, aiuta Marta a decentrarsi. Dicendole: «Io sono la risurrezione e la vita. Tuo fratello risorgerà… Credi tu questo?» (vv. 25-26) la costringe a fidarsi e a liberarsi dalla sua angoscia.
Marta, la donna del troppo fare, esce dal suo sconforto e proclama la più bella professione di fede in bocca a una donna, nel Vangelo di Giovanni: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
La tradizione giovannea ha condensato in questa formula una serie di titoli che esprimono la fede della comunità in Gesù che è il Signore, il Cristo, il Figlio di Dio, Colui che deve venire. Questa confessione di fede corrisponde a quella di Pietro nei Sinottici (cfr. Mt 16,16).
Grande la fede di Marta: ha creduto in Gesù, senza bisogno di miracoli (“segni” in questo Vangelo!) manifestandosi vera teologa!
Rinnovata nella fiducia, diviene missionaria: va, subito, a chiamare di nascosto Maria, che era rimasta con i Giudei. Marta capisce il desiderio di Gesù di vedere Maria libera dai falsi amici. Marta per Maria, oltre che sorella, è l’amica che, liberata da Gesù, libera la sorella dalla tomba esistenziale dove si era posta. «Il maestro è qui e ti chiama!»: vuole proprio te, ti cerca, tu gli interessi!
Maria «udito questo, si alzò subito e andò da lui». Si alzò (cioè risuscitò!), senza indugio e andò da Gesù, in un nuovo cammino discepolare. Maria, incontrato Gesù, s’inginocchia e gli rivolge la stesse parole della sorella: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,32).
Maria ha avuto bisogno di Marta per tornare dal Signore! Le parole di Maria sembrano di sconforto ma i suoi gesti adoranti comunicano rispetto e fiducia.
La sua sofferenza è grande, il suo dolore inconsolabile e le sue lacrime contagiose.
Piangono i Giudei che l’avevano seguita fino al sepolcro e piange anche Gesù, che si commosse profondamente. Giunto davanti alla tomba, scoppiò pure lui in pianto! I presenti osservano: «Guarda come lo amava, cioè quanto gli era amico [filèo]!».
In mezzo ai lamenti funebri, Gesù grida: «Lazzaro, vieni fuori!» (Gv 11,43). E Lazzaro torna in vita. Gesù, dopo aver restituito la vita spirituale alle due sorelle che, lasciando la consolazione dei Giudei, tornano nella sua sequela, restituisce la vita fisica a Lazzaro.
Potremmo approfondire il motivo del pianto di Gesù che, forse, non è causato soltanto dalla morte di Lazzaro. Sapeva infatti che l’avrebbe fatto tornare in vita! Gesù, allora, non avrà pure pianto perché le due sorelle, accogliendo la consolazione dei Giudei, in una certa misura, anticiparono il tradimento degli amici che sarebbe avvenuto entro poco tempo?
Scoprire che Luca e Giovanni, in queste due sorelle tanto diverse ma complementari, mostrano l’icona del discepolato, per noi donne è affascinante e ci carica di responsabilità!
Marta e Maria ci sono vicine: come noi, pur dedicandosi al Signore, sperimentano la loro fragilità, ma ci trasmettono che, amandolo in modo preferenziale, la fragilità si supera e il cammino nella sequela si fa più spedito.

PER LA NOSTRA RIFLESSIONE


1) Marta e Maria sono paradigma del discepolo fedele a Gesù che vive e opera in lui. Fai memoria di missionari che sono stati grandi mistici e di grandi mistici missionari. Evidenzia e condividi alcuni motivi che pongono il nostro Fondatore in questa categoria.

2) Rileggi i due racconti e condividi i motivi che ti confermano nella certezza che il cristiano è, per DNA, apostolo mistico. Sottolinea i pericoli reali che possono rendere l’attività una “distrazione dall’essenziale” e la preghiera un “ripiegamento in se stessi”.

3) Rifletti sulla sintesi vitale di San Paolo che Alberione, donandoci come modello, così definisce: «Egli nella storia è il grande mistico e nello stesso tempo è il grande apostolo» (Pr A 120). E aggiunge: «Sempre in preghiera, sempre in azione». Approfondisci questa definizione alla luce di Gal 2,19-20; 1Cor 9, 19-21; 2Cor 5,14. Che cosa ti suggerisce questo confronto?

Suor Filippa Castronovo, fsp