Non lo fanno. Obbediscono.
Maria e Giuseppe non si nascondono dietro l’oggettiva straordinarietà della loro esperienza. Si mettono in fila come tutti.
L’obbedienza, il cui termine indica un ascolto in piedi, da adulto, non da servo, può diventare lo strumento per manifestare il proprio amore. E non sempre l’amore ha il volto spettacolare della creatività, della passione, della fantasia, dell’entusiasmo. Molto più spesso ha il volto tirato della quotidianità, dello sforzo, del sacrificio. Ma è sempre amore.
L’esempio della mamma è sempre calzante. Non sempre una mamma che prepara da mangiare in casa lo fa volentieri, eppure quel cibo sfama lo stesso. Preparare per la millesima volta la cena per i propri familiari significa dir loro tra le righe: voglio che viviate perché vi amo!
Obbedire alla realtà, incarnare faticosamente l’amore, spesso, è il modo più credibile per esprimere le proprie scelte.
Maria ci insegna a vivere i gesti della quotidianità nell’obbedienza, come manifestazione di una scelta più grande, di un amore più profondo, di una donazione totale. Ricordiamocelo quando, con semplicità, ripetiamo i gesti che esprimono la fede.
Nel tempio Maria e Giuseppe sono riconosciuti e accolti da Simeone, un uomo di Dio, anziano, che frequenta da decenni il luogo di preghiera. Mosso dallo Spirito, dice Luca, Simeone vede in quel bambino la luce delle nazioni, il Messia lungamente atteso.
È un’altra conferma, per la coppia di Nazareth. Un’ulteriore meraviglia. Accade nuovamente come per i pastori: Simeone li aiuta a leggere il progetto di Dio.
Gli altri diventano, talvolta inconsapevolmente, tramite di senso, chiave d’interpretazione, trasparenza di Dio.
Per la prima volta, però, un’ombra attraversa lo sguardo del vecchio saggio. E di Maria.
«Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”».
Simeone si rivolge a Maria.
Vedere il proprio figlio diventare segno di contraddizione sarà, per lei, come una spada che trapassa l’anima.
Ogni madre sa quanto è difficile tagliare il cordone ombelicale, separarsi dal proprio figlio, renderlo veramente autonomo. Ogni genitore sa quanto è difficile ammettere di non poter evitare ai propri figli dolori e delusioni e di come questi sempre, invece, sono essenziali alla sua crescita.
Maria si deve preparare: quel figlio non è per sé ma per il mondo. Va donato, subito. A Dio, con la circoncisione, e questo, tutto sommato è semplice. Al mondo, che lo odierà e lo avverserà. E questo è molto più faticoso.
Maria sa che soffrirà. Soffrirà perché ama. E la sofferenza non consisterà solo in eventi puntuali, ma nell’aver fatto della propria vita un dono, non possedendo neppure suo figlio, dono che va donato.
Francesca V.
Bibliografia:
P. Curtaz, Maria con i piedi per terra, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2015.
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