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EVA: LA MADRE DEI VIVENTI

 

Per capire la figura di Eva, è necessario ricordare che i primi undici capitoli della Genesi, sono stati scritti in epoca posteriore per essere un’“originale” introduzione alla Sacra Scrittura. Si tratta di “eziologie”, cioè, racconti che spiegano usando anche il linguaggio mitico delle culture orientali antiche: l’origine della vita, del peccato, della morte. I primi tre narrano, con due racconti diversi, la creazione dell’uomo e della donna, la situazione armoniosa (o Eden) dove Dio li aveva posti e il loro peccato. Il primo racconto (cfr. Gen 1,2-28; cfr. Gen 5,1-2) ha uno stile liturgico solenne, tipico del gruppo sacerdotale (P) che lo ha redatto. Dio, dopo aver creato ogni cosa buona, ne crea una molto buona: la persona umana, nella diversità complementare di maschio e femmina: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza… E Dio creò l’uomo a Sua immagine; lo creò a immagine di Dio; maschio e femmina li creò... » Gen 5,1-2). Il verbo “creare” al singolare: “lo creò” indica uomo/umanità; al plurale: “li creò” indica la distinzione “maschio/femmina”. I due nella loro diversità sono immagine e somiglianza di Dio.
Il secondo racconto (Gen 2,4-25), scritto in un altro ambiente culturale (detta tradizione J) descrive la creazione come frutto di sette azioni di Dio, che plasmò, soffiò, piantò, collocò, fece germogliare, prese, pose. Dio crea l’uomo (Adamo, il terrestre) dalla polvere della terra, (‘adamah) e lo pone nel giardino. Mentre nel primo racconto tutto è buono e gli esseri viventi sono benedetti (Gen 1,22.28), nel secondo Dio, dopo aver creato il “giardino” e avervi posto l’essere umano, nota che c’è un vuoto da colmare: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile » (Gen 2,19-20). Dio, allora, come sapiente artigiano, “plasmò” con le sue mani gli animali e li condusse all’uomo «ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse ». Gli animali cui Adamo impone il nome non sono aiuto corrispondente. Ecco un’altra serie di verbi che culminano nella creazione della donna (v. 21-22). Dinanzi alla donna l’uomo, finalmente, parla, anzi, pronuncia un canto: «Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,23).


Il termine “donna” in ebraico esprime al femminile (ishá) la parola “uomo” (ish). Come se noi nelle nostre lingue chiamassimo la donna “uoma”! Solo la donna è “alleato omologo”, partner efficace. La donna “aiuto” gli sta di fronte, è dello stesso valore e natura. L’immagine della costola esprime l’idea che la donna è aiuto appropriato e non subordinato. La costola non è qualcosa di esterno all’uomo ma sua componente essenziale, della sua stessa natura. L’uomo sa di essere uomo perché l’altra creatura è donna, senza di lei è identità confusa.

Il serpente

L’armonia dell’Eden è minacciata dal serpente (cfr. https://www.paoline.it/blog/bibbia/ 455-il-serpente-simboli-biblici.html di Filippa Castronovo), simbolo di forza astuta e maligna e di bramosia, che nel volere anche ciò che non gli appartiene, uccide la vita, seduce la prima donna e provoca il primo peccato. Nella Bibbia la figura del serpente simbolo di perversità, immortalità, fecondità, diventerà forza perversa, personificata, ostile a Dio e sarà chiamato “Satana”, cioè avversario, e “diavolo”, divisore: «per invidia del Diavolo la morte è entrata nel mondo» (Sap 2,24) e l’Apocalisse lo definisce «il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana» (cfr. Ap 12,9; 20,2).
Il serpente che rappresenta il male permette all’autore sacro di parlare del male senza farlo parlare. Con il male non si discute! Dio, infatti, interroga la coppia umana non il serpente, che è l’unico condannato. Condannandolo, Dio condanna il male e la forza diabolica che esso rappresenta. Il più astuto di ogni bestia si ritrova di colpo a essere il più maledetto, destinato a mangiare polvere, simbolo di morte (cfr. Gen 3,1.14). Il male che, presente fin dall’inizio, rappresenta una continua minaccia per l’umanità, in forza della misericordia di Dio non può prevalere. Dio apre ai progenitori orizzonti di speranza: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15).

La donna del protovangelo

La donna qui evocata riguarda, senza dubbio, la primogenitrice ma insieme allude a una donna del futuro che sorgerà nella storia, teatro della lotta tra l’astuzia del male e la sua progenie: “la sua stirpe” e “la tua stirpe”. La donna, in questa lotta, schiaccerà la testa al serpente e il serpente le afferrerà il calcagno, gli assalti sono reciproci e l’ostilità vicendevole. La vittoria si delinea sicura perché la donna del futuro schiaccerà la parte più vulnerabile del serpente, la sua testa. Chi schiaccerà la testa, la donna o la sua stirpe? Questo versetto è stato variamente tradotto e interpretato. La traduzione greca (LXX) della Bibbia ebraica contiene il maschile: “egli ti schiaccerà”, il seme della donna, il suo discendente, la sua stirpe. La prospettiva è chiaramente messianica. La traduzione latina (Volgata), invece, traduce ipsa: “lei ti schiaccerà” il cui significato è mariologico. L’interpretazione messianica non elimina la donna perché la sua ostilità è un tutt’uno con quella della sua progenie. È chiara in quest’ottica la storia di salvezza che inizia con Abramo, continua nel popolo che Dio sceglie, giunge a Davide e, tramite le profezie messianiche, include il ruolo della madre del Messia (cfr. Isaia 7,14 e Michea 5,2-3), fino a Gesù, che nasce da Maria. Il NT interpreta Gen 3,15 in chiave messianica (cfr. Rm 16,20; Eb 2,14): identifica così la stirpe con Gesù e la donna con Maria (cfr. Gv 2,4; 19,26). In particolare Ap 12 sembra un commento midrashico a Gen 3,15. Nei due testi vi è il serpente, la donna e suo figlio e la donna è la madre del Messia (cfr. Ap 12,5).

La madre dei viventi

Prima del peccato l’essere femminile è “donna”. Dopo il peccato Adamo la chiama Eva (Gen 3,20), nome che deriva dal verbo ebraico “vivere”. Il nome “Eva/vita” indica la vocazione specifica della donna alla maternità. Con Eva/madre appare, per la prima volta, il termine “dolore” connesso proprio alla maternità (Gen 3,16). La donna/madre vive in sé l’esperienza del dolore connesso al dono della vita e la gioia della vita di cui è al servizio. Il nome Eva ritorna quando la donna partorisce Caino e poi Abele (cfr. Gen 4,1). Nei primi secoli della Chiesa, Gen 3,15 è Protovangelo: prima profezia messianica (cfr. Giustino 160 d.C. e Ireneo 180 d.C.). «Come il genere umano è stato consegnato alla morte mediante una vergine disobbediente, così è salvato mediante una vergine obbediente» (Adv. Haer., l.5, c.19). Maria, nuova Eva, stabile e ferma sotto la croce del Figlio, riceve da Lui morente i figli che, con la sua morte e risurrezione, nascono nella nuova creazione di Dio (cfr. Gv 19,25-27). Maria, madre di colui, che per mezzo della croce, schiaccia il capo del serpente, è la “nuova Eva”, la “nuova madre di tutti i viventi” che ha mutato il nome di Eva. Lo cantiamo nell’inno Ave Maris Stella: «L’ave del messo celeste reca l’annunzio di Dio, muta la sorte di Eva, reca al mondo la pace». Capovolgimento, che gli autori spirituali, indicano anche nelle lettere che compongono la parola Ave che inverte le vocali della parola Eva! «In Maria, dunque, Dio stesso pose un’inimicizia contro il demonio; a Lei tentò questi di avvicinarsi, ma non giunse al cuore; ne ebbe anzi il capo schiacciato… Il trionfo sul serpente non sarebbe stato completo, se esso l’avesse tenuta schiava anche un solo momento. Maria è detta dall’Angelo “piena di grazia”; non sarebbe tale se per un istante solo di sua vita fosse stata priva della grazia e soggetta al peccato. Aggiunge l’Arcangelo Gabriele: “Dominus tecum”. Il Signore è con Maria per la grazia. “Invenisti enim gratiam apud Deum: Hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30). Maria è la donna predetta come riparatrice del peccato di Eva, in nessun istante soggetta al peccato» (Alberione, Maria nostra speranza, in Il mese di Maggio, pp. 20-21, I, 1938).

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

1) La promessa di Dio riguarda la donna del futuro capace di schiacciare la testa al serpente, che minaccia la sua stirpe. Due donne bibliche, Giaele per Sìsara e Giuditta per Oloferne, hanno colpito il male alla testa. Maria lo ha realizzato con il suo “sì” obbediente e fedele fino alla croce di Gesù, dove è riconosciuta madre dei credenti. Come, con il mio “sì” quotidiano, posso schiacciare la testa al male che insidia, oggi, la mia vita e la Chiesa?

2) Eva, nome proprio della prima donna, contiene la missione di portare speranza e vita dove sembra trionfare la morte. In che modo, posso vivere questa vocazione fondamentale alla maternità, imitando Maria, che da madre dell’unico figlio Gesù, proprio sotto la croce, diviene madre della Chiesa, madre universale?

Suor Filippa Castronovo, fsp