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IL LIBRO DI RUT
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La trama

Il libro di Rut racconta la storia della famiglia di Elimelech che abita a Betlemme e, costretta dalla fame, lascia il proprio paese e va a cercare pane e futuro in terra straniera. In terra straniera riceve calorosa accoglienza.
Sembra che per questa famiglia si apra un futuro lusinghiero. I due figli – i cui nomi indicano il loro destino (Maclon, essere malato e Chilion, essere alla fine) – sposano due donne moabite, Rut (l’amica) e Orpa (colei che volge il dorso).
La terra straniera non concede quello che sembrava promettere: Elimelech (nome che significa “il mio Dio è re”) muore e dopo di lui i due figli senza lasciare discendenza. Rimangono le tre donne vedove: la suocera Noemi (dolcezza) e le due nuore.
Sorge la domanda: dov’è Dio in questa storia? Dio sembra essere assente, invece è molto presente.
Il suo nome è all’inizio (1,6) e alla fine del libro (4,13) segno che la storia di si svolge nella protezione di Dio. Noemi venuta a sapere che «il Signore aveva visitato il popolo dandogli pane» (Rut 1,6) decide di tornare a Betlemme (casa del pane). Alla fine della storia, Rut concepisce il figlio e le amiche esclamano: «Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancare uno che esercitasse il diritto di riscatto» (Rut 4,13-14). Si realizzano le due attese che caratterizzano i desideri di queste persone: pane e figli.

La storia è un capolavoro di narrativa biblica, che incarna i grandi temi biblici quali il pellegrinaggio, l’esodo, l’alleanza, la solidarietà nella quotidianità.

Data di composizione e autore

Il canone cristiano pone il libro di Rut tra quello dei Giudici e il primo libro di Samuele. Si evince dall’inizio del libro: «Al tempo dei giudici, ci fu nel paese una carestia» (Rut 1,1) e dalla fine: «Obed generò Iesse e Iesse generò Davide» (4,22). Il libro di Rut preparerebbe i libri dei Re e la monarchia. In tal modo, Rut a Davide, il re voluto da Dio, offre una linea genealogica.
Nel canone ebraico, il libro di Rut fa parte, come quello di Ester, dei cinque rotoli (meghillot) che si leggono in Sinagoga per la festa delle settimane, o “Shauvot”, che coincide con la mietitura dell’orzo e del grano. Durante questa festa si celebra l’alleanza sinaitica.
Non è facile identificare l’autore del libro, ma vi sono sufficienti indizi per datarlo. La datazione al tempo dei Re giustifica le simpatie di Davide per i moabiti presso i quali trova rifugio o addirittura di essere loro discendente (1Sam 22,3-4). Il messaggio è chiaro: Rut, antenata di Davide, mostra che non tutti i moabiti sono cattivi e da temere e non tutte le donne moabite trascinano gli uomini nelle pratiche idolatriche, come diversi testi biblici asseriscono (Gen 19,30-38; Num 25,1-2; Dt 23,4). Ecco un esempio di come la Bibbia interpreta se stessa!
L’opinione più accreditata è il post-esilio. Il popolo ritornato in patria da Babilonia, interpreta alcuni passi della Bibbia in modo discriminante tanto da proibire i matrimoni misti e rimandare a casa le mogli ritenute “illegittime” perché straniere! (cfr. Ne 13,1-3; cfr. Esd 9,10; Ne 13, 20-30). Il libro di Rut con la sua trama “idilliaca” sovverte questa visione. Andando controcorrente legittima l’inclusione dello straniero e apre all’universalità. Il vangelo di Matteo tra le donne straniere presenti nella genealogia di Gesù pone appunto Rut, illustre antenata di Davide e di Gesù che dalla sua stirpe discende.

Il ritorno da Moab a Betlemme

Il verbo “ritornare”, che indica la decisione di un nuovo cammino, caratterizza il primo capitolo e dà un significato esistenziale alla trama.
È vero, il testo descrive un viaggio geografico da Moab a Betlemme da dove erano usciti ma, sostanzialmente, indica un viaggio esistenziale interiore dall’amarezza alla gioia, dalla situazione di morte alla vita, dalle divinità straniere alla fede nel Dio d’Israele, dalla esclusione alla inclusione.
Noemi rimasta vedova, avendo sentito dire a Moab che il Signore aveva visitato il suo popolo dandogli pane (cfr. Rut 1,5) decide di partire con le due nuore per tornare a Betlemme. A un certo punto del cammino, benedice per due volte le nuore, in riconoscimento della loro fedeltà verso i suoi figli e verso di lei, e le esorta a tornare a Moab nella loro terra. Lei, rimasta povera e senza altri figli, si sente morta. Orpa e Rut non hanno alcun dovere di seguirla nella via della morte. Può solo benedirle con l’augurio cordiale di un futuro con tutto il benessere possibile!
Orpa dopo averla baciata torna indietro. Rut, invece, insiste nel volerla seguire e, quasi consegnando la vita nelle mani della suocera, decide di condividerne il futuro incerto.
Il viaggio di Rut è assurdo in quell’antica cultura che non ammetteva il cambio di popolo e divinità. La sua decisione è “folle” perché mossa da amore gratuito, non richiesto. Per lei, lascia la sua terra e si fa straniera; con lei vuole rimanere anche dopo la morte (1,17).
Le parole di Rut hanno una profondità straordinaria: «Dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio» (1,16-17). I termini usati da Rut significano aderire, stringersi come un legame di alleanza. Rut accetta di essere straniera in mezzo a un popolo che non ha scelto e si converte a un Dio di cui conosce soltanto il volto oscuro che Noemi presenta: «la mano del Signore è rivolta contro di me» (Rut 1,13).
Noemi giunge a Betlemme e «tutta la città s’interessò di loro» (1,19). Concentrata sul suo dolore, alle vecchie amiche confida la sua amarezza e le prega di non chiamarla più “Noemi” (dolcezza) ma “Mara” (amarezza), perché è tornata vuota di figli, incerta del futuro.
Noemi è così amareggiata che sembra dimenticarsi di Rut la quale ha viaggiato con lei ed è con lei, straniera in mezzo al popolo. Il testo precisa: «Così Noemi tornò con Rut, la Moabita, sua nuora, venuta dalle campagne di Moab». A Betlemme, Rut è identificata la “moabita” (cfr. 1,22; 2,2.6).
Al loro arrivo si cominciava a mietere l’orzo (1,22). L’orzo nel libro di Rut è un simbolo importante (cfr. www.paoline.it/blog/bibbia/2411-l-orzo-nella-bibbia.html) e ricorre cinque volte: dopo il richiamo al tempo dell’orzo, Rut va a spigolare raccoglie circa una quarantina di chili di orzo (2,17) e rimane a spigolare «sino alla fine della mietitura dell’orzo e del frumento» (2,23).
Mentre raccoglie l’orzo, incontra Booz che la loda per l’attenzione verso Noemi e l’assicura di aver fatto bene ad andare a spigolare nel suo campo. «Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera… Il Signore ti ripaghi questa tua buona azione e sia davvero piena per te la ricompensa da parte del Signore, Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti» (2,11-12). Le “ali di Dio” sono simbolo della protezione divina che arriva loro attraverso Booz. Noemi informa Rut che Booz «proprio questa sera deve ventilare l’orzo sull’aia» (3,2) e andrà a dormire accanto a un mucchio di orzo (3,7). Rut, dietro il consiglio complice della suocera, va da Booz e mentre dorme «gli scoprì i piedi e si sdraiò» suscitando l’interesse dell’uomo verso di lei. Al mattino riceve sei misure d’orzo che gliele pone sulle spalle (3,15) per portarle alla suocera (3,17) e sfamarsi insieme per lungo tempo e in abbondanza. Nella persona di Booz agisce la mano provvidente di Dio.

Rut, la straniera che compie il cammino di Abramo e di Rebecca

Rut richiama Abramo che lascia la sua terra e la sua famiglia e si mette in cammino. Glielo dice Booz: «Hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso gente che prima non conoscevi» (Rut 2,11; cfr. Gen 12,1). Richiama Rebecca che lascia la sua casa e la sua terra per andare da Isacco in una terra che non conosceva.
Vi sono, tuttavia, delle differenze che esaltano la figura di questa straniera, futura credente, antenata del Messia.
Abramo, risponde alla chiamata divina che continua a manifestarsi nella sua vita, in modi diversi, con parole, visioni, promesse. Rut non sente alcuna voce se non quella della solidarietà verso la suocera vedova e afflitta. Ella per Noemi è «nuora che ti ama e che vale per te più di sette figli» (4,15). Abramo inizia il cammino con il nipote Lot ma gli interessi personali dividono le loro strade (Gen 13,1-7). Rut segue la suocera per “amore solidale” e rimane fedele fino alla morte (1,17). La reciproca solidarietà le rende benedizione l’una per l’altra. Rut, straniera moabita, immagine di Abramo al femminile, è segno che anche le donne straniere, ritenute pericolose, possono a buon diritto entrare nell’alleanza, perché hanno i valori della Torah scritti nel cuore.


PER LA RIFLESSIONE PERSONALE


1) Il viaggio della famiglia di Noemi da Betlemme a Moab può significare l’illusione di credere che la felicità, il meglio, il benessere sia “fuori di casa” ma fuori casa c’è la morte! Il ritorno da Moab a Betlemme non indica un “ritorno” alle origini, cioè a Dio, fonte di vita? Che tipo di riscontro trovi con il cammino di fede?
2) Cosa provoca nel tuo cuore la scelta  di Rut di porre a base della vita non il proprio interesse ma la necessità dell’altro/a?
3) Quale luce la figura di Rut può offrire alla società e alla Chiesa di oggi che sono sfidate dal fenomeno delle migrazioni?


Suor Filippa Castronovo, fsp