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UN ANNO VOCAZIONALE

 

Carissime Annunziatine,

dalla festa della Conversione di San Paolo, per un anno intero siamo invitati a vivere, pregare e testimoniare un tempo vocazionale per la Famiglia Paolina in tutto il mondo. Una occasione – così ci chiedono i Superiori Generali – «per riscoprire, con gioia, il mistero della nostra vocazione paolina e per proporre ai giovani la santità come “il volto più bello della Chiesa”». Un anno per meglio comprendere la bellezza e la grandezza della vocazione paolina, nella profonda visione del Primo Maestro, ma anche «per far risuonare l’appello a “sentirci profondamente obbligati a fare qualcosa per il Signore e gli uomini e le donne del nostro tempo” (cfr. AD 15)». Sarà un rinnovato stimolo a pregare, offrire e cercare nuove vocazioni per l’intera Famiglia Paolina, ma dovrà essere anche un impegno a ravvivare la nostra vocazione, che è prezioso dono di Dio. Non a caso lo slogan scelto è: «Ravviva il dono di Dio» (2Tm 1,6).

Vocazioni: vita della Chiesa

Il problema vocazionale è un tema che da sempre ha toccato il Primo Maestro in tutte le sue dimensioni: vocazioni sacerdotali e missionarie per tutta la Chiesa; vocazioni di anime consacrate totalmente a Dio che incessantemente preghino per le necessità di tutto il Corpo Mistico; e infine le vocazioni specifiche per la Famiglia Paolina e per ciascuna Congregazione e Istituto Paolino. La visione alberioniana della questione vocazionale è veramente universale. Il Primo Maestro non ha fondato le “Apostoline” (Istituto Regina degli Apostoli per le Vocazioni), per una intuizione tardiva, ma proprio per questa fiamma che ardeva nel suo cuore e che coinvolge nelle sue più intime fibre tutta la Famiglia Paolina. Siamo invitati ad accogliere sentire questo invito che ci viene dai Governi Generali della Famiglia Paolina come lo chiedesse il Fondatore stesso, perché è un aspetto carismatico essenziale.

Un impegno che è “apostolato”

Da rammentare che per le Annunziatine (e per gli altri Istituti Paolini di vita secolare) proprio nello Statuto, nella sezione riguardante l’Apostolato, ci viene con forza chiesto l’impegno di amare la Chiesa donando e cercando vocazioni e, ovviamentechiedendo a Dio che siano sante. «Ricordino i membri che “la vocazione, come manifestazione delle investigabili ricchezze di Cristo [cfr. Ef 3,8], deve essere tenuta in grande stima nella Chiesa” [cfr. RF 5],

e che, quindi, è vero apostolato farla conoscere, perché altri si consacrino a Dio nell’Istituto. “Dare vocazioni alla Chiesa significa amarla davvero” [CISP 677]» (Statuto art. 29). Pregare per le vocazioni vuol dire essere generosi, non pensare solo al nostro piccolo orticello, ma avere un cuore grande come quello di San Paolo che si preoccupava di tutto il mondo. Pregare “il Signore della Messe” (cfr. Mt 9,38) comprendendo che le vocazioni non sono “nostre”, ma di Dio e per la Chiesa. Dio Padre vuole che partecipiamo di questo “assillo” di Gesù, è l’anelito che le anime ottengano la salvezza compiendo in pieno la volontà di Dio. «Dare vocazioni alla Chiesa significa amarla davvero! Eccitare vocazioni garantisce le grazie per corrispondere alla nostra. Sentire con Cristo il quotidiano assillo: “la messe è molta ma gli operai sono pochi”» (Alberione, San Paolo, maggio 1956; CISP 677).

Preghiera, sofferenza e carità

Don Carmelo Panebianco, con delicata insistenza, esortava a non dimenticare l’associazione “Preghiera sofferenza e carità per tutte le vocazioni” voluta dal Primo Maestro, (19 febbraio 1963) e legata al Santuario “Regina degli Apostoli”. Il Fondatore affemava che far conoscere e amare la nostra devozione a Maria è un’attività vocazionale: «Diffondere la divozione a Maria Regina degli Apostoli e di ogni apostolato è preparare il terreno per buone vocazioni» (Alberione, San Paolo, maggio 1956; CISP 678). In quest’anno, in tutto il mondo ci saranno molte iniziative vocazionali, vi invito a riscoprire questo desiderio del Fondatore anche se viene visto come superato e fuori moda. Tre cose sono chieste. Sulla prima non mi soffermo più di tanto, le vocazioni sono frutto di preghiera, specie davanti al Santissimo: le anime sono di Dio e a Lui si devono chiedere. Sulla carità una riflessione va fatta. È carità verso la Chiesa pregare per i chiamati, e carità verso le anime aiutarle a scoprire dove il Signore le vuole: per ottenere questo bisogna offrire atti di carità necessari per raccogliere frutti. Le anime che agiscono nella carità divina, che vivono di amore per Dio e tutto offrono a Lui, riescono a strappare grazie vocazionali. Ma è soprattutto la sofferenza per le vocazioni che oggi si offre poco.
Pensiamo sia andata fuori moda e non se ne parla più. Senza offrire le nostre sofferenze otteniamo poche grazie. Gesù ci ha salvato con le sue sofferenze: come pensiamo di ottenere grazie senza partecipare con le nostre sofferenze? (cfr. Rm 8,17; 1Pt 4,13). Maria viene invitata a una nuova maternità proprio sotto la croce, lì dove si realizza la profezia dei Simeone «una spada ti trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). In Giovanni a Maria viene chiesto di accogliere tutti i figli di Dio, specie quelli chiamati ad una speciale unità e consacrazione, e le viene chiesto proprio quando Maria è trafitta dal dolore. Lei che ha partorito il Figlio di Dio senza dolore, lo vede morire sulla croce straziata dalla sofferenza. Maria ci genera a Dio nella sofferenza della sua anima unita a quella del suo Gesù in Croce. Una spina affondata nel cuore Anche san Paolo sperimenta che i cristiani vengono generati nella sofferenza. Con tenerezza chiama suoi figli coloro che ha portato a Cristo, ma rivolgendosi ai Galati deve riconoscere che questo costa tempo e travaglio: «figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!» (Gal 4,19).
Una vocazione viene generata nella sofferenza ed è offerta per amore a Dio. Don Alberione conosce bene questa sofferenza intima per i suoi figli quando non corrispondono pienamente al disegno di Dio. Questa è la più grande sofferenza offerta per le vocazioni: quella di vedere il dono di Dio trascurato, abbandonato o tradito. È una sofferenza feconda perché intrisa di amore soprannaturale per le anime. Nel 1953, in Abundantes Divitiae, il Fondatore ricorda una sua intima sofferenza, definita “la pena più forte” e addirittura che “gli rimase come una spina affondata nel cuore”: «Circa il 1922 cominciò a sentire la pena più forte. Ebbe un sogno. Vide segnato il numero 200; ma non comprese. Poi sentì dirsi: “Ama tutti, tante saranno le anime generose. Soffrirai però per deviazioni e defezioni; ma persevera; riceverai dei migliori”. Tuttavia tale pena sempre gli rimase come una spina affondata nel cuore» (Abundantes Divitiae, n. 26 dal manoscritto). Don Alberione non comprende bene quel sogno, ma le parole che si sente dire riguardano proprio le vocazioni paoline.La generazione spirituale, “finché non sia formato il Cristo nelle anime”, è qualcosa che tocca non solo il cuore, ma anche l’anima. Il Primo Maestro, comunicando questa sofferenza così intima, ci invita a sentire e offrire anche noi quel dolore, quella “spina nel cuore” per le anime. È una sofferenza soprannaturale ma feconda di frutti spirituali per le anime.

Don Gino