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GIUDITTA
AFFRONTA LA SITUAZIONE
(4)

L’eterna tentazione di “tentare” Dio

Giuditta manda le sue ancelle a chiamare Cabrì e Carmì, gli anziani della città cui presenta la sua lettura della situazione. Il discorso di Giuditta presenta diversi passaggi o gradini che illustrano la profondità della fede che si fa discernimento e decisione responsabile.
1. Dio non si mette alla prova. Ascoltatemi: «Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo ai figli degli uomini?» (8,12). La soluzione dei capi è insensata perché tenta Dio, che non può essere tentato né provato né scrutato.
I capi sono caduti nel grave peccato degli antenati (Dt 6,16) che lo volevano al proprio servizio secondo il proprio modo di vedere. Avverte che più si mette Dio alla prova meno si capisce. E ci si arrende. Ed ecco una lettura di fede sapienziale di grande profondità: «Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni?» (8,14). Una considerazione simile la farà anche san Paolo a proposito del popolo d’Israele che vede la sua sorte rinchiusa nell’insondabile misericordia di Dio, i cui giudizi sono insondabili e le sue vie inaccessibili! (cfr. Rm 11,33-35). Imporre a Dio come e quando intervenire è da stolti e significa volerlo soggiogare: «Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere dai nostri nemici». Si evince che per Giuditta, Dio nel suo amore può salvare anche attraverso la morte! L’atteggiamento corretto è la piena fiducia, senza condizioni: «Attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e ascolterà il nostro grido, se a lui piacerà» (v. 17).

2. Dio salva il popolo fedele. Giuditta assicura – come già aveva detto il pagano Achior – che Dio salverà il suo popolo se questi non si è macchiato di peccato. Se nel passato il popolo è stato infedele ora invece no: «Noi invece non riconosciamo altro Dio fuori di lui, e per questo speriamo che egli non trascurerà noi e neppure la nostra nazione ». Perché, dunque, temere se siamo fedeli?
3. La prova fa crescere. Giuditta sapientemente insegna a vivere la difficoltà come prova che fa crescere perché è «a scopo di correzione che il Signore castiga quelli che gli stanno vicino» (cfr. Pr 3,11-12; Eb 12,10-11).
4. Ringraziare Dio per la prova e nella prova. «Ringraziamo il Signore, nostro Dio, che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri» (8,25). La capacità di ringraziare Dio per la prova è importante perché il ringraziamento decentra da se stessi e dalla propria miopia e aiuta a vedere la realtà con gli occhi di Dio, che da sempre ha vinto i nemici d’Israele, senza chiedere aiuto a nessuno. I capi riconoscono le parole sagge di Giuditta e la sua fede genuina, ma sconfortati dalla sofferenza del popolo che muore di sete le domandano: «prega per noi, tu che sei donna pia, e il Signore invierà la pioggia a riempire le nostre cisterne e così non moriremo di sete» (8,31).
5. Il peso della responsabilità. Giuditta insieme alla preghiera indica la necessità di assumersi le proprie responsabilità. La preghiera deve portare all’azione! Non è sufficiente dire: “Perché Dio non interviene” occorre, pure, dirsi: “Come vuole Dio che io mi muova. E che cosa aspetto a muovermi? Che cosa mi blocca?”. Giuditta decide di intervenire con il loro consenso: «Ascoltatemi! Voglio compiere un’impresa che verrà ricordata di generazione in generazione ai figli del nostro popolo » (cfr. 8,32-34). Non svela, però, i dettagli del suo progetto.

Dalla preghiera che rende ‘belli’ all’azione

Ricevuto il consenso, Giuditta prega il Signore facendo, anzitutto, memoria della salvezza. Come Dina figlia di Simeone fu violentata, così ora i cittadini di Betulia stanno per essere violentati nella loro identità di popolo di Dio. Egli è costretto a intervenire! Professa la fede nella potenza di Dio che guida la storia (9,5-6); domanda la vittoria sui nemici (9,7-10); esalta Dio perché si è sempre mostrato a favore degli umili: «La tua forza, infatti, non sta nel numero, né sui forti si regge il tuo regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei piccoli, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati, il salvatore dei disperati» (9,11-14). Chiede di affrontare il nemico con le armi della parola: «Fa’ che la mia parola lusinghiera diventi piaga e flagello di costoro, che fanno progetti crudeli contro la tua alleanza e il tuo tempio consacrato, contro la vetta di Sion e la sede dei tuoi figli». La méta della sua azione è la gloria di Dio: «Da’ a tutto il tuo popolo e a ogni tribù la prova che sei tu il Signore, il Dio di ogni potere e di ogni forza, e non c’è altri, all’infuori di te, che possa proteggere la stirpe d’Israele » (v.14).

Il momento di agire

Giuditta, confortata dalla preghiera, accompagnata dalla sua ancella, va da Oloferne servendosi delle uniche armi su cui poteva contare: bellezza e astuzia, che è saggezza. Bellezza e saggezza sono i due aspetti della sua identità di credente forte. Che sia bella lo dice il testo quando la presenta (8,7), glielo ripetono i soldati di Oloferne (10,19) e lo stesso Oloferne (11,23). Che sia saggia lo riconoscono i capi (8,28). La bellezza unita alla saggezza la fa agire con equilibrio, prudenza, determinazione senza “perdere la testa” nei momenti difficili, come, invece, era successo ai cittadini di Betulia. La testa si può, infatti, perdere in molti modi, sembra insinuare il testo, non solo fisicamente! L’avevano perduta i capi ponendo un ultimatum a Dio e il popolo quando chiese di arrendersi al nemico. Giuditta “non perde la testa” ma la farà perdere concretamente a Oloferne, simbolo del male che mette allo sbaraglio i credenti, rendendoli insensati, cioè, senza testa. Dio si serve di colei che “non perde la testa” per ridonare saggezza al suo popolo e sciogliere il loro lamento in canti di gioia.

Un linguaggio volutamente ironico

L’incontro di Giuditta con Oloferne è descritto (e così va letto e compreso!) con molta ironia, in modo da sdrammatizzare gli aspetti di violenza che possono lasciare perplessi. Come accettare una donna che prima circuisce un uomo e poi gli taglia la testa? Il narratore, in un certo senso, narrando si “diverte” per primo, così come Giuditta si “diverte” nei confronti di Oloferne, del quale si evidenzia la “mancanza di buon senso”. Siamo dinanzi all’ironia fin da quando l’autore, mostrando nella bellezza l’arma di Giuditta, insinua che questi uomini dai grandi muscoli, dai tanti “cavalli e cavalieri” (cfr. Gdt 1,13) stanno per cadere dinanzi ad una donna bella e intelligente (10,19). L’ironia percorre tutta la narrazione. Giuditta e Oloferne si parlano: ma ognuno di loro capisce quello che vuole capire. Come a dire non c’è peggior sordo di chi non vuole capire! Oloferne, per esempio, si preoccupa che a Giuditta, alla quale aveva concesso di mangiare soltanto il cibo che aveva portato con lei, le possa venire a mancare nell’attesa della disfatta di Betulia. Giuditta gli risponde che non le mancherà finché «il Signore non ha compiuto per mano mia quello che ha stabilito» (cfr. 12,4). Vale a dire finché io non ti abbia ucciso. Oloferne intende finché tu, Oloferne, non abbia conquistato Betulia.
Sembra che parlino dello stesso argomento ma ognuno secondo la propria prospettiva! La stessa ironia si trova quando Giuditta sta parlando della liberazione che il Signore concederà, per mezzo suo, al popolo. Oloferne intende la sua personale vittoria contro il popolo, grazie alle indicazioni di Giuditta (12, 8). Oloferne confida ai suoi generali di corteggiarla dicendo: «se non la corteggiamo, si farà beffe di noi». Giuditta, di fatto, da quando è scesa nel loro campo si beffa di loro e non se ne accorgono! (12,12). L’autore sacro mostra che il male ha i piedi di argilla: grandi generali che distruggono tutto ciò che trovano al loro passaggio, di fronte ad una donna “perdono la testa”. Oloferne la perderà davvero! Così proprio lui che si mostrava un gigante invincibile era, in realtà, un poveretto. Il popolo di Dio si smarriva, dunque, dinanzi ad un nulla “vestito” di grandezza! L’incontro/ scontro tra Giuditta e Oloferne mostra che quando la verità di Dio si scontra con l’idolo, questi manifesta di essere una nullità, un ridicolo nulla, uno che non ha testa. E il popolo era caduto nel panico provocato dal nulla, mascherato di grandezza divina! Un altro testo biblico che aiuta a capire questo messaggio è l’episodio del dio Dagon che, alla presenza dell’Arca che era stata condotta nel suo tempio, cade tramortito, appunto, senza testa (1Sam 5,1-4).

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE:

1. Chi è l’Oloferne di oggi che presentandosi come “gigante invincibile” crea panico e disorientamento mortale? Chi e come può essere la Giuditta di oggi, credente forte, coraggiosa, capace di discernimento che fa verità tra Dio e l’idolo che pretende il suo posto?

2. San Paolo assicura che Dio non prova più delle nostre forze e se prova dà pure la forza per sostenerla (cfr. 1Cor 10,13) e Giacomo afferma che Dio non tenta nessuno (cfr. Gc 1,13) ma dona la sua grazia a chi deve affrontare la tentazione e la prova. Come vivi le prove che sono parte integrante della vita?

3. Leggi alla luce della fede di Giuditta e della sua intraprendenza i nn. 112. 151. 156 di Abundantes divitiae dove Alberione di fronte alle gravi necessità di salute e dell’Istituto non ha “perduto la testa”, non ha messo Dio alla prova, ma si è fidato della sua guida. Vedi qualche altra relazione?

Suor Filippa Castronovo, fsp