![]() |
GIUDITTA
AFFRONTA LA SITUAZIONE
(4)
![]() |
L’eterna tentazione di “tentare” Dio Giuditta manda le sue ancelle a chiamare Cabrì e Carmì, gli anziani della città cui presenta la sua lettura della situazione. Il discorso di Giuditta presenta diversi passaggi o gradini che illustrano la profondità della fede che si fa discernimento e decisione responsabile. |
2. Dio salva il popolo fedele. Giuditta assicura – come già aveva detto il pagano Achior – che Dio salverà il suo popolo se questi non si è macchiato di peccato. Se nel passato il popolo è stato infedele ora invece no: «Noi invece non riconosciamo altro Dio fuori di lui, e per questo speriamo che egli non trascurerà noi e neppure la nostra nazione ». Perché, dunque, temere se siamo fedeli? Dalla preghiera che rende ‘belli’ all’azione Ricevuto il consenso, Giuditta prega il Signore facendo, anzitutto, memoria della salvezza. Come Dina figlia di Simeone fu violentata, così ora i cittadini di Betulia stanno per essere violentati nella loro identità di popolo di Dio. Egli è costretto a intervenire! Professa la fede nella potenza di Dio che guida la storia (9,5-6); domanda la vittoria sui nemici (9,7-10); esalta Dio perché si è sempre mostrato a favore degli umili: «La tua forza, infatti, non sta nel numero, né sui forti si regge il tuo regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei piccoli, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati, il salvatore dei disperati» (9,11-14). Chiede di affrontare il nemico con le armi della parola: «Fa’ che la mia parola lusinghiera diventi piaga e flagello di costoro, che fanno progetti crudeli contro la tua alleanza e il tuo tempio consacrato, contro la vetta di Sion e la sede dei tuoi figli». La méta della sua azione è la gloria di Dio: «Da’ a tutto il tuo popolo e a ogni tribù la prova che sei tu il Signore, il Dio di ogni potere e di ogni forza, e non c’è altri, all’infuori di te, che possa proteggere la stirpe d’Israele » (v.14). Il momento di agire Giuditta, confortata dalla preghiera, accompagnata dalla sua ancella, va da Oloferne servendosi delle uniche armi su cui poteva contare: bellezza e astuzia, che è saggezza. Bellezza e saggezza sono i due aspetti della sua identità di credente forte. Che sia bella lo dice il testo quando la presenta (8,7), glielo ripetono i soldati di Oloferne (10,19) e lo stesso Oloferne (11,23). Che sia saggia lo riconoscono i capi (8,28). La bellezza unita alla saggezza la fa agire con equilibrio, prudenza, determinazione senza “perdere la testa” nei momenti difficili, come, invece, era successo ai cittadini di Betulia. La testa si può, infatti, perdere in molti modi, sembra insinuare il testo, non solo fisicamente! L’avevano perduta i capi ponendo un ultimatum a Dio e il popolo quando chiese di arrendersi al nemico. Giuditta “non perde la testa” ma la farà perdere concretamente a Oloferne, simbolo del male che mette allo sbaraglio i credenti, rendendoli insensati, cioè, senza testa. Dio si serve di colei che “non perde la testa” per ridonare saggezza al suo popolo e sciogliere il loro lamento in canti di gioia. Un linguaggio volutamente ironico L’incontro di Giuditta con Oloferne è descritto (e così va letto e compreso!) con molta ironia, in modo da sdrammatizzare gli aspetti di violenza che possono lasciare perplessi. Come accettare una donna che prima circuisce un uomo e poi gli taglia la testa? Il narratore, in un certo senso, narrando si “diverte” per primo, così come Giuditta si “diverte” nei confronti di Oloferne, del quale si evidenzia la “mancanza di buon senso”. Siamo dinanzi all’ironia fin da quando l’autore, mostrando nella bellezza l’arma di Giuditta, insinua che questi uomini dai grandi muscoli, dai tanti “cavalli e cavalieri” (cfr. Gdt 1,13) stanno per cadere dinanzi ad una donna bella e intelligente (10,19). L’ironia percorre tutta la narrazione. Giuditta e Oloferne si parlano: ma ognuno di loro capisce quello che vuole capire. Come a dire non c’è peggior sordo di chi non vuole capire! Oloferne, per esempio, si preoccupa che a Giuditta, alla quale aveva concesso di mangiare soltanto il cibo che aveva portato con lei, le possa venire a mancare nell’attesa della disfatta di Betulia. Giuditta gli risponde che non le mancherà finché «il Signore non ha compiuto per mano mia quello che ha stabilito» (cfr. 12,4). Vale a dire finché io non ti abbia ucciso. Oloferne intende finché tu, Oloferne, non abbia conquistato Betulia. PER LA RIFLESSIONE PERSONALE: 1. Chi è l’Oloferne di oggi che presentandosi come “gigante invincibile” crea panico e disorientamento mortale? Chi e come può essere la Giuditta di oggi, credente forte, coraggiosa, capace di discernimento che fa verità tra Dio e l’idolo che pretende il suo posto? 2. San Paolo assicura che Dio non prova più delle nostre forze e se prova dà pure la forza per sostenerla (cfr. 1Cor 10,13) e Giacomo afferma che Dio non tenta nessuno (cfr. Gc 1,13) ma dona la sua grazia a chi deve affrontare la tentazione e la prova. Come vivi le prove che sono parte integrante della vita? 3. Leggi alla luce della fede di Giuditta e della sua intraprendenza i nn. 112. 151. 156 di Abundantes divitiae dove Alberione di fronte alle gravi necessità di salute e dell’Istituto non ha “perduto la testa”, non ha messo Dio alla prova, ma si è fidato della sua guida. Vedi qualche altra relazione? Suor Filippa Castronovo, fsp |