ascolta”) [1Sam 3,10], parla, o Signore, perché io sono la tua serva, l’ancella, come Maria: “Dimmi che cosa vuoi da me”. Entrare in quella comunicazione con Gesù, parlandogli con un linguaggio tutto speciale, tutto intimo; e questo particolarmente dopo la Comunione oppure nella Visita e nella meditazione, e in quei certi momenti che il Signore riserva a sé. Alle volte è aver veduto un fatto disgustoso: come è cattivo questo mondo! Un’altra volta è una morte improvvisa di quella persona… ah!, una morte improvvisa di una persona che è vissuta poco bene: e allora è la compassione che si sente nel cuore… chissà che cosa sarà per tutta l’eternità di quell’anima! Alle volte invece è la parola che si sente nei momenti delle delusioni oppure nei momenti in cui l’anima è entrata nell’intimità con Dio. Sente il distacco: Che cosa mi vale tutto questo? Chi si è portato al di là un abito speciale? Chi si è portato di là un filo? Che cosa vale tutta questa terra? Allora la riflessione. Oh! La preghiera in primo luogo. Secondo mezzo è di pensarci, di riflettere su che cosa è la vita religiosa, che cosa è la vita in famiglia, in una famiglia.
La vita religiosa è un consecrare tutto il tempo per la santificazione e vivere come la sposa di Gesù Cristo, sì, che fa sentire più gioie, più gioie, immensamente più gioie che non un amore umano. Questa vita la quale, entrando sempre in un progresso continuo, in un’elevazione continua, porterà una gioia sempre crescente, finché la persona, entrando in comunicazione sempre più intima con Dio, ad un certo punto sente: ma che cosa c’è ancora a trattenermi che io non possa entrare in paradiso? Mi pare che i pensieri, i sentimenti, i desideri siano già tutti quelli che hanno gli angeli e i santi in paradiso. Ecco lì la preparazione alla morte: la religiosa è preparata alla morte dal Signore stesso, da Gesù stesso, in maniera che si accoglie noi la morte non come essa può essere, spaventosa, eccetera, ma come l’ingresso alla gioia, la conclusione delle fatiche, delle mortificazioni anche che si fanno… ma è una continuità, è già una pregustazione di paradiso. Quindi le beatitudini. “Beati i poveri”: e la religiosa deve praticare la povertà.
«Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che han fame e sete della santità, saranno saziati, eh sì. Beati anche quelli che soffrono » [cf Mt 5,3-11], perché, quando si soffre per Dio, per le anime, per salvar la gente… Quando poi l’anima ha compiuto, oltre che la vita religiosa come santificazione, ancora ha compiuto un apostolato, entrando in paradiso avrà anime che l’accompagneranno, lo sente, anime che ha beneficato; e al giudizio universale sarà contornata da uno stuolo di anime aiutate, da uno stuolo di anime salve, sì, per cui si è spesa, per cui ha lavorato, ecco. Allora si gode anche il frutto del bene che fanno le altre persone per cui si consacra il nostro apostolato, in quanto che la vita è utile, che vale qualche cosa allora nella vita religiosa. Perciò rifletterci, pensare… ma pensare anche se siamo generosi e cioè se siamo poi pronti all’obbedienza, pronti a vivere la vita di delicatezza, la vita di verginità e la vita di modestia, la vita che è conforme al voto della povertà.
È un’imitazione più viva la vita religiosa, di chi? Maria è la prima religiosa ed è la madre delle vocazioni religiose. Giuseppe è il primo religioso, castissimo, poverissimo, obbedientissimo. E Gesù? Maria e Giuseppe sono due gigli, sì, e in mezzo ci sta il giglio più profumato che è Gesù. Gesù, Giuseppe e Maria. E si entra nella famiglia di Nazaret con la professione; e si è come membri adottivi della famiglia di Nazaret, membri adottivi della famiglia di Nazaret. Allora “neque ex voluntate carnis, neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt” [Gv 1,13]: la vocazione non viene dalla carne… non sono i genitori che la danno, perché loro sono capaci a dare consigli in generale sul matrimonio, ma non avendo imparato la vita religiosa, non sono i consiglieri. Poi, si ha da pensare che “non ex voluntate carnis”: quindi non dai genitori; “neque ex voluntate viri”: sì, le figliole che sono più dotate da natura per la loro salute, per i loro talenti intellettuali, per la loro gentilezza… queste son più cercate dal mondo… e allora? “Neque ex voluntate viri”, non dalla volontà dell’uomo: questa decisione; “sed ex Deo”: è da Dio che viene la vocazione e si vive la vocazione, si vive la vocazione… sì. Oh! Io sono arrivato ad un’età avanzata già, ma ho trovato innumerevoli madri piene di fastidi nella mia vita, ho trovato innumerevoli suore tanto liete e contente; vi sono poi delle morti di queste suore che commuovono: “Ma stanotte lo aspettavo il Signore, lo aspettavo verso le due, le tre… ed invece no, non è ancor venuto lui!”. “Ebbene, adesso sono solamente le sette, fa’ la Comunione: intanto viene ancora sotto forma Eucaristica; e poi sta’ tranquilla che verrà a prenderti e verrà a portarti in paradiso… aspetta”.
E difatti ha aspettato ancora due o tre giorni, ed è arrivato. E non solo è arrivato al momento in cui è spirata… ma l’ho trovata che era spirata da tre o quattro minuti: le braccia larghe verso il cielo, la faccia tutta tesa verso il cielo; il volto: ancora gli occhi aperti, ancora mentre che diceva l’ultima giaculatoria. Oh, ora, ecco… rifletterci. Terzo: bisogna consigliarsi. Pregare sì, pensarci sì, ma l’ultima decisione deve essere una persona competente a consigliare. Perché se sei sicura che c’è una persona di Dio che dà la decisione dopo averti sentito bene, allora sei sicura che la voce viene da Dio. Quindi potrai subito dire: “Io ho vocazione” oppure “io non ho vocazione”. E poi è quella parola lì che tranquillizza nella vita quando abbiamo delle delusioni, abbiamo delle pene, perché mica che la vita religiosa sia senza pene, oh! Questo è sicuro! È la vita di obbedienza, di povertà, di castità, di lavoro, di apostolato. […] Secondo: la parola ultimissima è quella che vien poi data dalle superiore, le quali ammettono alla professione o non ammettono. Lì è la voce della Chiesa, e allora si può stare pienamente serene, tranquille che è la voce di Dio; ché, se anche qualche momento venisse di scoraggiamento, sant’Agostino dice: “Fac ut voceris” (Il detto latino attribuito a sant’Agostino, suona così: “Si non es vocatus, fac ut voceris”, “Se non sei chiamato, fa’ di essere chiamato”). … Avete anche sbagliato strada, adesso il Signore ti darà la grazia, purché preghi, di vivere da buona anima consecrata a Dio. Quindi, prendere consigli da chi? Primo, da persona disinteressata… e quelli meno disinteressati chi sono? È difficile che i genitori siano del tutto disinteressati, o la famiglia e la parentela… è difficile.
Invece bisogna che si sia persona che guardi solo il bene di chi chiede consiglio, guardi il suo bene non tanto naturale, temporale, ma eterno: “Adesso, è vero, hai raggiunto una laurea, hai raggiunto un diploma, avresti una posizione: è allora che si può fare una decisione libera! Non si rifugiano in un convento perché non trovano una vita! Alcune si rifugiano in un convento perché non sanno formarsi una vita e bisogna guardarsi da questo errore, perché è una vita piena la vita della persona consecrata a Dio! Piena: esercita tutte le facoltà, le mette tutte, le facoltà, al servizio di Dio. Quindi ci vuole persona disinteressata. Poi ci vuole persona illuminata, che abbia lo Spirito di Dio: quindi che sia illuminata da Dio e capisca. E ci vuole, in terzo luogo, una persona qui che capisce e cerca il vero bene della persona che sta consigliando, e poi sta prevedendo ciò che la persona troverà nella vita futura, nella vita futura… e anche lì ci può esser la scelta di Istituto ad Istituto. […] Oh, quindi l’ultima parola sia detta da un uomo di Dio e dalle superiore che ammettono alla professione. […] Lo spirito di povertà. Guardare a Gesù nel presepio: nasce in una stalla, è messo in una greppia su un po’ di paglia, coperto da Maria con infinita delicatezza con pannilini poveri poveri.
Così il nostro Maestro ha cominciato… e quando morì sulla croce sappiamo come fu spogliato degli abiti e se li sono giocati tra di loro i carnefici; e poi ebbe per carità un sepolcro, dove venne deposto per la carità. E così povertà massima alla nascita, povertà massima al sepolcro, non suo. La castità: quella di Maria ci vuole, neh! Quella di Maria, che esclude anche le simpatie e le antipatie, esclude le soddisfazioni troppo umane, perché c’è altro da godere, c’è una famiglia nuova, la famiglia delle anime. Quando si rinunzia ad una famiglia, è per prendere una famiglia spirituale più grande. Perché quando Gesù chiede una cosa, è sempre per donar di più. Se chiede tutto il tuo essere è perché vuol darsi lui a te: lui, Dio, Dio infinito, Dio uomo perfetto. Vedi come sostituisce la presenza di una persona umana? Dio, Dio… Se chiede un sacrificio è sempre per dar di più. Inoltre vi è poi l’obbedienza continuata, e certamente questa obbedienza è il centro poi della vita religiosa. Ciò che distingue la vita religiosa dalla vita secolare è la verginità, ma quel che è il centro della vita religiosa è poi l’obbedienza. E quanti meriti in più! Gesù, fatto obbediente da bambino: “subditus illis” [Lc 2,51], ed a Maria e a Giuseppe; e sottomesso anche ai carnefici quando l’hanno obbligato a stendersi sopra la croce per essere inchiodato. Subito si è steso sulla croce e ha allungato le braccia e i piedi per venire inchiodato: “Factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis” (Fil 2,8). […] Sia lodato Gesù Cristo.
Beato Giacomo alberione |