nella nostra stessa natura di esseri umani, spiega il professor Massimo Di Felice, docente di comunicazione nella “Escola de Comunicações e Artes” dell’Università di São Paulo (Brasile). Lo sviluppo delle nuove tecnologie, come di tutto il mondo digitale, rappresenta una grande risorsa. Ci sollecita come Chiesa, soprattutto come evangelizzatori per il ministero di cui siamo investiti, di comunicare e favorire l’ “incarnazione” del Vangelo nella vita delle persone e in ogni realtà. È indispensabile cogliere i nuovi dinamismi psicologici e socioculturali determinati dalle nuove tecnologie informatiche nella nostra società postmoderna per capire come modulare oggi la comunicazione del messaggio evangelico. Lo sottolinea nel suo intervento il vaticanista Raffaele Luise: «La tecnologia va utilizzata, ma non prenderà il sopravvento sull’umano... c’è bisogno di costruire un umano più ricco “interfacciandosi” con il presente». L’algoritmo non ci salverà. Ci salverà la comunicazione, la formazione, per poter favorire il linguaggio digitale. La costruzione dei “Big Data”, il cuore del mercato globale, è la sfida più grande per la maggior parte delle aziende oggi.
Tutte le aziende e tutte le Pubbliche Amministrazioni stanno diventando grandi “fabbriche di dati”. Noi stessi contribuiamo costantemente, consapevolmente, ma più spesso inconsapevolmente, alla “produzione di dati”. Interessante è stato anche l’intervento del professor Stéphane Hugon, docente di “Sociologia e Design relazionale” alla Sorbona di Parigi, che ha spiegato come – a partire dalla tendenza delle persone a formare comunità online-offline in base ai loro molteplici interessi – le multinazionali, anche le grandi firme della moda, tendono ormai a trasformare il prodotto da “cosa” da vendere in “oggetto relazionale”, capace di creare intorno a loro communità di interesse, vissute come veri e propri spazi di condivisione. Nell’odierna sovrabbondanza di informazioni circolanti, la Chiesa può esser vista come comunità comunicativa che, in forza del Vangelo di Gesù Cristo, comunicazione personale e definitiva di Dio all’umanità, ascolta l’uomo contemporaneo, sa avvicinarsi a lui, andandogli incontro in quelle situazioni di profonda solitudine. La tecnologia consente oggi di stabilire contatti in qualsiasi parte del globo, superando barriere linguistiche e culturali.
È un’esperienza che coinvolge anche il mondo emotivo dei comunicanti e, dove è possibile, consente di allacciare legami capaci di trasformare le connessioni in relazioni. La multimedialità può gettare ponti e unire, ma è altrettanto capace di svuotare le relazioni. Oggi l’uomo percepisce il tempo-spazio come continuamente presente. Nel concreto la multimedialità è in grado di metterci in comunicazione con tanti soggetti e volti che altrimenti non avremmo mai incontrato, dandocene una rappresentazione che ha un’efficacia unica, che costituisce la verità della persona, nella sua ricchezza, nella sua interezza. Il ritorno ai volti (e non semplicemente alle facce) implica l’urgenza di confrontarsi direttamente con l’altro. Quello che emerge nella relazione del mondo virtuale è un atteggiamento che si serve di connessioni come piattaforma, fornisce servizi, si basa sulla fiducia tra gli utenti, esiste solo se chiunque può intervenire con i suoi commenti e se può rielaborare tutto quello che trova in rete.
La rete diventa un luogo in cui stabilire relazioni con le persone, in cui circolano emozioni e non solo informazioni. Internet diventa il luogo in cui non solo si può trovare precisamente quello che serve, ma si può anche cogliere la possibilità di confrontare e condividere quello che viene offerto con le osservazioni e i commenti, esprimendo il proprio punto di vista e le proprie convinzioni in uno spazio mediatico che li ammette. In ogni, caso, ci si sente parte di una comunità. Tenendo conto di questo, le prospettive future sono offerte dalle nuove tecnologie con la sapienza del passato che accetta, in questa prospettiva, la sfida delle forme inedite di universalità che esse hanno messo in opera, che aggancia tuttavia questa dimensione universale all’autorevolezza e alla credibilità personale del testimone. Perché solo un testimone credibile, che si mette in gioco in prima persona, sa farsi ascoltare: attestando, anche nell’odierno mondo digitale, com’è avvenuto nel passato in altri contesti comunicativi, quella “vita sempre nuova” che viene “generata dall’ascolto del Vangelo di Gesù”. Per me è stata una bella esperienza vissuta con i confratelli e le consorelle paoline, ma soprattutto il mio pensiero è stato sempre rivolto al nostro caro padre Fondatore il beato don Giacomo Giuseppe Alberione con il cuore di Paolo Apostolo, ancora oggi vive nella nostra mirabile Famiglia, nel cuore dei suoi molti figli sparsi nel mondo. Con tono implorante ci ripete ancora: «Fate a tutti la carità della Verità».
Giusy F. |