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“ABBIATE IL DOLORE DEI PECCATI ”

 

Carissime Annunziatine,

il Primo Maestro ha voluto che nelle nostre chiese o cappelle fossero visibili alcune scritte. Esse risalgono a un “sogno” nel 1923, che rassicurò don Alberione dai molti dubbi. Consultò il can. F. Chiesa che con intelligenza e discernimento gli suggerì: «Sta sereno; sogno o altro, ciò che è detto è santo; fanne come un programma pratico di vita e di luce per Te e per tutti i membri» (AD 154). Quelle parole sono anche oggi per tutti i membri della Famiglia Paolina “un programma di vita e di luce”. In questo tempo di Quaresima vorrei invitare a meditare e approfondire il contenuto dell’ultima frase “Abbiate il dolore dei peccati / Cor poenitens tenete” che nel testo di “Abundantes divitiæ”, così spiegava «c) “Il dolore dei peccati” significa un abituale riconoscimento dei nostri peccati, dei difetti, insufficienze. Distinguere ciò che è di Dio da quello che è nostro: a Dio l’onore, a noi il disprezzo » (AD 158). Tralasciamo il problema della traduzione in latino e consideriamo come equivalente nel significato “dolore dei peccati” con un “cuore penitente”. Osserviamo invece che il Fondatore nella sua predicazione trattò spesso e con insistenza questo argomento, specialmente in tre occasioni: la Quaresima, il sacramento della Penitenza, l’esame di coscienza.

Il dolore dei peccati e la Confessione

Un momento di grazia sacramentale in cui il dolore dei peccati è parte ineludibile è proprio il sacramento della Confessione. Senza sentire il dolore dei peccati commessi, non ci sarà mai da parte nostra una vera decisione a convertirsi. Questo dolore che indica la sofferenza del nostro cuore per aver offeso Dio è un buon termometro per capire quanto siamo sensibili all’amore di Dio. Quando si rimane insensibili all’amore di Dio non si decide mai a cambiare vita, e anche ogni nostro proposito rimarrà sempre molto superficiale. Parlando alle Figlie di San Paolo nel 1935 don Alberione, usando un linguaggio molto semplice ma assai efficace, dice in proposito: «Il dolore dei peccati è indispensabile per ottenere il perdono...

Come senz’acqua non si può fare il bucato così senza dolore non si toglie la radice del male» (ER 1, p. 162). Talvolta noi vediamo le cose e le sappiamo giudicare, ma nel nostro cuore rimaniamo indifferenti. Proprio per questo abbiamo bisogno di “sentire” il dolore, solo così si manifesterà in noi un pentimento tale da farci fare un vero proposito di cambiare atteggiamenti e vita. Il Primo Maestro ci ricorda che non basta dispiacerci, poiché «il dolore dei peccati è innanzitutto un dono di Dio e si definisce: quella profonda tristezza, quel dispiacere e odio dei peccati commessi che ci fa proporre di non più peccare. Santa e dolce malinconia quella che nasce dai motivi più santi e cioè dall’avere offeso il Signore!» (ER 1, p. 159). Troppe volte i nostri esami di coscienza sono superficiali e le confessioni molto vaghe. Riconosciamo di aver commesso peccati e troviamo anche le giustificazioni per cui non riusciamo a cambiare: è troppo difficile, sono situazioni che non dipendono da noi. In verità non sentiamo il dolore di questi peccati. Non si tratta di senso di colpa o di inadeguatezza, che rimane a livello psicologico. Il senso di peccato lo si comprende solo nella dimensione spirituale, che è quella di mettere davanti a Dio la nostra vita e le nostre azioni, di confrontare la vita eterna con la nostra vita quotidiana. Allora tante cose cambiano radicalmente di importanza e di valore. Il Fondatore invitava a vedere con occhi soprannaturali quando si fa l’esame di coscienza. «Il dolore è un richiamo alla realtà, ci fa toccare con mano la pochezza, la fragilità, il nulla delle cose di quaggiù di fronte a quelle celesti». (HM, 6, s2, 225).

Dal dolore al proposito

Se è un dono il dolerci delle colpe commesse, è necessario camminare anche se zoppicanti verso la meta. Per poter progredire nella vita spirituale bisogna che all’esame di coscienza segua un proposito, che sia concreto e realizzabile. Così si esprime don Alberione: «Il dolore è poi collegato col proposito. Se abbiamo fatto l’esame di coscienza e abbiamo visto che siamo caduti in qualche errore, in qualche sbaglio, insieme col pentimento è unito il proposito: non lo farò più. Ecco. La parte più essenziale dell’esame di coscienza è questo, sì: che l’esame di coscienza ottiene il frutto maggiore secondo il dolore e secondo il proposito che si fa insieme. Farlo quindi bene» (1967 - PA, 364). Il Primo Maestro, non solo nelle attività apostoliche ma anche nella guida spirituale delle anime, è sempre stato di una concretezza esemplare: insegnava a non perdersi in pensieri e propositi vaghi e inconcludenti. La parola chiave è il “proposito”, cioè trasformare il nostro sentimento di chiedere perdono, il nostro desiderio di riprendere il cammino spirituale in qualcosa di concreto.

Un dolore confidente

Al dolore dei peccati, che deve far giungere ad un concreto proposito è necessario aggiungere ancora un elemento: la confidenza. Per questo san Giovanni afferma: «Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore» (1Gv 4,18). Se ci fermiamo solo ai peccati e alle nostre fragilità rimaniamo ancora attaccati a noi stessi, mentre bisogna fissare la nostra anima in Dio e nel suo amore. Ci sono di guida sicura le parole del Fondatore: «Il dolore dev’essere umile, soprannaturale, fiducioso. Così fatto: guardare il Crocifisso, entrare in quel costato squarciato, baciare quelle piaghe, leggere in esse la infinita misericordia di Gesù verso i peccatori. Un dolore come quello della Maddalena. Si riconosce cattiva, ma conosce pure la bontà di Gesù. Non si vergogna di mostrarsi in pubblico e gettarsi piangente ai piedi di Gesù: dolore e amore. Umiliazione e confidenza; e la confidenza sopra l’umiliazione: dolore confidente » (HM, 6, s2, 65).

Don Gino