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QUANDO LA FEDE
STA PER VACILLARE

(3)

 

Una “bestemmia” che, di fatto, è profezia

Il consiglio di Achior a Oloferne di fare attenzione prima di attaccare i cittadini di Betulia, perché il loro Dio li difende, è rifiutato: “Chi sei tu, o Achiòr, e voi, mercenari di Èfraim, per profetare in mezzo a noi come hai fatto oggi e suggerire di non combattere il popolo d’Israele, perché il loro Dio li proteggerà dall’alto? E chi è dio se non Nabucodonosor? Questi manderà il suo esercito e li sterminerà dalla faccia della terra, né il loro Dio potrà liberarli” (6,2). Le parole di Oloferne sono una grossa bestemmia perché pongono Nabucodonosor al posto di Dio e gli attribuiscono i suoi poteri: “Questo dice Nabucodonosor, il signore di tutta la terra: così ha parlato e le sue parole non potranno essere smentite” (6,4). Queste parole descrivono la fede biblica nell’unico Dio che opera ciò che dice (Is 45,18; Ez 17,24; Ez 37,14). A sua insaputa, mentre esalta Nabucodonosor, Oloferne pronuncia una profezia su Dio, l’unico che veramente mantiene la

parola e, in realtà, salverà il suo popolo, al momento giusto e con i mezzi adatti. Achior abbandonato alle pendici della collina è introdotto a Betulia. Gli anziani e i cittadini lo interrogano nei riguardi del nemico ed egli li informa sul consiglio dato a Oloferne, sul disprezzo ricevuto, sulla potenza del suo esercito, giunto già alle porte della piccola città (6,10-13).

La salvezza non viene dai monti

Il popolo, di fronte al pericolo imminente, invoca Dio con la preghiera fiduciosa, ma non basta. Oloferne arriva e si accampa nella valle di fronte alla cittadina, per assediarla, con un esercito immenso e carri imponenti. Il paradosso è evidente: un esercito immenso contro una città piccola e con poche difese! È la logica del male che ama spaventare, mostrandosi mostruoso e creando confusione. Gli israeliti, impauriti, organizzano una resistenza a loro misura. Si situano nelle montagne, creando fortificazioni. Le alture possono dare salvezza? Il salmo 121 afferma che la salvezza non viene dai monti ma soltanto da Dio che ha fatto cielo, mare, terra e monti. È inutile, dunque, alzare gli occhi verso i monti (Sal 121,1-2). I monti sembrano dare salvezza ma possono suscitare situazioni di pericolo imprevisto!

La prova determinate: “manca l’acqua”
(cfr. 7,11-12; 20)

La scelta di rifugiarsi sulla collina non diede salvezza anzi suggerì a Oloferne una manovra più sottile e crudele. Consigliato dai suoi ministri, anziché usare le armi, decise di “occupare la sorgente dell’acqua che sgorga alla radice del monte” (cfr.7,12b) mettendo la gente nella situazione di morire di sete. In tal modo otterrà – gli dicono – la resa dei cittadini senza impiego di forze: “La sete li farà morire e consegneranno la loro città. Noi e la nostra gente saliremo sulle vicine alture dei monti e ci apposteremo su di esse per sorvegliare che nessuno possa uscire dalla città” (7,13). Il nemico aveva ragione: man mano che le riserve di acqua venivano meno (7,20-22), il popolo stremato dalla sete si rivolge ai capi della città, gridando la sua disperazione e sfiducia nel Dio dei padri. Si rinnova l’antica tentazione: avvenuta a Massa e Meriba, di mormorare contro Dio, per la mancanza di acqua: «Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: “Dateci acqua da bere!” Mosè disse loro: “Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?”. In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”» (cfr. Es 17,2-3; Num 20,2-5; Es 14,11-12; Sal 95). Il ricorso del popolo ai capi è anche l’ultimo grido a Dio per essere salvati, espresso come il gemito di chi non vede più vie di scampo e compie scelte insensate. Anziché accettare la morte, decidono di arrendersi perché: “diventeremo certo loro schiavi, ma almeno avremo salva la vita” (7,6-29).

L’ultimatum a Dio: ancora cinque giorni

Ozia, uno dei capi, calma il popolo invitandolo a resistere ancora per un poco: “Coraggio, fratelli, resistiamo ancora cinque giorni e in questo tempo il Signore, nostro Dio, rivolgerà di nuovo la sua misericordia su di noi; non è possibile che egli ci abbandoni fino all’ultimo” (7,30). Perché proprio cinque giorni? Nella Bibbia nulla è scritto a caso. L’assedio di Betulia e la mancanza d’acqua durano già da trentaquattro giorni. Aggiungendo a questi giorni altri cinque la somma conduce verso i quaranta giorni, il numero simbolico per eccellenza (cfr. Dt 8,2.4; Num 13,34) che indica prova, tentazione e assunzione di responsabilità. Al quarantesimo giorno, numero simbolo di completezza1, oltre il quale non si può rimandare, qualcosa deve avvenire. E avviene: il Signore viene a prendersi cura del suo popolo, mostrando la sua capacità di salvare, senza fare chiasso, con strumenti fragili, ma ricchi della sua forza. Il capitolo 8 mostra l’ingresso di Giuditta che incoraggia il popolo a non perdere la fiducia nel Dio dei padri. La salvezza sta per arrivare ma per mano di una donna! Giuditta non è la prima eroina biblica a salvare il suo popolo scontrandosi apertamente con il nemico. È preceduta dalla profetessa Debora che guida l’esercito e da Giaele che uccide il nemico (Gdc 4-5). Queste donne, armate l’una della profezia e l’altra del coraggio, furono decisive per la salvezza della loro tribù. Giuditta è armata della fiducia in Dio e della scaltrezza che ne asseconda i piani. La situazione del popolo e la figura di Giuditta richiamano un altro evento biblico: quando Golia, per quaranta giorni, minaccia il popolo atterrito dalla sua mostruosità finché non interviene il giovane Davide, scelto da Dio, che lo annienta con una fionda, colpendolo alla testa (cfr. 1Sam 17,16). Nei due eventi la forza bruta e prepotente (Golia e Oloferne) si rivela vuota e inconsistente dinanzi alla ‘fragilità’ (Davide e Giuditta) sostenuta da Dio. Questa corrispondenza è espressa nella iconografia che rappresenta Giuditta e Davide mentre recano in mano la testa del nemico: Davide quella di Golia, Giuditta quella di Oloferne.

Chi è Giuditta? Dove vive? Che cosa fa?

“In quei giorni Giuditta venne a conoscenza di questi fatti” (8,1). Dove era prima? Il popolo era in subbuglio e lei non sapeva nulla? Giuditta non emerge dal nulla, non s’improvvisa. È una donna autorevole nella città di Betulia. Discende di una genealogia di sedici nomi, la più lunga e unica attribuita a una donna, segno della sua nobiltà (8,1). È vedova, bella, indipendente e ricca. Vive la sua vedovanza nel timore di Dio: pratica i digiuni e la preghiera, con fedeltà, tratta bene la sua servitù. È l’ideale della donna credente che si fida e si affida a Dio: “Né alcuno poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché aveva grande timore di Dio” (8,8). Giuditta “Venne a conoscenza delle parole che il popolo aveva rivolto al capo della città… e seppe anche di tutte le risposte che aveva dato loro Ozia e come avesse giurato loro di consegnare la città agli Assiri dopo cinque giorni” (cfr. Gdt 8,9). Stupita dell’ultimatum dato a Dio dai capi, decide di parlare con loro perché non è del credente porre un ultimatum a Dio. Il credente discerne e si fida!

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE:

1. Leggi il capitolo 7,19-32 con attenzione. Immagina di essere uno dei membri del popolo che sente la sua vita in pericolo e non ha mezzi per salvarsi. Al loro posto che cosa faresti?

2. Confronta l’atteggiamento del popolo e la tua risposta con la preghiera del patto o segreto di riuscita dataci dal nostro Fondatore. Con chi ti senti più in sintonia?

3. Il Beato Alberione con il beato Giaccardo nel momento di grosse difficoltà firmarono una cambiale con Dio ma spinti dalla fede che non conosce alcun “ultimatum”. Quella cambiale è il fondamento del segreto di riuscita.

Suor Filippa Castronovo, fsp

1 Quaranta è il numero simbolico che nella Bibbia indica il tempo dell’attesa, della purificazione, della responsabilità, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse (cfr. Filippa Castronovo, Il numero quaranta, simboli biblici, www.paoline.it).