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UN BAMBINO
IN BRACCIO A SUA MADRE

 

I Magi «entrati nella casa videro il bambino con Maria, sua madre, e prostrandosi lo adorarono» (Mt 2,9-11). Betlemme, casa del pane (in ebraico), e del silenzio. Nessuno parla in questo racconto evangelico. C’è solo un gioco di sguardi. Maria guarda e non parla, custodisce tutto nel silenzio del cuore. I magi vedono il bambino con la madre e adorano, verbo che nella sua etimologia significa “portare la mano alla bocca” e tacere e contemplare. Dio ricomincia da Betlemme, da un bambino. È un Dio che non si impone, che ha bisogno. L’eternità si abbrevia nel tempo, il tutto nel frammento. «Il Verbo si è fatto carne » (Gv 1,14), è scritto. Anzi, nella suggestione del testo greco, i due termini sono vicini, non separati da altre espressioni: ó Lógos sárx egéneto, “e il Verbo carne si fece”. Da allora la vicinanza è assoluta, c’è un frammento di Logos in ogni carne, c’è qualcosa di Dio in ogni uomo, ci sono un po’ di santità e molta luce in ogni vita. La strada più breve e più diritta tra l’uomo e Dio è la carne di Gesù, ora in braccio alla madre, un giorno in braccio alla croce. Maria, a Betlemme, guarda, contempla tra le sue braccia

l’Emmanuel, il Dio con noi. Maria ci è maestra di stupore. Ci aiuta a salvare la nostra capacità di meravigliarci, di reincantare ancora la vita.Maria meditava, ricorda due volte Luca, cercava nei frammenti degli eventi il filo d’oro che li teneva insieme, come a sussurrarci che anche nelle nostre esistenze c’è un’unità segreta, ma scoprirla è un percorso che non finirà mai, come mai si è concluso per Maria, maestra di stupore davanti a Dio, agli angeli, ai pastori, ai magi, a Simeone. E ancora, stupita da suo figlio adolescente quando, dopo averlo ritrovato nel tempio, si rinnovano per lei stupore, domande, perplessità, incomprensione, ma soprattutto questo mai arreso lavoro del cuore. Solo dopo la Pasqua, Maria raggiunge la comprensione matura del mistero di cui è parte. La sua fede cresce, ma non passivamente, non a basso prezzo, bensì nella fatica e nell’esercizio dell’interpretazione continua delle poche parole e del molto silenzio di Dio. Maria è la piena di grazia, e ciò non significa capace di capire ogni cosa e ogni parola, ma indica la forza che la sorregge nel lavorio ininterrotto di meditazione e di accoglimento, di attesa e di fiducia. La grazia, per Maria e per ogni credente, è stupore per la Parola, quel bruciore del cuore (che sperimentano, stupiti, i due discepoli di Emmaus), mai stanco e mai arreso amore per la Parola. Sul suo esempio, conservare le cose, sottrarle all’oblio, farle vivere ancora, meditarle, per cercarne il senso profondo. Per Maria, non è stato facile, e neppure ovvio, capire ciò che sta accadendo, la contraddittorietà, la non plausibilità di questa nascita: la gloria di Dio e la piccolezza del bambino; il canto degli angeli e la stalla; i magi e l’uccisione dei bambini di Betlemme. Maria tiene insieme le cose anche se sembrano contraddittorie, la gloriosa liturgia del cielo e l’umile liturgia dei pastori, senza eliminare l’una o l’altra: un giorno si chiariranno, perché è proprio nel loro confronto che risiede la pienezza del cristianesimo, unire il volto dell’altro e il volto di Dio («ciò che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me» Mt 25,40). Maria conservava eventi e parole. La divina rivelazione avviene attraverso eventi e parole intimamente connessi (Dei Verbum cap. 1), che si richiamano e si illuminano reciprocamente: le parole spiegano i fatti, i fatti realizzano e interpretano le parole. Maria conservava ciò che le era successo: il suo parto, gli angeli, i pastori, i magi, il tempio e le profezie; la sua è come un’esegesi delle parole e dell’esistenza.
Tre sono i verbi impiegati da Luca: “custodiva” (v. 19), “conservava con cura e continuità” (v. 51), “meditava” (v. 19). Sempre, in entrambi i passi evangelici, nel cuore. Nella Sacra Scrittura il cuore è ricordato quasi 913 volte, come qualcosa di diverso e molto più profondo che non il semplice simbolo dei sentimenti e dell’affettività: esso è il luogo dove si discerne, si comprende, si ama la verità, dove si sceglie la vita, dove nascono le azioni, dove Dio seduce. Il cuore, tempio del silenzio. Tutta la vita è un pellegrinaggio verso il luogo del cuore. Lì lo Spirito riporta le parole di Cristo («lo Spirito Santo vi riporterà al cuore tutte le mie parole» Gv 14,26). Come Maria, anche noi, cercatori di Dio, siamo chiamati ad amare l’umanità di Cristo per giungere alla sua divinità. Cercare e riscoprire ogni frammento, ogni fremito di umanità nel Vangelo. Riportando al cuore tutti i brividi d’umano che affiorano dalla vicenda e dalle parole di Gesù: le relazioni con i bambini, con le donne, con gli amici, con il sole e il vento, con gli uccelli e i fiori, con il pane, con il vino, con la luce. Con il Padre. E poi il suo modo di avere paura e di avere coraggio. E come piangeva e come gridava. E la sua carne bambina e la sua carne piagata. E l’amore per il profumo, e il brivido per le carezze dei capelli ubriachi di nardo della donna peccatrice e amica. E il suo volto vestito di luce sul Tabor. La bellezza di Cristo, umana e divina: in cerca della pecora perduta, abbracciato al figlio prodigo, perdonante i crocifissori, povero cui resta solo quel poco di legno e di ferro che basta per morire inchiodato. Morire d’amore. E risorgere, mostrando che l’amore e Dio sono più forti della morte, che rotoleranno via tutte le pietre dall’imboccatura del cuore. Come Maria, culliamo nel nostro cuore il Vangelo, l’umanità di Cristo, i suoi gesti e le sue parole, per giungere a scoprire quel frammento di divino che vuole toccare le nostre vite e trasfigurarle nell’amore.

Francesca V.

BIBLIOGRAFIA: Ronchi E., Le case di Maria. Polifonia dell’esistenza e degli affetti, Paoline, Milano 2006.