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BUONA PASQUA!

 

Carissime Annunziatine,

a ciascuna di voi un gioioso augurio di Buona Pasqua di Resurrezione! Quando queste righe saranno tra le vostre mani, saremo già avanti nel tempo Pasquale, tuttavia desidero invitarvi comunque a riflettere sul significato dell’augurio Pasquale. La Liturgia, che è la nostra vita come Figli di Dio nel corpo mistico che è la Chiesa, in questo tempo letteralmente “trasuda” di gioia e stupore. E questo deve, come per osmosi, passare nella nostra vita quotidiana diventando un augurio di stupita e gioiosa testimonianza della Risurrezione di Gesù. Presso la Chiesa Ortodossa il saluto pasquale riprende alla lettera il testo liturgico: “Cristo è risorto!” e ad esso si risponde con “È veramente risorto!”.
Noi più sobriamente diciamo “Buona Pasqua!”, ma il contenuto di ciò che trasmettiamo deve essere lo stesso: nel giorno liturgico più importante dell’anno comunichiamo l’annuncio gioioso della nostra fede, del mistero centrale della nostra salvezza. È un augurio di gioia, di speranza e di fede. Se facciamo un sincero esame di coscienza (personale ed ecclesiale) dobbiamo invece riconoscere che non è proprio così. In parte, ciò si spiega con il fatto che, come in genere non viviamo pienamente il tempo penitenziale della Quaresima, così neppure poi viviamo in pienezza la gioia pasquale. La liturgia del tempo pasquale ci sorprende ancora per un altro aspetto: ci invita letteralmente “a correre”.
La gioia ha fretta, non può aspettare perché non si può nascondere. Non si tratta solo dell’aspetto umano, psicologico del gioire, c’è qualcosa di più profondo.
Se guardiamo cosa succede nei brani evangelici, dal giorno di Pasqua in poi, ci accorgiamo che i personaggi improvvisamente corrono: si va in fretta al Sepolcro, si torna in fretta da Emmaus, ecc… Inoltre, nel tempo pasquale, come Prima Lettura si legge gli Atti degli Apostoli. E significa che si fa un salto di cinquanta giorni: si passa subito al tempo della Chiesa, cioè dopo la Pentecoste, mettendolo in rapporto con i Vangeli della Risurrezione. In questo modo si invita a comprendere i vangeli della Risurrezione in sintonia con la vita della Chiesa. E questa è per noi un’occasione a percepire anche la nostra vita come illuminata dai vangeli di Pasqua.

La gioia pasquale

Quanto detto illumina meglio le caratteristiche della gioia del tempo di Pasqua. Se pensiamo ai discepoli, specie nei primi giorni, li vediamo molto confusi: alla loro gioia nell’apprendere che Gesù è risorto si mescola la tristezza e il dolore dei giorni precedenti, la disillusione (v. i discepoli di Emmaus) di come pensavano di aver compreso il Messia. Certo sono pieni di gioia che Gesù è vivo, ma nel loro cuore sono ancora tristi dei molti tradimenti, non solo dei capi e dei sacerdoti, ma anche del popolo, che in una settimana passa dall’osannare Gesù all’abbandonarlo (sembra proprio il seme gettato sul terreno sassoso, cfr. Mt 13,20-21). Per non parlare di Pietro che è pieno di gioia della Risurrezione, ma nel suo cuore ha l’amarezza di averlo tradito. Del resto tutti, non solo Pietro, l’avevano abbandonato. Serve ancora l’amore di Gesù per guarire le loro e le nostre ferite interiori... Bisogna riconoscere che ha ragione la Liturgia: da una parte bisogna esultare, prorompere nella gioia e proclamare la nostra fede, ma anche con calma approfondire e fare in modo che questa gioia scenda nella profondità della nostra anima. È solo dopo questo cammino interiore di cinquanta giorni, dopo l’azione potente dello Spirito Santo a Pentecoste che si può iniziare a proclamare il Vangelo, ad annunciare il Cristo risorto senza rischiare di essere fraintesi. Negli Atti degli Apostoli c’è qualcuno che non vuole aspettare e vuole annunciare subito Cristo, senza lasciare che la sua anima sia profondamente pervasa dalla grazia. Si tratta di Saulo che a Damasco, e poi a Gerusalemme, subito inizia a testimoniare con entusiasmo la sua conversione… Risultato: viene prima fatto scappare da Damasco e poi invitato a stare lontano da Gerusalemme, per questo andrà nel deserto per tre anni, prima di essere richiamato da Barnaba ad Antiochia. Anche per noi oggi la gioia di Pasqua deve lentamente, con la grazia dello Spirito, permeare e trasformare le nostre anime. Non basta mettere l’argilla nell’acqua per renderla morbida, bisogna lasciarla a lungo immersa. Se non siamo prima sanati, guariti, trasformati dentro come potremo annunciare Cristo con purezza, senza frammischiarci i nostri limiti, le nostre fragilità? Paolo dopo aver imparato la lezione, ci è di modello.

La Resurrezione non dimentica la Croce

Dunque anche in noi l’annuncio pasquale deve prorompere con gioia sulle nostre labbra, ma insieme scendere in profondità nel nostro cuore, permeare la nostra anima, illuminare la nostra mente. Allora impareremo ad avere una gioia profonda che viene dall’aver sperimentato la grazia e non solo una superficiale emozione. Impareremo inoltre a testimoniare la fede gioiosa del Risorto senza tralasciare che insieme bisogna annunciare anche il Crocifisso. È per il suo sangue che siamo salvi, è per la sua morte che il mondo viene redento.
Nella gioia di Pasqua rimangono ancora il dolore, le ferite della Passione: è un unico mistero di salvezza. Se così non fosse continueremmo a tradire Gesù, continueremmo a volere un Salvatore ma senza la Croce. Gesù salva le anime dalla Croce e non in altri modi. Anche la nostra gioia pasquale deve essere profondamente pervasa dalla consapevolezza che la nostra salvezza è sgorgata con sovrabbondante abbondanza già il Venerdì Santo… anche se non riusciamo a comprenderlo fino in fondo. Abbiamo bisogno di tempo per questo: il tempo pasquale è anche questo. Occorre dare modo alla grazia di agire nelle profondità delle nostre anime, non perché manchi potenza alla Grazia: è la nostra umanità che non la regge; è il nostro intelletto che ha bisogno di tempo per comprendere ed aderire alla verità di Cristo; è il nostro cuore che ha ancora bisogno di tempo per purificarsi ed essere assimilato al “cuore amorosissimo di Gesù”. Allora anche la nostra volontà sarà unificata con quella di Gesù e aderirà alla volontà di Dio. Anche quando questo significa accogliere e amare la sofferenza, la sconfitta, l’umiliazione, il tradimento… ma tutto questo sarà unito al sacrificio di Cristo. Del resto nell’Eucaristia, che è la nostra grande gioia, non dobbiamo forse unire le nostre piccole croci alla grande Croce di Gesù, per offrirle al Padre nella potenza dello Spirito?

Don Gino