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MARIA,
MAESTRA DI PERSEVERANZA

 



Nel libro degli Atti, Luca mette in risalto la virtù della perseveranza come tipica della prima comunità: “erano assidui” (At 1,14); “erano perseveranti” (2,42); “una preghiera insistente saliva dalla Chiesa” (12,5); “noi ci dedicheremo con assiduità alla preghiera e al ministero della Parola” (6,4). La perseveranza è una virtù umile, non clamorosa, cemento solido dei giorni, che si oppone alla tentazione del lasciarsi andare, alla tentazione di arrendersi, all’abitudine. Anche secondo i Padri del deserto la tentazione più grande per il monaco è l’accidia, la mancanza di volontà, la pigrizia interiore, l’assenza di motivazioni, il lasciarsi andare. Nella camera alta della preghiera unanime e perseverante Maria è una presenza che crea comunità e perseveranza, che crea la capacità di essere per sempre discepoli.
La perseveranza fa paura. Il “per sempre” fa paura. Forse è facile essere eroi per un’ora, eroi per caso, ma esserlo giorno per giorno, calvario dopo calvario, attesa dopo attesa, solo a pochi riesce, senza sentieri spezzati, senza interruzioni, fedelmente. È il “per sempre” che ci fa percepire la nostra inadeguatezza. Santa Maria è la donna della perseveranza. Pensiamo ai nove mesi in cui porta nel grembo il Signore, attendendone la nascita. Pensiamo alla sua fedeltà anche quando Gesù a Cana bruscamente le dice: «Che ho da fare con te, donna?» (Gv 2,4). È perseverante nella fede estrema ai piedi della croce (Gv 19,25) e nei tre giorni del grande silenzio in cui Cristo è nel sepolcro. Lei, donna del terzo giorno. Perseverante in preghiera con i discepoli nell’attesa della Pentecoste. Oggi, nella cultura dell’immediato, dei riscontri immediati, dei risultati repentini, in cui non si sa più investire a lungo respiro, perché non c’è più speranza, Maria ci richiama all’umile virtù contadina della perseveranza: nel tempo dell’inverno, che tu dorma o vegli, il grano germina sotto terra. La perseveranza è il sigillo umile e fortissimo della

speranza. Per vegliare bisogna rimanere in continuo allarme amoroso. Ed è per questo che siamo chiamati ad andare da Maria! Andare da Maria è andare a scuola di cristianesimo; capire lei è possedere la grammatica per capire l’umanità e per parlare la lingua della vita. È la prima del lungo corteo di questa umanità incamminata, caduta ma incamminata, prodiga ma incamminata: in lei c’è l’alfabeto della vita. Può essere interessante il confronto con quella che è la funzione del dna nella cellula vivente. Nel dna sono contenuti tutti i geni, che contengono a loro volta tutte le informazioni sul futuro organismo. Nel minimo, il tutto. Nel presente, la mappa del futuro. Ci sono un volto e un corpo già inseriti nella prima cellula, e una forza di vita che non si arresterà più. Nel patrimonio della prima cellula è già contenuto un progetto, l’energia e i codici perché la persona futura abbia tutta la sua bellezza e la sua potenzialità, e quelle caratteristiche che la faranno unica.
Così Maria è come il dna della Chiesa e di ogni discepolo, in lei è già presente il patrimonio originario e fondamentale che fa crescere la Chiesa secondo una forma. La Chiesa si forma e si riforma su Maria. Se Maria è “icona del mistero” (B. Forte), è ugualmente icona di ogni discepolo. L’immagine del dna può aiutarci a capire in che modo la presenza di Maria sia operante: non come un modello di riferimento passivo, non come una semplice intercessione misericordiosa, ma come forza di vita germinante. La sua maternità non è conclusa, si occupa ancora e continuamente di noi, nell’oggi di Dio, ci guida dall’interno, sospingendoci al destino che è il suo. In un lavorio continuo, in una dinamica creativa, in una germinazione perenne, in analogia con l’invisibile e fortissimo lavoro che il patrimonio genetico della mia prima cellula continua a svolgere in me, nel mio organismo, nel mio crescere e maturare. Se l’accolgo tra le mie “cose care”, come Giovanni, nella mia casa, come a Gerusalemme. La maternità di Maria è il diffondersi del patrimonio originario del credente autentico, da lei, prima cellula della Chiesa, a ogni cellula del corpo.
Il primo atto di fede del cristianesimo (si faccia in me...), il primo miracolo a Cana, la prima professione di fede dei discepoli, la prima beatitudine che risuona nel Vangelo (beata colei che ha creduto), i primi inni di lode, la prima preghiera cristiana nascono attorno a lei. C’è una primogenitura nella fede per cui la vita cristiana è già contenuta in germe, come nel suo dna, in Maria. Maria è questo dono fatto da Cristo alla nostra identità, non come presenza emotiva o sentimentale, ma come presenza attiva, che costruisce il nostro volto futuro, il nostro volto profondo. Noi abbiamo una madre che ancora, in questo momento e continuamente, dà forma alla nostra identità di credenti, che «collabora alla formazione del credente» (LG 63). In Maria il credente è reso grembo capace di tenerezza, di commozione, di pietà edi grazia, bocca che si dischiude al Magnificat, occhi aperti sul dolore dell’uomo fino a piangerne, udito attento a percepire il gemito della storia e del creato fino al fremito, piedi pronti a fare passi verso l’altro, mano aperta all’accoglienza del dono che è ogni vivente.

Francesca V.

BIBLIOGRAFIA:
Ronchi E., Le case di Maria. Polifonia dell’esistenza e degli affetti, Paoline, Milano 2006.