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IL LIBRO DI ESTER
(2)

 



Ester, orfana ebrea, nascosta e umile che abita “due mondi”

La figura di Ester entra in scena nel secondo capitolo quando il re Assuero deve scegliere una nuova moglie al posto della disobbediente Vasti. Ester è un’orfana ebrea che era stata adottata dal cugino o zio Mardocheo, il quale “ prestava servizio nel palazzo” (2,19). Mardocheo era rispettoso del re, della sua autorità, delle leggi dello stato, ma obbediente, anche a costo della vita, soltanto al suo Dio e alla sua coscienza. Questa duplice fedeltà gli procurerà da una parte l’ira del perfido Aman che ne fa decretare la morte perché rifiuta l’ossequio idolatrico alla sua persona (3,2) e dall’altra gli farà guadagnare il riconoscimento della sua fedeltà, quando il re venendo a scoprire che Mardocheo lo aveva salvato da un complotto gli attribuisce i più grandi onori (9,15-16).

Due nomi ma un’unica identità

Il re Assuero, dopo avere allontanato Vasti, mobilita i suoi ministri per la ricerca di una nuova moglie, che fosse esempio di sottomissione per tutte le donne dell’impero. La scelta cade su Ester “fanciulla bella d’aspetto e avvenente” (cfr. 2,7). Il testo bilico le attribuisce due nomi: l’ebraico Adassa, che significa mirto, cioè umile e quello persiano datole da Assuero: Ester. Il re la chiama con questo nome perché ignora la sua origine ebraica. Adassa/Ester non glielo aveva rivelato perché Mardocheo le aveva raccomandato di non svelare la sua identità religiosa. “Ester non palesò la sua stirpe: Mardocheo, infatti, le aveva raccomandato di avere il timore di Dio e di osservare i suoi comandamenti, come quando stava con lui.

Ester non cambiò il suo modo di vivere” (2,20). Il nome Ester sembra alludere alla dea babilonese Ishatar, ma può anche derivare da una radice ebraica che significa “nascondere” perciò Ester si può definire “colei che è nascosta”. In effetti, Ester svela la sua origine ebraica, che tiene nascosta, solo alla fine, al momento opportuno. I due nomi Ester per la corte e Adassa per il suo popolo indicano che questa giovane abita, senza tensioni, due mondi diversi, il proprio e quello pagano, rimanendo se stessa. I due nomi Ester/Adassa che la identificano dicono che Dio dirige i fatti della storia senza clamore, servendosi delle persone svantaggiate.

Ester, strumento di Dio, alla pari di Giuseppe o di Daniele

La storia di Ester che da orfana diviene regina, letta superficialmente, ricorda la favola di “Cenerentola” la povera che sposa il principe azzurro. Nella lettura biblica il significato è diverso e l’intreccio del racconto non è nuovo: la sua presenza presso la corte persiana richiama quella di Giuseppe in Egitto o di Daniele in Babilonia, persone di fede e di sapienza, di cui Dio si serve per salvare il suo popolo. La novità del libro di Ester consiste non tanto nella trama quanto nel fatto che la protagonista di cui Dio si serve per manifestare la sua salvezza è una donna e la salvezza avviene con i connotati tipici femminili. Ester, la nuova regina non è solo bella e buona, dolce e docile, secondo i desideri del re e dei suoi ministri, ma sarà, soprattutto, uno strumento di salvezza, intelligente e coraggioso, che agendo secondo il volere di Dio sovverte il potere diabolico.

La seduzione della vera bellezza

Ester, orfana e deportata in un paese straniero, appartiene a una delle categorie sociali più svantaggiate e perdenti. In termini di attualità può essere considerata come un’extracomunitaria che va a vivere in una grande città. Non ha privilegi umani che possano facilitarle una qualsiasi ascesa sociale. L’unica ricchezza che possiede è la bellezza. È utile ricordare che nell’AT le donne bibliche credenti sono tutte belle. La vera bellezza è sempre sinonimo di bontà1. La bellezza esteriore esprime l’interiorità profonda che abita queste donne. Ester, come anche Giuditta, Abigail, con la loro bellezza seducono gli uomini, riuscendo a cambiare i loro progetti distruttivi (cfr. Abigail verso Davide; Giuditta verso Oloferne) e con la preghiera “seducono” Dio che, tramite esse, porta salvezza al popolo.

La lunga preparazione e il necessario silenzio

Ester si sottopone ai lunghi e noiosi preparativi richiesti per presentarsi al re. Per un anno, sei mesi più sei mesi, riceve i trattamenti previsti dal rituale di corte. Si lascia ungere il viso con oli aromatici e il corpo con unguenti e profumi: “Il periodo della preparazione si svolgeva così: sei mesi per essere unta con olio di mirra e sei con spezie e unguenti femminili” (2,12b). In questo tempo di preparazione avrà, forse, perso le caratteristiche somatiche e i tratti del viso, ma non la sua identità profonda di donna ebrea credente. Il re Assuero quando la vide “si innamorò ed ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale. Poi il re fece un banchetto per tutti i suoi amici e i potenti per sette giorni, volendo solennizzare così le nozze di Ester; condonò pure i debiti a tutti quelli che erano sotto il suo dominio” (cfr. 2,17). A differenza di Vasti, Ester si mostra incapace di ribellarsi. Il contrasto tra Vasti e la sottomessa Ester è evidente. Vasti, che rifiuta di farsi esibire, mettendo in discussione il potere, suscita, sicuramente, le nostre simpatie. Il gesto di Vasti nel testo non intende, comunque, esprimere una specie di vittoria del ‘femminismo’ secondo i criteri della nostra cultura ma evidenzia, con ironia, come una donna sia stata capace di mettere in ridicolo il potere maschile, stupido perché, appunto, idolatrico. Nella trama del racconto la disobbedienza di Vasti permette l’ascesa di Ester che, al contrario di questa, non agisce per rivendicazione personale ma per il bene del suo popolo e al momento opportuno si lascia guidare dalla responsabilità verso di esso. Ester che sembra lasciarsi risucchiare passivamente dal sistema in realtà ne sradicherà le ingiuste radici.
Il silenzio di Ester non è quello dei codardi che fuggono dalle responsabilità, ma quello che agisce nel modo giusto e al tempo giusto, mettendo, se necessario, a rischio la propria persona. Ester, inoltre, con il suo silenzio, salva la propria identità religiosa e, nascondendola agli stranieri che non l’avrebbero capita, non permette che essi se ne impadroniscano. Ella resta un’ebrea fedele alla sua storia e al suo popolo e sarà proprio per amore del suo popolo che manifesterà la sua vera identità, rendendosi disponibile a sacrificare se stessa. Il vero sovvertimento, insegna il testo, si ottiene nell’obbedienza al piano di Dio e amando fino alle estreme conseguenze. La figura di Ester suggerisce ancora che la donna chiamata a essere madre della vita nel dolore è anche chiamata a proteggere e salvare la vita a condizione di lasciarsi guidare dalla logica indicata da Gesù di “essere nel mondo senza essere del mondo” (cfr. Gv 15,19; 17,14) che richiama la capacità di Ester di vivere in due mondi diversi senza perdere la propria identità di donna credente che, senza bruciare tappe e tempi, pur cosciente della propria fragilità e vivendola fino in fondo, al momento giusto, mette in atto la forza rivoluzionaria della sua fede vissuta al femminile.

PER LA RIFLESSIONE PERSONALE:

Dopo aver letto attentamente i primi due capitoli del testo greco ed ebraico del libro di Ester, rifletti e domandati:

1. Ester divenuta regina, benché abiti nel mondo pagano, “non cambiò il suo modo di vivere” (Ester greco 2,20) rimanendo fedele al Dio di Abramo e del suo popolo. Seguendo l’esempio di Ester noi che viviamo in una cultura senza ideali solidi, che attribuisce importanza all’immagine, all’avere, come possiamo mantenere solide le nostri radici cristiane ed “essere nel mondo senza essere del mondo?”.

2. Ester, donna del silenzio fecondo, ha una personalità molto profonda. Lo dimostra la sua capacità di tacere e di pronunciare al tempo opportuno le parole efficaci. Confronta il silenzio di Ester con quello Maria: (cfr. Lc 2,18.51; Gv 19,25- 26) e di Gesù: (cfr. Mt 26,63). Che cosa ti suggerisce questo confronto? Come recuperare nel nostro tempo, fatto di rumori, parole sconclusionate, reazioni superficiali, la fecondità del silenzio, il solo che fa maturare il seme nascosto nel terreno del nostro cuore?


Suor Filippa Castronovo, fsp


1 Ricordiamo anche che nel Vangelo di Giovanni il buon pastore è il “bel pastore!” (cfr. Gv 10,14).