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IL TEMPO È UN TESORO
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Don Alberione, meditando sul libro di Giobbe ci invita ad usare bene il tempo che ci è dato per prepararci alla vita eterna perché: “L’eternità ce la facciamo noi, buona o cattiva, come vogliamo...” (I Novissimi, pp. 58-64). La morte è la fine del tempo La Sacra Scrittura: “Mi sei stato largo di vita e di benevolenza, e la tua vigilanza custodì il mio spirito. Sebbene tu nasconda queste cose nel tuo cuore, so bene che le ricordi tutte. Se ho peccato mi hai perdonato per un istante. Perché non permetti ch’io sia purificato dalla mia iniquità? Se son reo, guai a me! Se innocente, non potrò alzare il capo, saziato d’afflizioni e di miserie. A motivo della superbia mi prenderesti come una leonessa, mi tormenteresti di nuovo prodigiosamente, rinnovando le tue prove contro di me, raddoppiando contro di me il tuo sdegno; e le pene combattono dentro di me. Perché m’hai fatto uscire dal seno materno? Fossi morto, ed occhio non mi avesse mai visto. Sarei come fossi mai esistito, portato dal seno della madre al sepolcro. Non deve finir presto il piccolo numero dei miei giorni? Lasciami adunque piangere un poco le mie sventure, prima ch’io vada, per non più ritornare, al luogo tenebroso coperto dalla caligine di morte, alla regione della miseria e delle tenebre, dove regna l’ombra di morte, il disordine e l’orrore sempiterno” (Gb 10,12-22). L’uomo è destinato a vivere sempre. Incomincia la sua vita su questa terra, ma per brevi giorni. Poi entra nella casa della sua eternità e là la vita non avrà più fine. Ma il tempo, che è così breve di fronte all’eternità, è la chiave dell’eternità; ed è una chiave che può aprire le porte del cielo e può aprire le porte dell’inferno. Chi usa il tempo secondo la divina volontà, apre il cielo; chi usa del tempo invece malamente, apre leporte dell’inferno. Due giovani possono avere gli stessi giorni |
di vita; due compagni possono sempre andare avanti insieme e nella giovinezza e nella virilità e nella vecchiaia ed anche chiudere i loro giorni nello stesso giorno; ma lo stesso tempo può essere per l’uno la chiave del cielo e per l’altro la chiave dell’inferno. Non importa che siano stati vicini, non importa che abbiano avute le stesse occupazioni, non importa che siano stati della medesima statura, non importa che abbiano avuto la stessa vocazione, gli stessi giorni di vita. “Uno sarà preso, l’altro lasciato” (Lc 17,34). Fra di noi si possono contare quelli che hanno gli stessi anni di vita: uno può essere ricco di meriti e l’altro poverissimo, ed un terzo potrebbe anche essere in peccato grave. Il tempo è un tesoro; ma usato bene compra un altro tesoro, il tesoro del Cielo; se invece è usato male, è dissipato, ci rende responsabili davanti a Dio, e diventa la nostra condanna: “Potevi e non hai fatto”. E intanto non vi sarà più tempo: viene la morte... si chiude il tempo... è finito... ciò che è compiuto, rimane in eterno. Se un giovane avesse ricevuto grandi tesori in eredità dal padre suo, trafficando potrebbe moltiplicarli, dissipandoli diverrebbe un disgraziato prodigo. La sera è immagine della morte. Orbene: ogni sera un’anima diligente può numerare le sue azioni; in esse ha messo impegno, ha fatto con gran fervore, rettitudine d’intenzione, precisione, quanto le fu possibile?... 3. Con la morte hanno fine i mezzi spirituali per salvarci La Sacra Scrittura: “L’uomo nato di donna vive poco tempo e pieno di molte miserie. Come un fiore sboccia e secca, fugge qual ombra, senza mai fermarsi. E tu stimi degno aprire i tuoi occhi sopra un tal essere o chiamarlo al tuo tribunale? Chi può render puro colui che fu concepito dall’immonda semenza? Non forse tu che sei l’unico? I giorni dell’uomo son brevi, il numero dei suoi mesi è presso di te. Gli hai fissato un termine che non può essere oltrepassato. Ritirati un poco da lui e lascialo in pace, finché non venga, come quello d’un mercenario, il suo giorno bramato. Per la pianta c’è una speranza: anche tagliata, rimette e ritorna ad avere i suoi rami; ed anche quando sarà invecchiata sotto terra la sua radice, quando il suo tronco sarà morto nella polvere, appena sente l’acqua rinverdisce e fa le fronde come pianta novella. Ma l’uomo, morto che sia, non ha più nulla. È finito. Di grazia, che ne resta? Simile alle acque sparite del lago, al fiume che inaridisce e secca. L’uomo quando si sarà addormentato non risorgerà, finché non cada il cielo non si sveglierà, né si scuoterà dal suo sonno. Oh, potessi ottenere che tu mi seppellisca nell’Abisso, e mi faccia star laggiù nascosto finché non passi il tuo furore, finché tu non abbia fissato il giorno in cui ti ricorderai di me! Beato Giacomo Alberione |