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LA CASA DEGLI INIZI
E IL TOCCO DI DIO

 

“Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca. Lo fa in un giorno in cui sei così ubriaco di gioia e di amore da dire a chi ami parole totali, stupite e che vuoi siano eterne. Ti tocca in un giorno di lacrime, nell’abbraccio dell’amico, o quando nel deserto del sempre uguale ti imbatti nell’inaudito”. La casa in ebraico si dice bet, la seconda lettera dell’alfabeto: per la sua forma e per la sua funzione, è il simbolo stesso dell’accoglienza e del femminile (A. de Souzenelle), metafora di Maria, dove il Misericordioso senza casa trova casa. Casa, nel linguaggio biblico, ha un doppio significato: indica la casa come edificio, e il casato come insieme di persone. Questo duplice significato è espresso molto bene in 2Sam 7, quando il profeta Natan riceve un oracolo da riferire a Davide: “Non tu costruirai una casa a Dio, ma Dio una casa a te”. Nella prima accezione, la parola “casa” indica proprio la costruzione, il tempio di pietra che Salomone un giorno costruirà. Nella seconda accezione, indica il casato, l’insieme di persone, i figli, la famiglia e tutta la storia di Davide. Ebbene, Dio sembra privilegiare la storia come spazio della sua presenza; al tempio preferisce il tempo; al recinto consacrato antepone la casa. È così confortante pensare che Dio mi sfiora non solo nelle chiese o nelle sinagoghe, ma nella vita comune, mi sfiora nei giorni della festa come nelle notti di burrasca. “Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria” (Lc 1,26-27). Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Giuseppe, Davide, Maria. Sette nomi propri, di persone e di luoghi, aprono il racconto dell’annuncio. Posti all’inizio, come segnali di storicità e di concretezza, i sette nomi ci preparano da subito non a elaborare una teoria, ma ad accogliere una storia; a entrare nella ferialità, anziché a sostare nello straordinario.

Essi indicano che al tempio Dio preferisce il tempo, che alla sinagoga preferisce la casa: sono il racconto dello stile di Dio, del suo modo di agire. L’azione di Dio cade nel tessuto normale degli avvenimenti, in un luogo preciso, in un tempo preciso, con persone precise. Terra e carne, e tuttavia abitate da amori e da angeli, da un oltre. Dio prende questo mondo così com’è e in esso realizza la promessa. Ma partendo dalla periferia. Maria è la donna delle periferie: donna di Palestina, piccola provincia periferica dell’impero romano. Donna di Galilea, che è la regione ai margini di Israele, quasi Libano, quasi Siria, regione minore, quasi eretica.
Donna di Nazaret, villaggio mai nominato nella Bibbia, villaggio minore senza storia, senza ricordi, senza futuro. Donna all’interno di una società non-favorevole alle donne, donna giovane, quando l’autorità appartiene agli anziani, probabilmente analfabeta in una religione con il culto della Parola scritta. Maria viene dalla periferia delle periferie a dirci che tutti possiamo riconoscerci in lei perché nessuno ha meno di lei. È il cammino dei poveri di Israele, la via privilegiata da Cristo e che egli inaugura con la sua nascita nella stalla, che proclama nella sinagoga di Nazaret: “Sono venuto per annunziare una lieta notizia ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi...” (Lc 4,18- 19); un Messia che fa di un bambino il modello del suo Regno, che predilige gli ultimi. Un Dio che ricomincia dai piccoli. L’angelo «entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”» (Lc 1,28). Primo momento: Maria entra nella storia mentre è in ascolto di un angelo, e traccia il primo passo per chi vuole entrare in un rapporto vero con le creature, uomini o angeli: l’arte dell’ascolto. Maria ci mostra come fare spazio nella nostra vita all’ingresso della luce.
Fa spazio alla luce chi ha saputo creare un’oasi di ascolto. Secondo momento: A quelle parole Maria rimase turbata. Un attimo di smarrimento, ed è un attimo che, nella nostra vita, può durare anni. E se pure hai detto “sì” una volta, non sei mai al riparo dallo smarrimento. Ma: “Non temere, Maria”. Dio entra nella vita, che è fatta anche di turbamenti, di emozioni confuse, e porta nuove stelle polari. Entra nella vita, anche se è inadeguata. O forse proprio per questo! Forse non bisogna temere la propria debolezza, gli uomini non finiscono mai di essere pronti. Ma Dio salva. Terzo momento: Come è possibile? Non conosco uomo. Mentre Zaccaria domandava all’angelo un segno, Maria domanda il senso. Porre domande è stare davanti al Signore con tutta la dignità di uomo: accetto il mistero, ma uso anche tutta la mia intelligenza. Dico quali sono le mie strade e poi accetto strade al di sopra di me. Ma avverto il pericolo di far dire a Dio ciò che Dio non dice, e interrogo e cerco il senso.
Infine appare lo stile di Dio: Ti coprirà con la sua ombra. La potenza si fa ombra. L’Altissimo si vela di carne, quasi si nasconde, si fa ombra su di una ragazza, fremito nel suo grembo. Non lo troveremo negli abbagli delle visioni, nello splendore del tempio, ma nella vita, che è un’anfora di ombre. Nel buio di un grembo sta la luce della vita. Per entrare e dimorare nella vita Dio si veste sempre di povertà, degli umili panni del servo (Fil 2,6- 7). Non si impone, va cercato. E sarà accolto e generato solo da chi sa vivere in se stesso l’impegno di essere servo, come lui: Eccomi, sono la serva del Signore. La vicinanza di Dio crea servizio. In tutta la Bibbia, in tutta la storia. Inscindibilmente, servizio a Dio e all’uomo. Anche nella nostra “casa degli inizi”, Dio ci ha toccate. Ancora oggi ascoltiamo come rivolte a noi le tre parole dell’angelo: “Non temere, verrà il Signore e ti riempirà la vita”. Sono parole di speranza… e questa speranza è una Vergine gravida di un mondo altro!

Francesca V.