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FARE IL PRESEPIO

 

Carissime Annunziatine,

ci avviciniamo al Natale di Gesù seguendo il ritmo veloce e ardente dell’Avvento, come lo scandisce il tempo della Liturgia, che rappresenta una grande e preziosa catechesi. Non possiamo vivere questo periodo dell’anno solo come una stanca ripetizione della tradizione: è invece una preziosa eredità che ci viene rinnovata ogni anno affinché possiamo crescere e portare frutti nella nostra vita spirituale. Un buon metodo per prepararsi è “fare il presepio”. E ciò non vuol dire banalmente preparare le statuine, le pecorelle e tutto il resto, ma con la nostra mente e con la nostra anima disporsi ad accogliere Gesù come quando assieme ai bambini si prepara il Presepio. A loro si deve insegnare a farlo come qualcosa di plastico, visivo e tangibile, non semplicemente come un’attività ricreativa, ma realizzando una catechesi semplice ma mistagogica (che introduce nel mistero) per aiutarli a vedere e toccare il Mistero invisibile e intangibile dell’Incarnazione: lì dove Dio si è fatto visibile.
Con un accresciuto atteggiamento spirituale anche “da grandi” abbiamo bisogno di vedere, toccare, contemplare “il Verbo della Vita” (cfr. 1Gv 1,1). Non si tratta solo di una attività esterna, il vero luogo da allestire e preparare è nell’intimo del cuore, è nel segreto della nostra anima (cfr. Mt 6,6). Il presepe più ambito dal Cielo, quello che Gesù vuole, è in noi stessi: è il nostro cuore che deve essere una culla accogliente, è la nostra anima che deve essere pronta ad accogliere il Signore che viene. In questo dobbiamo imitare la Mamma Celeste, come ricordava don Alberione in una lettera alla Prima Maestra nel 1945: «La prima culla che Gesù trovò sulla terra fu il Cuore immacolato di Maria: quello è stato il primo presepio». Oggi Gesù desidera ancora essere accolto nello stesso modo, anche quest’anno vuole come culla il nostro cuore. In questa preparazione c’è un doppio registro da vivere, quello intimo del nostro cuore e quello più grande di tutta la Chiesa che desidera essere pronta ad accogliere Cristo che viene. Il tempo liturgico dell’Avvento è questa grande catechesi per prepararsi all’arrivo del Signore che viene. Qui la liturgia intreccia la duplice venuta del Signore, quella nascosta e ignorata a Betlemme duemila anni fa e la Seconda Venuta, quella che concluderà la storia e che non potrà essere ignorata da nessuna creatura. L’attesa messianica si può cogliere soprattutto nella prima

parte del tempo di Avvento; nella seconda parte siamo invece invitati a riconoscere la venuta del nostro Signore “nella carne e nella storia” cioè a prepararci all’ormai prossimo Natale di Gesù. Nella Liturgia della Chiesa, quello che celebriamo lungo l’anno liturgico deve anche sempre essere colto nella Celebrazione Eucaristica. Con il Mistero dell’Incarnazione entriamo nel cuore dell’Eucaristia. Certo, il centro dell’anno liturgico e della Celebrazione Eucaristica è la Pasqua, è l’offerta e l’immolazione sulla croce di Cristo, altrimenti non avremmo la salvezza e neppure i Sacramenti. Ma quel Corpo innalzato sulla croce e asceso al Padre, è prima entrato nel mondo, si è incarnato si è fatto visibile, si è fatto ascoltare, si è fatto toccare con la sua Nascita. Per questo «annunziamo questa vita eterna che era presso il Padre e che si è manifestata a noi» (cfr. 1Gv 1,1). Nella Celebrazione Eucaristica, secondo la tradizione latina in modo particolare, il Mistero natalizio dell’Incarnazione corrisponde con l’Offertorio e l’inizio della Preghiera Eucaristica: il pane e il vino offerti sono trasformati nel Corpo e Sangue di Cristo affinché possano essere graditi al Padre come l’unico ed eterno sacrificio di Cristo. Nel Natale si concentra tutto il mistero dell’unione della natura umana alla Natura Divina: quello che è di Cristo deve essere anche della Chiesa. Nella struttura dell’Anno Liturgico ci sono due elementi che determinano tutto il dinamismo, quello della Risurrezione e delle Domeniche che è incentrato sulla Pasqua (sempre cade di Domenica perché segue il calendario lunare), e quello delle feste dei santi che è incentrato sul Natale (le memorie e le feste dei santi seguono il calendario solare). Le feste dei santi sono legate all’Incarnazione perché celebriamo coloro, che salvati dal sangue di Cristo, sono ormai in Cielo pienamente uniti a Lui.
È molto bello il testo che il sacerdote recita ogni giorno mentre versa nel calice del vino un po’ d’acqua: «L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana». Questo “misterioso scambio” è il mistero dell’Incarnazione e della nostra salvezza. Cosa significa “la nostra unione con la vita divina” di Gesù? È la nostra santificazione, è il nostro diventare uno con Cristo. Quello che deve essere la nostra preparazione ad ogni Celebrazione e ad ogni Comunione, deve essere anche la nostra preparazione alla festa di Natale. È Lui il Dono, è Lui la Luce, è Lui la nostra Vita, è lui che dobbiamo accogliere degnamente nel nostro cuore
Fare il Presepio” vuol dire partecipare al mistero di quella Santa Notte con il cuore dei bimbi, non quello dell’età, ma quello del “se non diventerete come bambini...” (Mt 18,3). Allora per prima cosa serve “la meraviglia”: quale stupore deve destare in noi il fatto che si aprono i Cieli e discende il Giusto, ma si manifesta come un “piccolo”! (cfr. Is 1,7). Che meraviglia! Dio si nasconde perché noi possiamo vederlo, contemplarlo!
Impariamo dagli angeli
, che sempre adorano Dio dove egli è, e dunque scendono sulla grotta di Betlemme per adorarlo, così come scendono presso ogni Tabernacolo per adorare Dio dove Lui desidera manifestarsi. Nel guardare il Bambino, in quella fragile carne dove si nasconde la Luce eterna, impariamo ad adorare l’Eucarestia dove nelle specie del Pane si nasconde la Vita di ogni uomo. Con loro dobbiamo cantare il “gloria in excelsis et pax hominibus!”. Essi proclamano la Gloria di Dio ed insieme il programma di vita di Cristo, la sua missione, quella affidatagli dal Padre. Ricordiamo che questo è anche il motto che il Fondatore ha voluto nello Stemma, è il motto della Famiglia Paolina e deve esserlo di ogni paolino. Questa è la nostra missione, questo deve essere il nostro programma di vita spirituale e del nostro apostolato, perché è il programma della Chiesa. Impariamo dai pastori, lasciamoci risvegliare dal torpore, la voce degli angeli risuoni nel nostro intimo per strapparci dal sonno (cfr. Rm 13,11) e andiamo dove il cuore trova il suo tesoro (cfr. Mt 6,21), l’unico posto dove il nostro cuore può riposare, come dice s. Agostino.
Ed offriamo a Gesù le nostre povere cose, quel poco che abbiamo ma in tutta semplicità. Coloro che vigilano sul gregge sotto il cielo stellato sono i primi ad onorare il Signore in una povera grotta.
Impariamo da San Giuseppe, che si preoccupa del Bambino e di sua Madre perché abbiano quello di cui hanno bisogno in semplicità: la sua gioia è quella di Gesù e di Maria. La sua vita si realizza in pienezza, pur nel nascondimento, nel contemplare il mistero di Dio fatto uomo. Mistero incomprensibile, ma così amorevole da sciogliere il cuore più duro.
Impariamo dalla santa Vergine
, che è diventata Madre di Dio generando il Verbo eterno di Dio, donandoci la Vita. È lei che ci insegna come accogliere Gesù che viene. Lei che ha fatto del suo Cuore Immacolato la culla più gradita a Dio, dove il Figlio di Dio potesse trovare un luogo in cui essere accolto senza nessun limite, senza alcuna riserva. Noi non possiamo essere come Maria, certo, ma impariamo da lei ad accogliere oggi il Signore, aprendo il nostro cuore totalmente, senza riserve e con un amore senza misura. Questo dovrebbe essere anche il modo in cui accogliamo in noi l’Eucarestia: allora ci sarà veramente l’“unione con la sua vita divina”. Allora Gesù potrà trovare anche oggi un posto dove essere accolto e poter porre “la sua tenda” presso di noi (cfr. Gv 1,14).

Don Gino