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IL VANGELO SECONDO MARCO
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L’attesa della fine dei tempi e la venuta del “Figlio dell’uomo” (Mc 13,24-32) Il secondo momento prospettato dalla rivelazione di Gesù ai discepoli è quello della fine dei tempi e della venuta del “Figlio dell’uomo” (che è Gesù stesso nella sua gloria di Risorto e di Giudice). Il linguaggio qui usato è quello dell’apocalittica (dal greco, apokalypto, “rivelare”, “manifestare”), un genere letterario proprio del giudaismo e della tradizione biblica per descrivere “il giorno del Signore” (come i profeti chiamano la fine dei tempi e del mondo). L’espressione “in quei giorni” (v. 24) non va intesa in senso cronologico, ma va collegata con gli oracoli dei profeti, dove indica la certezza della venuta del “giorno del Signore” e del suo giudizio. “Il Figlio dell’uomo” che viene sulle nubi si ispira a un testo del libro di Daniele (“Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo”: Dan 7,13). Le nubi indicano la presenza di Dio, mentre il titolo “Figlio dell’uomo” – nel contesto degli ultimi avvenimenti – designa Gesù come “Signore” e “Giudice”. L’oscurarsi del sole e della luna, la caduta delle stelle e lo sconvolgimento delle potenze del cielo si ispirano alle stesse immagini apocalittiche presenti nel libro del profeta Isaia (Is 13,10: “Le stelle del cielo non daranno più la loro luce, il sole si oscurerà nel suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce”; cfr. anche Is 34,4). Sono immagini che alludono a un disordine cosmico che coinvolgerà tutto il creato, a cominciare dal mondo celeste (quello degli astri). Si possono anche interpretare come una decostruzione di quanto Dio ha compiuto nel quarto giorno della creazione, racchiuso in Gen 1,14-19, dove si narra la creazione degli astri collocati nell’armonia del firmamento: “la caduta delle stelle e soprattutto l’oscurarsi del sole e della luna romperanno il ritmo dei giorni e delle notti, il calcolo e l’armonia della temporalità” (C. Focant, Marco, p. 531). Nel Vangelo secondo Marco, tuttavia, esse non hanno lo scopo di spaventare, quanto piuttosto di manifestare la potenza di Dio che salva (“radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino alle estremità del cielo”). La breve parabola della pianta di fico (che con lo spuntare delle foglie annuncia l’estate), serve a destare l’attenzione nei discepoli a saper cogliere e leggere i segni e i tempi di Dio nella storia e la sua presenza in mezzo a noi (“sappiate che egli è vicino, alle porte”). Quanto alla dichiarazione di Gesù che neppure il Figlio conosce il momento della fine, essa va intesa nel senso che lo svelare la fine del mondo non rientra nella missione di Gesù, poiché si tratta di un evento la cui rivelazione spetta solo al Padre. |
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“Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento” (Mc 13,33-37) La conclusione del discorso escatologico ha come parola chiave il verbo “vegliare”, che viene presentato mediante l’uso di tre diversi termini significativi: blepo (“fare attenzione”: Mc 13,5.9.23.33), agrypnèo (vegliare, nel senso di “scacciare il sonno”: Mc 13,33), gregorèo (vegliare, nel senso di “stare svegli”: Mc 13,34.35-37). “Fare attenzione” traduce il greco blepo, che indica il guardare dell’uomo attento ai segni premonitori che accadono attorno a lui, per non lasciarsi trovare impreparato, come esorta Gesù (Mc 13,5.9.23.33). “Scacciare il sonno” traduce il verbo greco agrypnèo, che si riferisce al momento in cui il sonno – inteso anche nel significato di assopimento spirituale – sembra vincere ogni resistenza che gli viene opposta, facendo cadere anche l’ultima difesa e consegnando l’uomo al pericolo o al nemico da cui doveva guardarsi “scacciando il sonno”. Per questo si fa pressante la richiesta di aiuto al Signore, come fa l’orante dei Salmi: “Guarda, rispondimi, Signore, conserva la luce ai miei occhi, perché non mi sorprenda il sonno della morte” (Sal 13,4). “Stare svegli” corrisponde al verbo greco gregorèo. È il verbo della fedeltà del servo che sa attendere “stando sveglio” il padrone quando ritorna. È il verbo del discepolo che Gesù esorta a “stare sveglio”/”vegliare” con lui e a pregare “per non entrare in tentazione” (Mc 14,34.37-38). PASSIONE, MORTE E RISURREZIONE DI GESÙ (Mc 14,1-16,20) Con il racconto della passione-morte-risurrezione di Gesù giungiamo al cuore del Vangelo secondo Marco e al compimento della salvezza annunciata da Gesù con la predicazione del Vangelo e con i molti miracoli che l’hanno accompagnata. Dobbiamo anche dire che questo racconto costituiva sia la prima predicazione degli apostoli sia il primo nucleo scritto dei Vangeli. Infatti la croce e la risurrezione, come apprendiamo dalle Lettere di san Paolo (cfr. 1Cor 15, 3-5) e dagli Atti degli Apostoli (cfr. At 2,14- 36; 3,11-26), sono stati il contenuto del primo annuncio su Gesù, quello che solitamente è indicato con il termine kerigma (dal greco kerysso, “annunciare”, “proclamare”) e che corrisponde alla missione affidata dal Risorto ai discepoli, la missione cioè di “annunciare/proclamare” il Vangelo: “Andate in tutto il mondo e proclamate (in greco, keryssein) il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Solo in un secondo momento a questo nucleo della passione-morte-risurrezione si aggiunsero i racconti dei miracoli, delle parabole e dei discorsi di Gesù illuminati (e interpretati) dall’evento fondamentale della Pasqua. Sono molte le tematiche che si intrecciano in questo racconto e diversi sono gli interrogativi che nascono dalle varie vicende che compongono questa narrazione. “Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi” (Mc 14,1-11) Questa indicazione cronologica dà inizio al racconto della passione di Gesù, che gli evangelisti collocano nel contesto delle celebrazioni pasquali, cioè la festa di Pasqua e la festa degli Azzimi. Originariamente queste erano due feste agricole distinte. Il popolo di Israele diede loro un significato storico collegandole all’evento della liberazione dall’Egitto, facendo della Pasqua il memoriale del passaggio del Mar Rosso e associando la festa degli Azzimi alla partenza dall’Egitto, quando per la fretta non ci fu tempo per far lievitare il pane. “Azzimo” infatti significa pane “senza lievito” (dal termine greco zyme, “lievito”, preceduto dalla a privativa, “senza”, da cui àzymos). Le due feste vennero poi celebrate come un’unica festa che si protraeva per sette giorni (in seguito otto) durante i quali si doveva mangiare solo pane azzimo. Le autorità religiose di Gerusalemme (“i capi dei sacerdoti e gli scribi”), ormai decise a intervenire contro Gesù, concordano un loro piano per farlo arrestare dopo le celebrazioni pasquali (“non durante la festa, perché non vi sia una rivolta di popolo”). Il piano di Dio è però diverso dal loro: Gesù infatti è l’agnello pasquale che verrà immolato proprio durante la festa di Pasqua. PER LA RIFLESSIONE PERSONALE: 1) Il discorso escatologico di Gesù ci fa leggere e interpretare nel loro significato più corretto e profondo gli avvenimenti del nostro mondo. È un discorso che da una parte ci esorta a riconoscere Dio come l’unico Signore della storia (e non il destino, la fatalità, la paura). Dall’altra ci invita alla vigilanza per non contribuire a quella che nel commento abbiamo chiamato decostruzione (o sconvolgimento dell’ordine e dell’armonia) del creato. Il peccato ne è la causa (e non altro) e nei confronti del peccato va contrapposta la nostra vigilanza (nei vari aspetti presentati nel commento). 2) La lettura dei “Canti del Servo sofferente del Signore” (in particolare Is 52,13-53,12), di alcuni testi del profeta Geremia (come 11,18-23; 12,1- 6; 15,10-21; 17,14-18; 18,18.23) e dei capitoli 2- 3 del libro della Sapienza ci aiutano a introdurci nel racconto della passione e a farcelo meglio collegare con tutta la storia della salvezza. 3) Seguendo la lettura dei capitoli 11-16 del Vangelo di Marco, proviamo a ricostruire gli eventi dell’ultima settimana di vita di Gesù, quella che noi oggi chiamiamo “la settimana santa”. Essa si svolge, secondo la nostra terminologia cristiana, da domenica (ingresso di Gesù in Gerusalemme) a domenica (la risurrezione). Ci è di aiuto la ricostruzione che di questa “settimana” troviamo nel commento al Vangelo secondo Marco di Angelico Poppi: Nel primo giorno (domenica) avviene l’ingresso di Gesù in Gerusalemme (11,1- 11); nel secondo giorno (lunedì) Gesù compie i segni della maledizione del fico e della cacciata dei profanatori dal tempio (11,12-26); nel terzo giorno (martedì) vengono collocate le controversie di Gesù con le autorità religiose 11,27- 12,37) e la proclamazione del discorso escatologico (13,1-37). Nel quarto giorno (mercoledì) si entra già nel vivo della narrazione della passione con il complotto dei capi contro Gesù (14,1-11); nel quinto giorno (giovedì) viene collocata la preparazione della Pasqua (14,12-16); nel sesto giorno (dal tramonto del sole di giovedì fino al tramonto di venerdì) l’istituzione dell’eucarestia, la preghiera al Getsemani, il processo, la crocifissione, la morte e la sepoltura (14,17-15,47); nel settimo giorno (sabato) Gesù è nel sepolcro (16,19) e al mattino dell’ottavo giorno (domenica) un “giovane” avvolto in una lunga veste bianca annuncia alle donne la risurrezione (16,1-8). Don Primo Gironi, ssp |